La clausola compromissoria inserita nel contratto di società non riguarda il contratto preliminare

Ove lo statuto o l’atto costituivo contengano una clausola compromissoria destinata a risolvere le controversie tra i soci, e questi stipulino un contratto preliminare di compravendita delle quote sociali, la competenza a decidere delle controversie non rientra tra quelle devolute all’arbitro.

Esprimendo questo principio, la Seconda Sezione della Suprema Corte, con la sentenza numero 7501/2014, depositata il 31 marzo, ha rigettato sul punto il ricorso di G.B., socio accomandante della società V. s.a.s., il quale nel lontano anno 2000 aveva stipulato un contratto preliminare di compravendita delle quote sociali con F.B., socia accomandataria della suddetta società. Il caso. Il 9 agosto del 2000, le due parti avevano stipulato un preliminare di compravendita, con cui la sig.ra F.B., socia accomandataria della V. s.a.s., si era impegnata a cedere a G.B., socio accomandante, la sua quota pari al 50% , oltre all’immobile in cui veniva esercitata l’attività dell’azienda. In detto contratto, era previsto che in caso di mancato pagamento entro il termine pattuito, sarebbe stato l’acquirente a dover cedere la sua quota nella società, per il medesimo prezzo già fissato decurtato di eventuali passività e aumentato del valore delle attrezzature o dotazioni positive che nel frattempo fossero state acquistate dalla società. Visto l’inadempimento di GB anche a quest’ultimo impegno, la FB lo citava dinanzi al Tribunale di Arezzo, onde sentirlo condannare alla risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del convenuto e per l’effetto disporsi il trasferimento a proprio favore, alle predette condizioni, della quota del convenuto. Il Tribunale di Arezzo accolse la domanda, dichiarando risolto il contratto preliminare e dichiarando il convenuto obbligato a cedere a FB la propria quota sociale per il corrispettivo già fissato. Il sig. GB propose quindi appello presso la Corte d’Appello di Firenze, insistendo nell’eccezione di improcedibilità della domanda, per essere la controversia devoluta al giudizio di un arbitro ai sensi della clausola compromissoria di cui all’articolo 12 del contratto sociale, nonché su altre quali quelle dell’indeterminatezza del prezzo. La sig.ra FB resisteva con appello incidentale e la Corte rigettava l’appello principale e, in parziale accoglimento di quello incidentale, disponeva il trasferimento delle quote della V. s.a.s. di proprietà dell’appellante a favore dell’appellata, con contestuale versamento del prezzo, confermando per il resto la decisione di primo grado. Contro tale sentenza, ha proposto ricorso per Cassazione il sig. GB., mentre ha resistito con controricorso e ricorso incidentale la sig.ra FB in persona del suo procuratore speciale. La deroga alla giurisdizione ordinaria contenuta nello statuto non si estende a controversie relative ad altri contratti, in particolare a quello preliminare di cessione di quote tra soci. La Suprema Corte ha rigettato, sul punto che qui ci interessa, il ricorso, accogliendo invece rinviando alla Corte d’Appello in diversa composizione , per quanto riguarda l’eccezione relativa all’errata imputazione del pagamento dell’INVIM, indicata nel contratto preliminare. Per quanto riguarda la questione principale, e cioè l’eventuale devoluzione della questione relativa alle controversie susseguenti al mancato adempimento del preliminare di compravendita delle quote sociali, stipulato tra i soci, la Corte ha ribadito il principio, peraltro consolidato, per cui dette controversie rimangono nella giurisdizione del giudice ordinario e non sono quindi devolute all’arbitro. Secondo la Corte di Cassazione, infatti, è escluso che tramite la clausola compromissoria contenuta nel contratto sociale o in qualunque contratto , la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola. Di conseguenza, secondo la Corte, dato che la clausola del contratto sociale prevedeva la devoluzione al collegio arbitrale delle sole “controversie tra i soci”, essa deve essere intrepretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie inerenti al rapporto societario e relative a pretesi aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto. Per la Corte, però, il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l’azione proposta, ma non la causa petendi della stessa, poiché l’inadempimento al preliminare, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli obblighi derivanti dal contratto di società. Pertanto, secondo la Corte la controversia non rientra in quelle devolute alla giurisdizione arbitrale, e di conseguenza ha rigettato il ricorso sul punto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 dicembre 2013 – 31 marzo 2014, numero 7501 Presidente Piccialli – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 28 novembre 2001 B.F. evocava, dinanzi al Tribunale di Arezzo - Sezione distaccata di Sansepolcro, B.G. esponendo di avere concluso con quest'ultimo contratto preliminare il 9.8.2000, con il quale il convenuto, promissario acquirente, si era impegnato ad acquistare da lei la sua quota, pari al 50% del capitale sociale, della società Vittoria s.a.s. - della quale l'attrice era soda accomandante ed il convenuto socio accomandatario - per il prezzo di L. 75.000.000, nonché l'immobile di via omissis , in cui veniva esercitata l'attività dell'azienda societaria, per il prezzo di L. 425.000.000, da pagarsi in rate mensili di L. 5.000.000 ciascuna dal 15.9.2000, previsto il termine essenziale, al 30.9.2001 per la stipula del definitivo, ormai scaduto aggiungeva che nello stesso preliminare le parti avevano concordato che in caso di mancato pagamento del prezzo entro il termine pattuito, sarebbe stato B.G. a dovere cedere alla soda la sua quota nella società, per il medesimo prezzo di L. 75.000.000, decurtato di eventuali passività ed aumentato del valore delle attrezzature o dotazioni positive che nel frattempo fossero state acquistate dalla società tanto premesso, chiedeva pronunciarsi la risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del convenuto e per l'effetto disporsi il trasferimento a proprio favore, alle predette condizioni, della quota del convenuto. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto sotto vari profili, il giudice adito, dichiarava risolto il contratto preliminare di cui alla scrittura del 9.8.2000 e, per contro, dichiarava il convenuto obbligato a cedere a B.F. , per il corrispettivo di L. 75.000.000, la propria quota sociale. In virtù di rituale appello interposto da B.G. , con il quale insisteva nell'eccezione di improponibilità della domanda per essere la controversia devoluta al giudizio di un arbitro in base alla clausola compromissoria di cui all'articolo 12 del contratto sociale, di indeterminatezza del prezzo, di sussistenza di un collegamento negoziale fra il preliminare con asserito contratto di locazione, la Corte di appello di Firenze, nella resistenza dell'appellata, che proponeva appello incidentale, rigettava l'appello principale e in parziale accoglimento di quello incidentale, disponeva il trasferimento delle quote della Vittoria s.a.s. di proprietà dell'appellante a favore dell'appellata, con contestuale versamento del prezzo, confermata per il resto la decisione di primo grado. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale evidenziava che la clausola di cui all'articolo 12 del contratto sociale atteneva esclusivamente alle controversie inerenti al rapporto societario fra soci in quanto soci e fra soci e la società , nelle quali la causa petendi era direttamente ricollegabile al relativo contratto, mentre nella specie veniva richiesta la risoluzione di un diverso contratto, ossia un contratto preliminare di vendita che con l'esecuzione degli obblighi derivanti dal contratto di società non aveva alcun legame, irrilevante che l'esecuzione del preliminare avrebbe determinato l'estinzione della società per il venire meno della pluralità dei soci. Determinato doveva ritenersi anche il prezzo, avendo le parti posto a carico dell'acquirente gli oneri fiscali, incluso l'INVIM, che aveva diversa finalità. Né configurava un autonomo contratto di locazione, di durata minima di sei anni, la pattuzione nella promessa di vendita della corresponsione mensile da parte del promissario acquirente di una somma mensile, a scomputo del prezzo di vendita, corrispettivo per il godimento del bene, condividendo la corte distrettuale l'inquadramento della previsione fatta dal primo giudice secondo il quale si trattava di diritto di ritenzione, per il caso di inadempimento del promissario acquirente delle mensilità dallo stesso pagate a scomputo del prezzo e quindi di una penale, neanche eccessivamente gravosa essendo in funzione del godimento dell'immobile da parte del ricorrente. Infine riteneva di accogliere l'appello incidentale relativamente alla pronuncia meramente dichiarativa del riconoscimento del diritto della appellata al trasferimento delle quote sociali dell'appellante, di fatto inutile, in quanto richiedeva una successiva pronuncia ex articolo 2932 c.c. in caso di inottemperanza. Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Firenze ha proposto ricorso per cassazione B.G. , articolato su quattro motivi, al quale ha replicato con controricorso Valentino M. , in qualità di procuratore speciale della B. , illustrato anche da memoria ex articolo 378 c.p.c Motivi della decisione Pregiudizialmente occorre rilevare che non può essere condiviso l'assunto di parte controricorrente, di cui alla memoria illustrativa pagine 4 e 5 , secondo il quale avendo il ricorrente ritirato la somma per l'acquisto delle quote sociali offerta in forma reale dalla B. , a seguito dell'intervenuto passaggio in giudicato della sentenza relativa alla validità dell'offerta, la circostanza comporterebbe una manifestazione di acquiescenza alla sentenza impugnata, con conseguente inammissibilità del ricorso. È al riguardo sufficiente rilevare che secondo la giurisprudenza di questa Corte, l'acquiescenza tacita, prevista dall'articolo 329 c.p.c., può avere efficacia preclusiva solo rispetto a un'impugnazione non ancora proposta, mentre quando l'impugnazione sia stata già proposta, è possibile solo una rinuncia espressa, da compiersi nelle forme e con le modalità prescritte dalla legge Cass. 14 giugno 1995 numero 6698 Cass. 27 gennaio 1998 numero 801 Cass. SS.UU. 26 agosto 1998 numero 8453 più di recente Cass. 10 febbraio 2005 numero 2704 e Cass. 23 aprile 2008 numero 10578 . Sicché nel caso in esame il sopravvenuto ritiro delle somme attribuite al cedente quale corrispettivo della cessione di quote determinato dalla sentenza impugnata - peraltro a seguito della attivazione della procedura prevista dagli articolo 1206 e ss. c.c. - non può essere interpretata come tacita rinuncia alla già proposta impugnazione contro il provvedimento che quel trasferimento ha disposto. Sempre in via preliminare occorre rilevare che non deve tenersi conto della comunicazione fatta pervenire dal ricorrente a mezzo fax l’11.12.2013, che oltre a provenire dalla parte personalmente e ad essere tardiva rispetto ai termini di cui all'articolo 378 c.p.c., riferisce di circostanze ininfluenti, per quanto prima esposto. Venendo all'esame del ricorso, con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione o falsa interpretazione delle norme concernenti l'interpretazione dei contratti articolo 1362 e ss c.c. nell'analisi della clausola arbitrale, oltre a motivazione carente ed incongrua, con violazione degli articolo 806 e ss. c.p.c. per non avere ritenuto l'inammissibilità della domanda in sede di giurisdizione ordinaria siccome riservata ad arbitro. Prosegue il ricorrente lamentando la violazione dell'articolo 1 del D.L.vo numero 5 del 2003 per non avere ritenuto che la controversia rientri nella materia societaria sì da comportare l'inammissibilità della domanda in sede di giurisdizione ordinaria, essendo la controversia riservata all'arbitro, come previsto dall'articolo 12 dell'atto costitutivo della società. Del resto il contratto preliminare - ad avviso del ricorrente - non può essere considerato del tutto estraneo alla società essendo diretto a regolamentare l'uscita di uno o dell'altro dei soci, coinvolgendo anche i rapporti societari che vengono estinti. L'articolo 808 quater c.p.c. prevede, inoltre, che nel dubbio la convenzione di arbitrato si interpreta nel senso che la competenza arbitrale si estende a tutte le controversie che derivano dal contratto e dal rapporto al quale si riferisce. A conclusioni di detta illustrazione il ricorrente formula il seguente quesito di diritto se la controversia, fra soci, relativa alla cessione delle quote con contratto autonomo - come in atti - rientri nell'ambito delle controversie che - ai sensi dell'articolo 808 quater c.p.c. - debbano essere comprese, nel dubbio, fra quelle regolate dalla clausola arbitrale di cui è causa, e se la sentenza impugnata abbia quindi violato l'articolo 808 quater c.p.c. . In secondo luogo l'articolo 1 D.L.vo numero 5 del 2003 comprende nella materia societaria anche le controversie relative al trasferimento delle partecipazioni sociali, nonché ogni altro negozio avente ad oggetto le partecipazioni sociali ed i diritti inerenti e a corollario viene posto il seguente quesito di diritto se la controversia fra i soci, relativa alla cessione fra loro di quote sociali come quella di cui è causa sia da classificare, ai sensi dell'articolo 1 D.L.vo 17.1.2003 numero 5 fra quelle che rientrano nell'ambito delle controversie comprese nella materia societaria e, quindi, siano soggette alla clausola arbitrale convenuta fra i soci per regolare le liti fra di loro se, quindi, la sentenza impugnata, che ha ritenuto esclusa dall'artitro la controversa in oggetto, abbia violato, per omissione o errata interpretazione, l'articolo 1 del detto D.L.vo 5/2003 . A corollario della doglianza relativa alla violazione dei criteri di interpretazione dei contratti articolo 1362, 1365, 1366, 1371 c.c. è formulato il seguente quesito se la clausola compromissoria inserita in un contratto di società, qualora non preveda espressamente che l'arbitrato sia riservato a controversie strettamente legate a questioni sociali, possa essere applicabile anche a tutti gli altri rapporti fra i soci, siano essi rapporti totalmente estranei all'oggetto sociale, o ad esso collegati in via più generica come nel caso in esame, e se la contraria interpretazione abbia violato l'articolo 1362 c.c. . Il motivo non merita ingresso. Questa Corte ha già avuto modo di escludere che, tramite la clausola compromissoria contenuta in un determinato contratto, la deroga alla giurisdizione del giudice ordinario e il deferimento agli arbitri si estendano a controversie relative ad altri contratti, ancorché collegati al contratto principale, cui accede la predetta clausola Cass. 11 aprile 2001 numero 5371 la clausola, invece, potrebbe estendersi alle controversie insorte in relazione alle modificazioni apportate dalle parti al contenuto negoziale originario, ipotesi qui neppure prospettata . Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha ritenuto che le controversie nascenti dal contratto preliminare del 9.8.2000 non potessero essere devolute agli arbitri, in forza di una clausola che non era contenuta in quel contratto, e che in alcun modo richiamava il contratto sociale e la clausola compromissoria nello stesso contenuta. La clausola numero 12 del contratto sociale nel prevedere la devoluzione ad un collegio arbitrale di ogni controversia fra i soci , deve, perciò, essere interpretata, in mancanza di espressa volontà contraria, nel senso che rientrano nella competenza arbitrale tutte le controversie inerenti al rapporto societario e relative a pretese aventi la loro causa petendi nel medesimo contratto sociale Cass. 20 febbraio 199, numero 1559 Cass. 2 febbraio 2001 numero 1496 Cass. 22 dicembre 2005 numero 28485 Cass. 20 giugno 2011 numero 13531 . Nella specie invece il contratto sociale costituisce il presupposto storico sullo sfondo del quale si innesta l'azione proposta, ma non la causa pretendi della stessa, perché l'inadempimento al preliminare di compravendita denunciato, essendo un comportamento rilevante solo sotto il profilo ricollegabile alla risoluzione dello stesso, è un fatto che non sostanzia alcun legame con gli obblighi derivanti dal contratto di società, al quale soltanto si riferisce la clausola arbitrale sottoscritta dalle medesime parti, peraltro in epoca antecedente alla stipula del preliminare in contesa. Con il secondo motivo viene lamentata la violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione degli articolo 1325, 1343, 1346 c.c., nonché dell'ari 1418 e ss. c.c. relativi alla nullità del contratto, anche in relazione all'articolo 1470 c.c., oltre a violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione dell'articolo 1419 c.c. relativo alla nullità di singole clausole, con violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione degli articolo 4 D.P.R. 26.1.1972 numero 643, in materia di imposta INVIM, e 2,3,6 D.P.R. 22.12.1986 numero 917, in materia di imposta IRPEF, anche per vizio di motivazione, per avere il ricorrente dedotto la nullità del contratto per inammissibilità dell'accollo delle imposte e per indeterminatezza del prezzo. Invero la corte territoriale nel ritenere separate le voci, per il prezzo e per oneri fiscali, ha confuso il prezzo netto con il corrispettivo, al quale si deve fare riferimento nella sua interessa. Aggiunge il ricorrente che la corte di merito avrebbe omesso di prendere in considerazione l'argomento relativo alla clausola essenziale e pone il seguente quesito di diritto se la clausola di accollo delle imposte al compratore sia da ritenere essenziale ai sensi e fini dell'articolo 1419 c.c. e se la sua nullità travolga l'intero contratto . Erroneamente la corte di merito ha ritenuto che l'accollo dell'INVIM non fa parte del prezzo e perciò formula il seguente quesito di diritto se la pattuizione, per la vendita, di un ammontare in denaro, con l'aggiunta dell'accollo a carico del compratore delle imposte INVIM e IRPEF, configuri l'accollo come parte del corrispettivo - o prezzo - della vendita e se, essendo indeterminabile l'ammontare delle imposte, sia indeterminabile - di conseguenza - anche il prezzo della vendita, derivandone la nullità del contratto ai sensi degli articolo 1418, 1325, 1343, 1346 c.c. . Ulteriori quesiti di diritto sono - se il generico ed indeterminato accollo delle imposte INVIM ed IRPEF, all'acquirente di un bene, a far parte del corrispettivo, come nel caso di specie, comporti la nullità del contratto ai sensi dell'articolo 1418 c.c. per indeterminatezza o indeterminabilità del prezzo, e per mancanza o illeicità della causa, in relazione agli articolo 1325, 1343, 1346 e 1470 c.c. e se di conseguenza, la sentenza impugnata abbia violato i menzionati articoli del codice civile - se la clausola relativa all'accollo delle imposte a carico dell'acquirente sia nulla per violazione dell'articolo 4 D.P.R. 26.10.1972 numero 643 e successive modifiche sull'imposta INVIM, secondo il quale l'imposta è dovuta dall'alienante a titolo oneroso e se, trattandosi di una norma di ordine pubblico, detta nullità sia disposta dall'ari. 1418 c.c. - se la clausola relativa all'accollo delle imposte a carico dell'acquirente sia nulla per violazione degli articolo 2, 3 e 6 D.P.R. 22.12.1986 numero 917 e successive modificazioni sull'imposta IRPEF, secondo il quale l'imposta è personale e dovuta dal contribuente sul suo reddito complessivo e se, trattandosi di norma di ordine pubblico, detta nullità sia disposta dall'articolo 1418 c.c. - se in tal caso l'intero contratto sia nullo, ai sensi dell'articolo 1419 c.c. perché la clausola di accollo è essenziale e se, ignorandolo, la sentenza abbia violato la norma . La censura è fondata e va, pertanto, accolta. La sentenza impugnata ha escluso che il secondo motivo di appello fosse da riferire all'ammissibilità di trasferire al compratore l'obbligo di pagare l'INVIM, pacificamente dovuta dal venditore, limitando l'esame alla questione della determinatezza o meno del prezzo, ritenendo le due voci, prezzo di vendita ed obblighi fiscali da esso derivanti operare, nella volontà delle parti, su piani diversi. Di converso, la ricostruzione della vicenda e della sussistenza di tale importante circostanza i.numero v.i.m. quale parte del corrispettivo o non , data per scontata nella sentenza nei termini di cui si è detto, ma recisamente contestata nel ricorso e prima ancora nell'atto di appello esaminabile in questa sede in considerazione della natura del vizio denunciato , risulta inficiata dal non appropriato inquadramento della fattispecie nell'ambito delle patologie del negozio e della natura dell'accertamento giudiziale conseguente. Premesso che nell'atto di appello pag. 9 il B. ha denunciato la nullità del contratto sotto “diversi profili”, precisando l'indisponibilità delle norme istitutive dell'i.numero v.i.m., posta dalla legge a carico dell'alienante a titolo oneroso, per cui non è condivisibile l'assunto della Corte di merito secondo il quale non sarebbe stata eccepita la nullità del preliminare per accollo delle imposte, nel caso di specie trova applicazione l'insegnamento delle Sezioni Unite sent. 4 settembre 2012 numero 14828 , che componendo un contrasto di giurisprudenza, hanno enunciato il principio, cui va data continuità anche nella presente sede, secondo il quale Il giudice di merito ha il potere di rilevare, dai fatti allegati e provati o emergenti ex actis, ogni forma di nullità non soggetta a regime speciale e, provocato il contraddittorio sulla questione, deve rigettare la domanda di risoluzione, volta ad invocare la forza del contratto. Pronuncerà con efficacia idonea al giudicato sulla questione di nullità ove, anche a seguito di rimessione in termini, sia stata proposta la relativa domanda. Nell'uno e nell'altro caso dovrà disporre, se richiesto, le restituzioni . Ciò posto, va precisato che l'i.numero v.i.m., istituita con D.P.R. numero 643 del 1972, è stata applicata dal 1 gennaio 1973 al 31 dicembre 2001, soppressa contestualmente all'entrata in vigore dell'I.C.I. D.lgvo numero 333 del 1992 , e sostituita dall'I.R.P.E.F. a carico del venditore, stabilendosi tuttavia l'obbligo del pagamento del'incremento di valore maturato sino al 31 dicembre 1992 fino al dicembre 2003, poi definitivamente abolita dal 1 gennaio 2002, nella Finanziaria 2002, pertanto la sua previsione nel contratto de quo, stipulato il 9.8.2000, ha una sua valenza ai fini dell'accertamento della validità dell'accordo. Presupposto dell'i.numero v.i.m. dovuta dalle persone fisiche in caso di trasferimento di un immobile era la plusvalenza patrimoniale costituita dalla differenza fra il valore del bene all'atto della sua alienazione a titolo oneroso o del suo acquisto a titolo gratuito, anche per causa di morte, o per usucapione, ed il minor valore, maggiorato delle spese di acquisto, di costruzione ed incrementative, che il cespite aveva alla data del suo anteriore acquisto cfr. D.P.R. 26 ottobre 1972, numero 643, articolo 6 . Soggetti passivi dell'imposta, in relazione alla capacità contributiva oggettivamente evidenziata dall'incremento del valore dell'immobile, era l'alienante, nel caso di cessione a titolo oneroso, e l'acquirente, per l'acquisto a titolo gratuito o per usucapione articolo 4, cit. D.P.R. , in quanto beneficiari della plusvalenza, e il D.P.R. numero 643 del 1972, articolo 27, poneva espressamente, recependo il principio dettato dall'articolo 53 Cost., in ordine alla necessaria correlazione tra l'obbligo generale di contribuzione economica e la capacità contributiva dei singoli ed in sintonia con una linea di tendenza del diritto tributario che a tale principio si ricollegava, il divieto di traslazione dell'imposta e la nullità di ogni patto diretto a trasferire a terzi l'onere impositivo cfr Cass. 5 gennaio 1985 numero 5 . Tale nullità nella sua formulazione omnicomprensiva è stata da sempre ritenuta non consentire di ipotizzare alcuna limitazione al sancito divieto di trasferimento e di fronte alla precisa individuazione del soggetto passivo d'imposta la validità della pretesa del venditore di sostituire altri a sé nella posizione debitoria non potesse essere esclusa non solo nei confronti dell'amministrazione finanziaria, rispetto alla quale la riconducibilità di un eventuale accordo all'istituto dell'accollo presupporrebbe altresì l'adesione del creditore, ma anche nei rapporti tra le parti contraenti, quale che fosse lo strumento negoziale direttamente azionato al fine della traslazione dell'imposta, senza che rilevasse la finalità pratica che a suo mezzo le parti intendevano conseguire cfr. Cass. 10 maggio 1994 numero 4556 Cass. 14 settembre 1991 numero 9608 , posto che in nessun caso detta finalità avrebbe potuto incidere sul presupposto soggettivo del tributo rappresentato dal godimento della plusvalenza conseguita dall'immobile successivamente al suo anteriore acquisto. Da quanto sopra esposto deriva l'illogicità e la erroneità della proposizione fondamentale, sulla quale essenzialmente fa leva l'apparato argomentativo della sentenza impugnata, secondo la quale la denuncia dell'appellante ed il conseguente accertamento non poteva avere ad oggetto la traslazione dell'i.numero v.i.m., che a termini della clausola contrattuale controversa avrebbe dovuto far carico alla parte acquirente, trattandosi invece di un obbligo tributario proprio della parte cedente. Il richiamo ad una diversa interpretazione del motivo di appello il secondo non supera la questione sollevata di nullità della pattuizione, peraltro rilevabile anche ex officio SS.UU. del 2012 cit. , in quanto inidonea ad escludere la correlazione tra la somma dovuta e l'incremento di valore del bene e la natura tributaria del debito. Ma dalla fondatezza della doglianza non discende, con la cassazione della pronunzia sul punto qui in esame, la declaratoria di nullità del preliminare, posto che la ritenuta nullità della clausola di traslazione dell'imposta inserita nel preliminare richiede non solo l'esame della correttezza dell'operazione applicativa della norma, ma anche un'operazione interpretativa della volontà delle parti per pervenire alla opinione di estensione o meno della nullità della clausola nulla all'intero atto. Al proposito - e con specifico riguardo ai criteri con i quali l'interprete deve condurre l'indagine di essenzialità della pattuizione - questa Corte ha precisato a che detta indagine deve svilupparsi con l'intento di ricostruire, oggettivamente, la perdurante utilità del contratto dopo la rimozione della clausola nulla rispetto agli interessi con esso perseguiti b che la prova della mancanza di un interesse al mantenimento del contratto deve essere fornita dall'interessato c che l'apprezzamento al proposito formulato è incensurabile in sede di legittimità se motivato adeguatamente e razionalmente v. Cass. 1^ marzo 1995 numero 2340 cfr. anche Cass. numero 11248 del 1997 e numero 2387 del 1997 . Accertamenti questi che devono essere rimessi al giudice del rinvio. Il terzo motivo - con il quale è denunciata la violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione dell'articolo 1571 c.c. che disciplina le locazioni, dell'articolo 27 della legge numero 392/78 relativo alla durata delle locazioni commerciali, nonché violazione o falsa interpretazione della clausola di cui all'ari 5 del contratto - formula i seguenti quesiti di diritto - se la sentenza omettendo di valorizzare la definizione corrispettivo del godimento del bene immobile usata dalle parti, ritenendola una penale e non il corrispettivo di una locazione, abbia violato l'articolo 1571 c.c. - se la sentenza abbia in tal modo disatteso e violato l'articolo 27 della legge numero 392/78 che stabilisce la durata minima per le locazioni ad uso commerciale e alberghiero - se la sentenza omettendo di valorizzare la definizione corrispettivo del godimento del bene immobile usata dalle parti, ritenendola una penale e non il corrispettivo di una locazione, abbia violato le norme di cui agli arti 1362 e ss. c.c. che disciplinano l'interpretazione dei contratti . Infine, il quarto motivo - subordinato al mezzo precedente con il quale viene lamentata la violazione, mancata applicazione o falsa interpretazione dell'articolo 1384 c.c., dell'articolo 115 c.p.c., oltre a vizio di motivazione - pone il seguente quesito di diritto - se la sentenza abbia violato l'articolo 115 c.p.c. omettendo di fare uso del notorio ai fini delle valutazioni circa la congruità della penale - se la sentenza abbia di conseguenza violato l'articolo 1384 c.c. omettendo di ridurre la penale . Il vizio rilevato al secondo motivo, che comporta l'accoglimento del ricorso, con la cassazione dell'impugnata sentenza, assorbe gli ulteriori motivi, tre e quattro, i quali per la valutazione della loro fondatezza presuppongono la soluzione della questione della nullità del preliminare, se totale o parziale. Conclusivamente, va rigettato il primo motivo di ricorso, accolto il secondo ed assorbiti il terzo ed il quarto in relazione alla censura accolta, la sentenza deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze che, in applicazione dei principi di diritti sopra precisati, dovrà accertare se nella fattispecie sia configurabile la nullità totale oppure parziale del preliminare e disporre, se del caso, in ordine alle restituzioni. Il giudice di rinvio provvederà, altresì, a regolare le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso, accolto il secondo, assorbiti i rimanenti cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra Sezione della Corte di appello di Firenze.