Il giudizio controfattuale deve essere condotto valutando, in base alle effettive circostanze fattuali, se l’evento lesivo, in presenza della condotta alternativa d’elezione, si sarebbe ugualmente verificato con elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica, a nulla rilevando la medio bassa probabilità di salvezza indicata dalle leggi statistiche.
Lo ha stabilito la Quarta sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 8073, depositata il 20 febbraio 2014. La protesi vascolare genera l’infezione. Nel caso di specie, due medici di un’azienda ospedaliera sono stati rinviati a giudizio con l’accusa di aver commesso il delitto di omicidio colposo, in specie per aver cagionato la morte di un paziente ricoverato per sottoporsi ad un intervento di by pass femoro popliteo destro con apposizione di protesi vascolare. Secondo la ricostruzione dell’accusa, il paziente avrebbe contratto una sespi post operatoria dell’arto, successivamente degenerata in una grave infezione da Pseudomonas Aeruginosa causativa del decesso dopo un discreto periodo di degenza. Il rimprovero mosso nei confronti degli imputati è stato quello di non aver interrotto lo stato degenerativo della malattia limitandosi a trattare la complicazione con una terapia antibiotica anziché procedere con un nuovo intervento chirurgico volto all’escissione totale della protesi. L’incidenza causale della malattia degerativa. All’esito del giudizio di prime cure, il Tribunale ha condannato solo uno dei due sanitari - quello responsabile della valutazione clinica post-operatoria del paziente - di contro mandando indenne da rimprovero il chirurgo che aveva inserito la protesi in sala operatoria. La Corte d’appello, in riforma della statuizione gravata, ha poi esteso l’esito assolutorio anche al collega condannato in primo grado, negando rilevanza eziologica alla sua condotta in relazione alla morte del paziente, scaturita – secondo i giudici di secondo grado – dalla sopravvenuta e grave infezione contratta, contro cui l’ipotetico comportamento alternativo del medico nulla avrebbe potuto. La Corte territoriale ha, in altri termini, giudicato assente il nesso di causalità tra la condotta omissiva serbata dal medico e l’evento mortale, osservando come scarsa risultava la percentuale di probabilità che la condotta alternativa del medico avrebbe garantito la sopravvivenza del paziente evitando, dunque, l’evento mortale. Probabilità logica ed evento hic et nunc. La sentenza resa dai Giudici d’appello è stata soggetta a serrata critica da parte delle costituitesi parti civili. I ricorrenti si sono rivolti ai Giudici di legittimità innanzi ai quali sono state evidenziate talune erroneità motivazionali da cui sarebbe andata affetta la decisione gravata. In dettaglio, è stata rimarcata l’erroneità del giudizio nella parte in cui l’infezione da Pseudomonas Aeruginosa fu ritenuta causa sopravvenuta di per sé idonea a recidere il nesso causale tra la condotta del sanitario e l’evento mortale, assunto giudicato in contrasto con il granitico e ormai datato approdo giurisprudenziale in materia di causalità dalla sentenza “Franzese” in poi , id est con lo standard della certezza processuale cui, peraltro, bene si era allineato il Tribunale. La Corte di Cassazione, nell’accogliere il ricorso rinviando al giudice civile per una nuova valutazione della vicenda, è tornata ad occuparsi di causalità in ambito medico ponendo, ancora una volta, l’accento sul dovere del giudice di merito di ripercorrere, con attenzione, tutte le scansioni temporali del fatto di reato, senza cedere alla tentazione di assecondare leggi statistiche riferite all’incidenza salvifica della condotta del sanitario. Il giudizio controfattuale – hanno sottolineato i giudici romani – deve essere condotto avendo presente l’evento per come verificatosi hic et nunc, nella rappresentazione di tutte le complicazioni del caso, con conseguente verifica della bontà delle leggi statistiche in rapporto alla singola vicenda. Di talché la certezza processuale richiesta per siffatto giudizio può derivare anche in casi, come quello in esame, in cui, per la gravità della condizione clinica del paziente, vi siano coefficienti medio bassi di probabilità frequentista di sopravvivenza ove si acquisisca positivamente la prova della «non incidenza dei rischi ipotizzati in via meramente congetturale o astratta».
Corte di Cassazione, sez. IV Penale,sentenza 12 novembre 2013 – 20 febbraio 2014, numero 8073 Presidente Zecca – Relatore Esposito Ritenuto in fatto 1.B.G. e T.R. , quali medici in servizio presso l'Unità Operativa di Chirurgia vascolare dell'Ospedale omissis , erano tratti a giudizio dinanzi al Tribunale di Catania per rispondere del reato di omicidio colposo. Ai predetti era mosso l'addebito di avere, con condotte colpose indipendenti, cagionato la morte di S.A. , ricoverato presso la struttura per essere sottoposto in data omissis a intervento di by pass femoro popliteo destro con apposizione di protesi vascolare. Si addebitava agli imputati di aver omesso di sottoporre tempestivamente il paziente, dopo l'insorgenza di sepsi post operatoria dell'arto, a intervento chirurgico di escissione totale della protesi e di essersi limitati a prescrivere terapie antibiotiche inadeguate. 2.All'esito del giudizio il Tribunale affermava la responsabilità del T. , condannandolo, altresì, al risarcimento dei danni in favore dei parenti della vittima, costituitisi parti civili. Battaglia veniva assolto dalla imputazione ascrittagli perché il fatto non sussiste. 3.Con sentenza del 10/6/2011 la Corte d'Appello di Catania assolveva anche il T. dal reato ascrittogli perché il fatto non sussiste. Rilevava la Corte che gli elementi di prova emersi non consentivano di ritenere indiscutibilmente dimostrata la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta dell'imputato e l'evento letale. Osservava che, riscontrata la positività dell'emocultura per Pseudomonas Aeruginosa, la situazione clinica del paziente aveva assunto connotazioni di particolare gravità, in presenza di un germe aggressivo e difficilmente debellabile che in una situazione siffatta era stata sconsiderata la scelta, non riferibile all'imputato, di trasferire il paziente presso il reparto di angiologia, scelta che aveva inciso negativamente sulla necessità di continua vigilanza al fine di garantire ulteriori controlli necessari e che era stata, altresì, irragionevole la sostituzione durante detto ricovero della terapia farmacologica originariamente praticata, della quale era stata verificata la positività sul germe, con abbassamento dei valori dell'infezione. Osservava la Corte che la terapia attendista era stata giudicata dai periti non censurabile e che la malattia si era manifestata in tutta la sua aggressività nel periodo successivo al trasferimento e al cambio di terapia, questi ultimi non imputabili al medico che - ancorché fosse stato ritenuto censurabile l'operato dell'imputato in occasione della consulenza richiesta il 31/7/2004, per non aver disposto più approfondite indagini sulla natura dell'infezione e sulla situazione in sede di impianto protesico - era da ritenere, in ogni caso, che anche il trattamento corretto della complicanza infettiva non avrebbe potuto garantire in maniera certa e assoluta la sopravvivenza, avendo il perito rilevato che, in ragione della comparsa di infezione da Pseudomonas e tenuto conto delle condizioni generali del soggetto, le possibilità di sopravvivenza del paziente non erano comunque superiori al 35-40% anche in ipotesi di trattamento adeguato che, pertanto, tenuto conto dei coefficienti medio bassi di probabilità, anche sostituendo all'omissione il comportamento alternativo corretto, l'evento lesivo non si sarebbe realizzato con alto grado di credibilità razionale. Concludeva, pertanto, che l'imputato doveva essere assolto con la formula dell'insussistenza del fatto. 4.Avverso la sentenza proponevano ricorso per cassazione le parti civili. Deducevano con unico, articolato motivo erronea applicazione della legge penale e vizio di motivazione. Sottolineavano la superficialità e l'imperizia del medico, atta a determinare un gravissimo errore diagnostico ed esecutivo. Osservavano che il dato processuale più rilevante, ribadito dal perito del PM e dal Collegio medico nominato in sede dibattimentale, era che la corretta rimozione della protesi, quantomeno alla data del 31/7/2004 e non al momento della rottura dell'anastomosi avrebbe impedito la morte del paziente. Rilevavano che era omesso un rigoroso percorso argomentativo che potesse far ritenere coerente la scelta dei giudici di secondo grado, a fronte delle ragioni giuridiche che avevano delineato le motivazioni della sentenza del primo giudice. Deducevano, sotto altro profilo, che le cause sopravvenute, indicate come ipotetici fattori causali alternativi intervenuti sul nesso di causalità, non erano tali da escluderlo, difettando dei caratteri di idoneità e sufficienza a determinare l'evento, ex articolo 41 c.p. Censuravano, inoltre, il ragionamento della Corte incentrato sulla mera probabilità statistica, evidenziando che ciò che rileva è la probabilità logica, dovendosi considerare se, ove si fosse tenuta l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo non si sarebbe verificato o si sarebbe verificato in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. Considerato in diritto 5. Il ricorso è fondato con riferimento al dedotto vizio di motivazione. La sentenza assolutoria, infatti, perviene alla negazione del nesso di causalità valorizzando in modo superficiale le conclusioni peritali riguardo alla limitata incidenza salvifica del trattamento alternativo d'elezione, senza affrontare con adeguato approfondimento la successione dei tempi del decorso della malattia e delle modalità dell'operato dei sanitari. Eppure la sentenza di primo grado aveva correttamente sottoposto a seria critica il rilievo formulato dai periti in ordine all'incidenza statistica, in termini di percentuali di sopravvivenza, del trattamento corretto. Aveva evidenziato che il giudizio controfattuale andava effettuato sulla base dell'evento lesivo come verificatosi hic e nunc, e che era necessario verificare in concreto, in relazione alle complicanze effettivamente ipotizzabili, se, ove in luogo dell'omissione fosse stato posto in essere un comportamento alternativo corretto, l'evento lesivo si sarebbe ugualmente realizzato con alto grado di credibilità razionale. Era giunta, quindi, ad affermare che la certezza processuale può derivare anche in caso di coefficienti medio-bassi di probabilità c.d. frequentistica, laddove si acquisisca positivamente la prova della non incidenza di rischi ipotizzati in via meramente congetturale o astratta , nel contempo avvertendo che la superficiale applicazione del criterio della percentuale di sopravvivenza avrebbe finito col legittimare qualunque colpevole inerzia o omissione. Dal raffronto tra la sentenza impugnata e quella di primo grado emerge, pertanto, il mancato esame da parte del giudice d'appello di aspetti delle questioni poste dal processo che avevano costituito oggetto di riflessione accurata da parte del giudice di primo grado e che sono stati del tutto trascurati in seconda istanza. Ciò determina lacune atte a incidere nel giudizio sull'adeguatezza della motivazione. 5.2. È da considerare, poi, che, avuto riguardo al succedersi degli eventi, i fattori causali alternativi ai quali è dato risalto nella motivazione della sentenza d'appello non appaiono risolutivi, ove si consideri la loro anteriorità alla condotta tenuta dal medico in occasione della consulenza vascolare richiesta il 31/7/2004, momento rispetto al quale andava effettuata la valutazione della concatenazione causale, con specifico riferimento alla consequenzialità del decesso alla mancata escissione della protesi. È rispetto alla data dell'ultima attività compiuta dal medico, infatti - essendo stato motivatamente escluso pg. 37 della sentenza di primo grado , con argomentazione non contestata, che fosse ravvisabile un comportamento censurabile nella condotta attendista complessivamente tenuta dai sanitari fino all'intervento del giugno - che occorreva verificare la decisività e adeguatezza dell'operato del medesimo, mediante giudizio controfattuale che tenesse conto dei tempi e della concreta evoluzione della malattia. Di conseguenza il ragionamento seguito dalla Corte d'Appello non può essere ritenuto esente da profili di manifesta illogicità. Alla luce delle svolte argomentazioni s'impone, pertanto, l'annullamento della sentenza impugnata per vizio motivazionale, con rinvio al giudice civile competente in grado d'appello, il quale procederà a nuovo esame della questione. P.Q.M. La Corte annulla l'impugnata sentenza, ai soli fini civili, e rinvia al giudice civile competente per valore in grado d'appello.