Ove il contratto collettivo applicato preveda la cessazione del diritto alla conservazione del posto quando il lavoratore raggiunga il limite temporale massimo, tale diritto viene meno quando il limite temporale sia superato e non soltanto raggiunto.
Così deciso dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con la sentenza numero 7153, pubblicata il 21 marzo 2013. Il caso licenziamento individuale intimato per superamento del periodo di comporto. Un dipendente di Poste Italiane Spa ricorreva al Giudice del Lavoro del Tribunale, impugnando il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, avendo fatto registrare alla data del 23/11/2003 il numero massimo di giorni di malattia nel quadriennio antecedente ed avendo altresì usufruito dell’ulteriore periodo massimo di aspettativa previsto dal CCNL. Il Tribunale accoglieva il ricorso dichiarando illegittimo il licenziamento. Proponeva appello il datore di lavoro ma il gravame veniva respinto, confermando la Corte d’Appello l’illegittimità del licenziamento. Ricorreva così per cassazione Poste Italiane, con unico motivo, contestando l’interpretazione data dalla Corte d’Appello della norma del CCNL applicato. La norma della contrattazione collettiva il nodo è nel termine “raggiunga” . Per meglio comprendere la decisione in esame occorre esaminare prima di tutto la norma della contrattazione collettiva applicata. Trattasi del’articolo 40 del CCNL di Poste dell’11 luglio 2003, che riportiamo per estratto « Il diritto alla conservazione del posto cessa quando il lavoratore, anche per effetto di una pluralità di episodi morbosi e indipendentemente dalla durata dei singoli intervalli, raggiunga il limite di ventiquattro mesi di assenza entro l'arco massimo di quarantotto mesi consecutivi. I termini si computano dal primo giorno del primo periodo di assenza per malattia.». Proprio sul vocabolo “raggiunga” si incentra il fulcro della decisione impugnata. Il limite temporale deve esser superato, non soltanto raggiunto La Corte d’Appello, confermando peraltro la decisione del giudice di primo grado, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, affermando che la norma del contratto collettivo andava interpretata nel senso che il periodo di comporto previsto dovesse essere superato e non solamente raggiunto come affermato dalla datrice di lavoro. Dunque il licenziamento poteva essere intimato soltanto se il giorno 24 novembre 2003 il lavoratore fosse stato assente per malattia, cioè il primo giorno di superamento del periodo di comporto. Ma nel giorno considerato il lavoratore era risultato assente per aspettativa e non per malattia. Circostanza di fatto pacifica e non contestata in giudizio. . E la Corte di Cassazione conferma tale interpretazione. La Corte di Cassazione ribadisce il principio affermato dalla Corte di merito, ritenendo l’interpretazione da questa resa alla norma del CCNL corretta ed immune da vizi logici. Il termine raggiungere riportato dall’articolo 40 del contratto applicato va inteso nel senso che il periodo massimo di comporto deve essere superato e non soltanto raggiunto. La sentenza impugnata ha dato atto che il periodo massimo di comporto sarebbe stato superato il giorno 24 novembre 2003 ed il licenziamento poteva essere intimato soltanto se in questa giornata il lavoratore fosse rimasto assente per malattia. Viceversa i motivi di licenziamento indicati dall’azienda facevano riferimento alla data del 23 novembre 2003, in cui si era registrato il raggiungimento del numero massimo di giorni di assenza per malattia. E poiché è risultato pacifico in giudizio che il giorno 24 novembre 2003 il lavoratore fosse assente per aspettativa, alla data del giorno antecedente il superamento del periodo di comporto non poteva dirsi avvenuto e di conseguenza non poteva ritenersi legittimo il licenziamento intimato per il motivo addotto dall’azienda e censurato in giudizio. La sentenza resa dalla Corte d’Appello appare dunque corretta con conseguente rigetto del ricorso proposto.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 23 gennaio – 21 marzo 2013, numero 7153 Presidente Vidiri – Relatore Fernandes Svolgimento del processo La Corte di appello di Genova, con sentenza del 19 novembre 2008, nel rigettare l'appello proposto da Poste Italiane s.p.a. confermava la decisione del Tribunale di Genova con la quale era stata dichiarata la illegittimità del licenziamento intimato, in data 11.12.2003, da detta società al proprio dipendente P.R. per superamento del periodo di comporto avendo fatto registrare alla data del 23.11.2002, 730 giorni di assenza per malattia nel quadriennio antecedente ed avendo usufruito del periodo massimo di aspettativa ex articolo 40 co. 4 CCNL . Ad avviso della Corte territoriale l'articolo 40 del CCNL applicabile era da interpretare nel senso che il periodo di comporto dovesse essere superato e non solamente raggiunto , come opinato dalla società, e ciò anche in considerazione del comportamento tenuto dalle parti le quali avevano fatto entrambe riferimento al superamento di detto periodo. E, dunque, il recesso, nel caso in esame, poteva essere intimato solo se il giorno omissis il P. fosse stato assente per malattia, laddove era documentalmente provato che in tale giorno egli era assente per aspettativa. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso Poste Italiane s.p.a. affidato ad un unico motivo. Il P. è rimasto intimato. Motivi della decisione Con l'unico motivo di ricorso si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Premesso che dalla documentazione agli atti - oltre che pacifico tra le parti - emergeva che il giorno omissis il dipendente non aveva ripreso servizio in ragione del perdurare del suo stato di indisponibilità psico-fisica, si assume che la Corte territoriale, in modo contradditorio, nel valutare la natura dell'assenza del lavoratore in detta data, aveva ritenuto che la stessa fosse ascrivibile ad aspettativa ritenendo, quindi, illegittimo il recesso. Diversamente, risultando ascrivibile l'assenza del omissis a malattia, il periodo di comporto doveva ritenersi superato. Il motivo è infondato. Va, in primo luogo, rilevato che la Corte di merito ha correttamente interpretato, con un ragionamento che non è stato oggetto di alcuna censura nel motivo di ricorso, il termine raggiungere utilizzato nell'articolo 40 punto 2 del CCNL il diritto alla conservazione del posto cessa quando il lavoratore raggiunga il limite di 24 mesi di assenza entro l'arco massimo di 48 mesi lavorativi nel senso che il periodo di massimo di comporto previsto dovesse essere superato e non soltanto raggiunto . Sulla scorta di tale premessa nella impugnata sentenza è stato rilevato che il recesso poteva essere intimato solo se il giorno successivo a quello di raggiungimento del periodo massimo di comporto, cioè il omissis , il P. fosse stato in malattia, mentre era documentalmente provato che avesse richiesto l'aspettativa, in data 30.10.2002, a decorrere dal omissis senza ottenere risposta alcuna da parte della società. La Corte di merito con questo rilievo ha evidentemente inteso sottolineare che il motivo addotto a sostegno del licenziamento l'aver fatto registrare alla data del 23.11.2002, 730 giorni di assenza per malattia nel quadriennio antecedente ed avendo usufruito del periodo massimo di aspettativa ex articolo 40 co. 4 CCNL non ricorreva in quanto, alla luce della suddetta interpretazione della norma contrattuale, al 23 novembre 2002 il periodo di comporto non era stato ancora superato. Ed infatti a tale data doveva farsi riferimento e non alla successiva del omissis , per valutare la sussistenza del presupposto sul quale è stato fondato il recesso intimato. Peraltro, nella impugnata sentenza non viene affatto riferito che il giorno omissis il P. fosse assente per malattia ma, in narrativa, si da atto che il predetto in data 23 novembre 2002 aveva avvertito telefonicamente l'ufficio di non essere in grado di riprendere il lavoro insistendo nella domanda - già presentata - di aspettativa per gravi motivi di disagio personale. Ed è tale dato di fatto che viene ritenuto pacifico tra le parti, non la circostanza che il P. fosse assente per malattia il giorno omissis . Non ricorre, dunque, alcuna contraddittorietà nella motivazione dell'impugnata sentenza in quanto le ragioni poste a fondamento della decisione non risultano sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi , e cioè l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione adottata. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Non si provvede in ordine alle spese del presente grado di giudizio essendo il P. rimasto intimato. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso, nulla per le spese.