Il passaggio in cosa giudicata formale della pronuncia di inabilitazione non determina l’immutabilità e incontrovertibilità dell’accertamento delle condizioni di incapacità legale, coprendo la cosa giudicata formale soltanto la circostanza che quella persona è affetta da infermità nel momento della pronuncia e che lo è stata fino a quel momento con le modalità accertate nella sentenza stessa.
La pronuncia della Corte di Cassazione numero 1770, depositata lo scorso 8 febbraio, affronta la questione degli effetti della cosa giudicata formale delle pronunce di accoglimento o di rigetto nella delicata materia della capacità delle persone. Il caso. Le attrici proponevano domanda di annullamento di tre contratti di compravendita immobiliare che vedevano rispettivamente quale dante causa la loro nonna e quali aventi causa uno zio e una cugina, assumendo che i negozi erano stati conclusi dal dante causa in evidente stato di incapacità. Il Tribunale di Firenze accoglieva la domanda di annullamento motivando in ordine alla raggiunta prova dell’incapacità dell’alienante sulla scorta delle risultanze delle CTU del procedimento di interdizione e di inabilitazione, delle ammissioni contenute nel predetto procedimento di inabilitazione, queste ultime provenienti, fra l’altro, da uno degli acquirenti e, infine, delle prove testimoniali dando rilievo, inoltre, alla mancata prova del versamento dei corrispettivi nonché alla mala fede dei convenuti, desunta, fra l’altro, dai pessimi rapporti con i congiunti. Il Tribunale di Firenze rigettava la domanda riconvenzionale spiegata dai convenuti che reclamavano il risarcimento dei danni asseritamente conseguenti alla trascrizione della domanda di annullamento. La Corte di Appello di Firenze, sovvertiva gli esiti del giudizio di prime cure. In particolare, i giudici di appello valorizzavano la circostanza del passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato l’istanza di inabilitazione proposta nei confronti della dante causa, costruendo a partire da essa l’assunto che, almeno fino alla data della predetta pronuncia di rigetto, l’assenza di incapacità doveva ritenersi indubbia. Nell’impianto logico-argomentativo dei giudici di seconde cure, la ricordata formazione di giudicato formale della pronuncia di rigetto dell’istanza di inabilitazione diveniva criterio di demarcazione idoneo ad escludere rilevanza a qualsiasi risultanza probatoria di segno contrario ritenuta, in ogni caso, nella vicenda in esame, inutilizzabile e comunque inidonea a provare che, all’atto della conclusione dei contratti di compravendita di cui si invocava l’annullamento, la dante causa fosse affetta da una condizione di incapacità. Le nipoti della venditrice ricorrevano per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello, proponendo due motivi di ricorso con il primo censuravano la gravata sentenza per l’erroneità della nozione di incapacità naturale posta a base della decisione e per la erronea valutazione delle prove con il secondo motivo lamentavano analoghi vizi della gravata sentenza in ordine all’esclusione dell’elemento della mala fede degli acquirenti e al non corretto apprezzamento di alcuni elementi empirici, primo fra tutti la sproporzione del prezzo pagato rispetto a quello di mercato, di cui non vi era prova oltre tutto dell’avvenuto versamento. Inabilitazione natura, presupposti operativi e differenze rispetto ad istituti affini. La S.C. muove da una ricostruzione storico-funzionale dell’istituto dell’inabilitazione relativa al periodo anteriore alla entrata in vigore della Legge numero 6/2004 istituzione dell’amministrazione di sostegno e modifica delle disposizioni in materia di interdizione e inabilitazione , e dei presupposti operativi dello stesso. Quanto al primo profilo, i Giudici di legittimità evidenziano che, già anteriormente alla legge istitutiva dell’amministrazione di sostegno, l’istituto dell’inabilitazione, lungi dall’essere finalizzato alla realizzazione dell’interesse della collettività alla regolarità dei traffici economici rinveniva piuttosto il suo fulcro nelle istanze di protezione del patrimonio e, in particolare, della persona dell’incapace. Quanto ai secondi – ricorda la Corte – essi venivano individuati in un’infermità mentale tale da ridurre l’inabilitando in uno «stato permanente di incapacità di provvedere da sé solo alla cura dei suoi affari, bisogni ed interessi, sia pure in misura meno grave dell’interdizione, la quale escludeva del tutto l’idoneità del soggetto a tal fine». A differenza delle incapacità di agire, relegate al rango di extrema ratio, che configuravano una posizione giuridica del soggetto fondata sull’accertamento della totale o sensibile privazione delle facoltà intellettive e volitive, l’incapacità naturale si sostanzia nella effettiva inidoneità ad intendere e a volere l’atto da realizzare e dunque si prospetta come mera situazione di fatto. In particolare, l’incapacità naturale ricorre nell’ipotesi di menomazione delle facoltà intellettive e volitive, tale da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all’atto che sta per compiere. I Giudici del Palazzaccio escludono, invece, che l’incapacità naturale ricorra in presenza di uno stato d’animo indotto da dispiaceri anche gravi ovvero da grave malattia, a meno che questi non abbiano cagionato un’autentica patologica alterazione mentale, e il perturbamento sia tale da impedire al soggetto «una seria valutazione degli effetti del negozio». Incapacità naturale che, in quanto situazione di fatto, va provata con modalità assai più gravose e specifiche di quelle legate alla condizione di incapacità legale, e va accertata dal giudice del merito, la cui valutazione in ordine alla gravità della diminuzione non è normalmente censurabile in cassazione se adeguatamente motivata, «dovendo l’eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità». La formazione del giudicato sui generis sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione. La ricostruzione di senso dell’istituto dell’inabilitazione, e la demarcazione dei criteri differenziali di esso rispetto all’incapacità naturale, attività filtrate dalla ricognizione dei consolidati orientamenti giurisprudenziali formatisi in argomento, fanno da ponte, per così dire, per le considerazioni espresse in sentenza circa il carattere «sui generis» del giudicato che si forma sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione. La Corte osserva, a tale riguardo, che la pronuncia costitutiva che dichiara un soggetto interdetto o inabilitato «è indissolubilmente correlata alla persistenza di tale infermità, tanto da essere qualificata come resa allo stato degli atti». Proprio la circostanza che la sentenza sia resa allo stato degli atti, fa sì che la formazione di cosa giudicata formale non implichi quella immodificabilità e incontrovertibilità dell’accertamento che è tipica, invece, del passaggio in giudicato della sentenza. Allora e coerentemente, proseguono i Giudici di legittimità, se la pronuncia nella materia considerata passa in cosa giudicata formale, «ciò che è coperto da quest’ultima non è certo che la persona, cui quella si riferisce, sia affetta da quell’infermità da allora in avanti e per sempre ma soltanto che quella persona è affetta da detta infermità nel momento della pronuncia e che lo è stata fino a quel momento con le modalità accertate nella sentenza stessa». Ciò consente evidentemente, nel caso l’infermità venga per qualsiasi ragione meno, di addivenire a una revoca della pronuncia di interdizione o inabilitazione, «al fine di adeguare nuovamente la situazione di diritto a quella di fatto». Simmetricamente – conclude la Corte – se si versa nell’ipotesi di rigetto dell’istanza di inabilitazione, il passaggio in giudicato può coprire soltanto l’accertamento dell’assenza, al momento della sentenza, dei requisiti per pronunciare l’inabilitazione, nonché l’irrilevanza, ma «a questi soli e specifici fini», degli episodi valutati fino a quel momento. Gli episodi anteriori alla sentenza, come pure il complessivo stato psichico del soggetto, mantengono invece intatta la rilevanza in sé considerati, oppure quali fatti noti da utilizzare, «ove peraltro ne ricorrano tutti i presupposti, per risalire ad eventuali fatti ignoti, secondo lo schema della presunzione». Il ragionamento conduce alla censura dell’affermazione con cui la Corte d’Appello, riannodando alla formazione del giudicato formale sulla pronuncia di rigetto l’effetto della incontrovertibilità del riconoscimento della pienezza della capacità di intendere e di volere fino a quel momento di ogni singolo momento di qualunque periodo anteriore, esprime una chiara valutazione di irrilevanza dei fatti e degli accertamenti anteriori, «i quali andavano invece considerati in sé e per sé, in rapporto al contesto successivo ed agli sviluppi della malattia dell’interessata». In accoglimento del motivo di gravame, la S. C. cassa la sentenza d’appello, demandando alla corte territoriale il compito di rinnovare la sua valutazione, «considerando l’eventuale rilevanza degli episodi anteriori alla pronuncia di rigetto dell’istanza di inabilitazione, in rapporto allo sviluppo della malattia del dante causa ed al tempo della stipula dei contratti di cui si chiede l’annullamento». L’accertamento della malafede rilevante ex articolo 428 c.c. ai fini dell’annullamento del contratto. Come è noto, l’atto dell’incapace naturale è annullabile solo se ricorrono due condizioni grave pregiudizio recato dall’atto all’incapace e, per i contratti, mala fede dell’altro contraente. Ai fini dell’accertamento del grave pregiudizio, l’orientamento prevalente postula che la valutazione non deve essere limitata alla verifica dell’esistenza di una lesione di carattere patrimoniale, dovendosi adottare un parametro assai più comprensivo che si estenda alla valutazione di tutti i possibili effetti negativi sull’intera sfera di interessi del soggetto, e quindi anche delle lesioni incidenti sugli interessi di natura personale o comunque non patrimoniale coinvolti nell’atto in questione. Circa il requisito della mala fede dell’altro contraente, si ritiene che la sussistenza di esso possa desumersi da una serie di indizi, come ad esempio dall’irragionevole pregiudizio che il contratto comporta a carico dell’incapace. In ragione di quanto sopra, la S.C. ritiene che anche in relazione al secondo motivo di censura il ricorso sia fondato. Il vizio della sentenza viene individuato nella totale omissione di considerazione del divario tra valore di mercato degli immobili compravenduti e il prezzo esposto, divario ritualmente denunciato dalle appellanti che, se accertato, avrebbe costituito un importante sintomo rivelatore della mala fede del contraente non incapace. L’omissione di ogni riferimento nell’apparato motivazionale della sentenza di seconde cure al ricordato divario, ritualmente allegato dalle odierne ricorrenti, vizia allora irrimediabilmente la sentenza, non essendo pertinente, nel caso di specie, il richiamo al principio di diritto secondo cui l’indagine relativa alla sussistenza dello stato di incapacità del soggetto che abbia stipulato il contratto e alla mala fede di colui che contrae con l’incapace naturale si risolve in un accertamento in fatto demandato al giudice di merito, sottratto al sindacato del giudice di legittimità ove congruamente e logicamente motivato. In conclusione, la Suprema Corte cassa la gravata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Firenze in diversa composizione, affinché rinnovi la valutazione degli elementi probatori senza la ritenuta preclusione derivante dal rigetto dell’istanza di inabilitazione e, quanto alla mala fede degli aventi causa dell’incapace naturale, tenendo conto anche dell’eventuale divario tra valore di mercato dei beni e prezzi esposti nei singoli contratti, ove accertato.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 17 gennaio – 8 febbraio 2012, numero 1770 Presidente Petti – Relatore De Stefano Svolgimento del processo 1.1. C L.V., S L.V., L.V.T. ricorrono per la cassazione della sentenza numero 1419 del 28.10.09 della Corte di appello di Firenze, con la quale, in accoglimento dell'appello di loro zio V. e di loro cugina L.V.R., era stata rigettata la domanda di annullamento di tre contratti di compravendita immobiliare stipulati con questi ultimi da L S., nonna delle ricorrenti e di R., nonché madre di V L.V., domanda intrapresa dalla tutrice della S. dopo la dichiarazione di interdizione della medesima e proseguita dalle odierne ricorrenti a seguito del decesso della comune dante causa. 1.2. In particolare, il tribunale di Firenze aveva ritenuto provata l'incapacità dapprima sulle ammissioni, da parte di uno degli acquirenti, contenute in un precedente per inabilitazione da lui prima intentato, ma concluso con il rigetto, poi sulle cc.tt.u. del procedimento di inabilitazione e di interdizione, nonché sulle prove testimoniali via via assunte ed aveva dato rilievo alla mancata prova del versamento dei corrispettivi, nonché alla mala fede dei convenuti desunta tra l'altro, dai pessimi rapporti coi congiunti. Da tanto era derivato il rigetto della domanda riconvenzionale dei convenuti, ' volta a conseguire il risarcimento dei danni per la trascrizione della domanda di annullamento. 1.3. Invece, la corte di appello ha ritenuto che, con il passaggio in giudicato della sentenza che aveva rigettato l'istanza di inabilitazione, la carenza dei relativi requisiti doveva aversi per indubbia almeno fino alla sua pronuncia e quindi fino al 27.4.87, con conseguente inutilizzabilità del contenuto della c.t.u. svolta nel corso del relativo giudizio e di tutte le testimonianze riferibili all'epoca anteriore ha qualificato come assai dubbia l'affermazione del c.t.u. del procedimento di interdizione in ordine alla retrodatazione dello stato di infermità mentale, nonostante la certezza dell'ictus in data anteriore alla stipula dei contratti, per l'assenza di elementi certi sugli stati intermedi ha ritenuto irrilevante la deposizione del medico di fiducia, siccome riferita a tempi anteriori e comunque a situazioni potenzialmente transeunti ha escluso l'affidabilità delle deposizioni testimoniali valorizzate dal primo giudice, in quanto riferite a periodi anteriori alla definitività del rigetto dell'inabilitazione, oppure relative a tratti caratteriali dell'interdicenda, oppure ancora contraddette dalla deposizione di altro e più qualificato testimone, l'infermiera professionista della casa di cura ove la S. era stata ricoverata ha escluso la mala fede, deponendo in senso contrario sia il rigetto dell'inabilitazione che avrebbe potuto fondare l'affidamento sulla buona salute psichica della interdicenda , sia la produzione di certificazione sulle capacità della venditrice perché funzionale i all'accertamento in tal senso del notaio rogante ha al contempo rigettato la domanda dei convenuti in primo grado ai sensi dell'articolo 96 cod. proc. civ., per la presenza di elementi che, rendendo se non altro plausibile la tesi dell'incapacità, escludono la mala fede. 1.4. Al ricorso di L.V.C. , S. e T., articolato su due motivi, resistono con controricorso L.V.V. e R. e, per la pubblica udienza del 17.1.12, tutte le parti illustrano le rispettive posizioni con le memorie ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ. e prendono parte alla discussione orale. Motivi della decisione 2. Le ricorrenti C L.V., S L.V. e L.V.T. sviluppano due motivi 2.1. con il primo - rubricato violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 428, comma primo, c.c. e degli articolo 2727 e 2729 c.c. anche in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. , dalle pagine 13 a 36 del ricorso – esse censurano la gravata sentenza per l'erroneità della nozione di incapacità naturale posta a base della decisione e per la conseguente scorrettezza della valutazione delle prove quanto al primo aspetto, esse ricordano i principi di questa Corte di legittimità e si dolgono della svalutazione delle risultanze delle consulenze tecniche di ufficio e di tutti gli altri elementi probatori, anche presuntivi, invece raccolti, da valutarsi oltretutto complessivamente e non singolarmente presi e trascrivono poi in ricorso, indicandone pure la sede processuale, le risultanze istruttorie a loro dire a sostegno dell'allegata incapacità 2.2. con il secondo - rubricato violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 428, comma secondo, c.c. e degli articolo 2727 e 2729 c.c. anche in relazione agli articolo 115 e 116 c.p.c. articolo 360 numero 3 c.p.c. omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. , dalle pagine 36 a 44 del ricorso - esse lamentano analoghi vizi della gravata sentenza in ordine all'esclusione dell'elemento della malafede della controparte degli atti annullabili, che esse rinvengono in specifiche circostanze e soprattutto nella manifesta sproporzione del prezzo indicato come versato rispetto a quello di mercato, del tutto trascurata dalla pronuncia della corte territoriale. 3. Dal canto loro, L.V.R. e V. contestano in rito e nel merito gli avversi motivi, escludendo i prospettati errori in diritto e nella valutazione delle prove, le quali ultime a loro volta richiamano esaltandone gli aspetti e gli elementi che a loro dire avrebbero escluso la dedotta incapacità naturale. 4. Il primo motivo è fondato. 4.1. La corte territoriale esclude la prova di un'incapacità naturale al tempo della stipula dei contratti per il giudicato sul rigetto dell'istanza di inabilitazione e quindi sulla piena capacità fino a quel momento - per l'irrilevanza delle risultanze di ogni singola testimonianza in astratto favorevole alla tesi della incapacità ora - come quella del medico di fiducia - perché riferita a tempi anteriori e comunque a situazioni potenzialmente transeunti ora perché relative a fatti accaduti prima della definitività del rigetto dell'istanza di inabilitazione ora perché relative a meri fatti caratteriali dell'interdicenda ora perché contraddetti dalla deposizione di infermiera professionista della casa di cura ove ella era stata ricoverata - per il carattere dubitativo dell'affermazione del c.t.u. del procedimento di interdizione in ordine alla retrodatazione dello stato di infermità mentale, nonostante la certezza dell'ictus in data anteriore ai contratti, per l'assenza di elementi certi sugli stati intermedi. 4.2. Per valutare la congruità logica e giuridica di tali argomentazioni, è necessario, in considerazione del tempo in cui fu resa la pronuncia di rigetto dell'istanza di inabilitazione e per l'individuazione del contenuto dell'eventuale preclusione da giudicato riconosciuta ad essa dalla corte territoriale, ricordare i presupposti dell'inabilitazione in base all'interpretazione dell'istituto anteriore all'entrata in vigore della legge 9 gennaio 2004, numero 6, che ha riformato, con l'introduzione dell'istituto dell'amministrazione di sostegno, il regime di protezione delle persone incapaci ed innovato grandemente anche il regime dei reciproci discrimina tra gli istituti tradizionali ed il nuovo dovendosi ora invece ritenere, in conformità con l'indirizzo interpretativo di questa Corte, che piuttosto la scelta dell'istituto da applicare dipende dalla maggiore rispondenza di ciascuno alle reali esigenze del loro beneficiario Cass. 22 aprile 2009, numero 9628 tali presupposti si individuavano sostanzialmente in un' infermità mentale tale da ridurre l'inabilitando in uno stato permanente di incapacità di provvedere da sé solo alla cura dei suoi affari, bisogni ed interessi, sia pure in misura meno grave dell'interdizione, la quale escludeva del tutto l'idoneità del soggetto a tal fine l'infermità mentale che veniva in considerazione per la dichiarazione d'inabilitazione consisteva in un'alterazione delle facoltà mentali in un grado tale da determinare un'incapacità parziale di curare i propri interessi, tale da imporre, a tal fine, la cooperazione di un altro soggetto tra le altre, anteriori alla richiamata riforma del 2004 Cass. 11 febbraio 1994, numero 1388 . 4.3. Al contrario, l'incapacità naturale, prevista dall'articolo 428 cod. civ. 4.3.1. si connota non già per la totale o sensibile privazione delle facoltà intellettive e volitive, essendo sufficiente la sola menomazione di esse, tale comunque da impedire la formazione di una volontà cosciente, facendo così venire meno la capacità di autodeterminazione del soggetto e la consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere Cass. 1 settembre 2011, numero 17977 Cass. 8 giugno 2011, numero 12532 in particolare, è necessario e sufficiente che per tale menomazione le facoltà intellettive e volitive risultino diminuite in modo tale da impedire od ostacolare una seria valutazione dell'atto e la formazione di una volontà cosciente, facendo quindi venire meno la capacità di piena autodeterminazione del soggetto e la completa consapevolezza in ordine all'atto che sta per compiere tra le molte Cass. 14 maggio 2003 numero 7485 Cass. 15 gennaio 2001, numero 515 4.3.2. non ricorre in presenza di uno stato d'animo indotto da dispiaceri anche gravi, a meno che questi non abbiano cagionato un'autentica patologica alterazione mentale Cass. 8 marzo 2005, numero 4967 più in generale, non è sufficiente che il normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà sia in qualche modo turbato, come può accadere in caso di grave malattia, ma è necessario che le facoltà intellettive e volitive del soggetto siano, a causa della malattia, perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio ciò che va provato in modo rigoroso e specifico Cass. 26 maggio 2000, numero 6999 pertanto, non è sufficiente neppure argomentare sulla base di una pure conclamata malattia, ma che ammetta fasi o momenti di lucido intervallo Cass. 25 novembre 2003, numero 17915, riferita al morbo di Alzheimer di grado medio 4.3.3. va accertata dal giudice del merito, la cui valutazione in ordine alla gravità della diminuzione di tali capacità non è normalmente censurabile in cassazione se adeguatamente motivata tra le molte Cass. 8 giugno 2011, numero 12532, Cass. 26 febbraio 2009, numero 4677 Cass. 2 novembre 2004, numero 21050 Cass. 5 febbraio 2004, numero 2210 Cass. 15 gennaio 2004, numero 515 Cass. 14 maggio 2003, numero 7485 Cass. 28 marzo 2002, numero 4539 , dovendo l'eventuale vizio della motivazione emergere, in ogni caso, direttamente dalla sentenza e non dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità Cass. 1 settembre 2011, numero 17977 . 4.4. Sulle pronunce di interdizione e di inabilitazione si forma allora un giudicato sui generis 4.4.1. già nell'impostazione originaria del codice - ma a maggior ragione a seguito della riforma del 2004, che le ha relegate al rango di extrema ratio - l'interdizione e l'inabilitazione, siccome grandemente limitative della capacità di agire, costituivano l'eccezione alla regola della pienezza dell'esercizio dei propri diritti da parte di ciascun individuo e dovevano necessariamente correlarsi ad un'infermità mentale idonea ad escludere la capacità di provvedere ai propri interessi che non soltanto fosse abituale, ma che soprattutto persistesse nel tempo la pronuncia costitutiva che dichiara un soggetto interdetto o inabilitato è così da subito stata ritenuta indissolubilmente correlata alla persistenza di tale infermità, tanto da essere qualificata come resa allo stato degli atti 4.4.2. se allora tale pronuncia passa in cosa giudicata formale, ciò che è coperto da quest'ultima non è certo che la persona, cui quella si riferisce, sia affetta da quell'infermità da allora in avanti e per sempre ma soltanto che quella persona è affetta da detta infermità nel momento della pronuncia e che lo è stata fino a quel momento con le modalità accertate nella sentenza stessa 4.4.3. in tutti i casi in cui una simile infermità - e nel grado di gravità specificamente riconosciuto con la pronuncia - venga invece meno, o le sue caratteristiche siano modificate, vuoi per il decorso spontaneo della malattia, vuoi per i progressi della scienza medica e quindi delle valutazioni diagnostiche o dell'efficacia delle terapie, è prevista la revoca della pronuncia di interdizione od inabilitazione, al fine di adeguare nuovamente la situazione di diritto a quella di fatto. 4.5. Simmetricamente, in caso di rigetto dell'istanza di inabilitazione, non può passare in giudicato allora altro che l'assenza, al momento della sentenza, dei requisiti per pronunciare l'inabilitazione, cioè di una permanente e seria menomazione delle facoltà mentali dell'interessato, nonché l'irrilevanza, ma a questi soli e specifici fini, degli episodi valutati fino a quel momento questi ultimi, come pure il complessivo stato psichico dell'interessato, rilevano invece in sé considerati, oppure anche quali fatti noti da utilizzare, ove peraltro ne ricorrano tutti i presupposti, per risalire ad eventuali fatti ignoti, secondo lo schema della presunzione. 4.6. A tutto concedere, il rigetto dell'istanza di inabilitazione potrebbe comportare l'inoperatività della presunzione di persistenza intermedia dell'incapacità di intendere e volere, riconosciuta dalla giurisprudenza in caso di accertamento di due momenti temporali di sicura incapacità da ultimo, confermando un orientamento costante, v. Cass. 9 agosto 2011, numero 17130 Cass. 12 marzo 2004, numero 5159, in merito a malattie permanenti, ma non anche ad andamento c.d. bipolare, per questa occorrendo invece la prova positiva dell'incapacità all'atto della stipula Cass. 28 marzo 2002, numero 4539 ma lascia del tutto impregiudicata la rilevanza dei fatti anteriori, anche se è plausibile che essa sia in concreto inversamente proporzionale alla loro lontananza temporale dalla stipula dei contratti sospetti di annullabilità ed anche le valutazioni, quand'anche dubitative, dei medesimi operate nel corso del relativo giudizio dagli ausiliari del giudice possono essere se non altro in concreto valutate, in quanto tese ad accertare una condizione di fatto diversa da quella immediatamente rilevante per l'annullamento. 4.7. Erra allora la corte territoriale nell'affermare che quel rigetto comporti una sorta di intangibile riconoscimento della pienezza della capacità di intendere e di volere fino a quel momento e della carenza di diminuzioni di tali facoltà in ogni singolo momento di qualunque periodo anteriore ed è pertanto incongrua, appunto da un punto di vista strettamente giuridico, la valutazione di irrilevanza dei fatti e degli accertamenti anteriori, i quali andavano invece considerati in sé e per sé, in rapporto al contesto successivo ed agli sviluppi della malattia dell'interessata. 4.8. Già solo per questo si impone la cassazione della gravata sentenza, affinché la corte territoriale rinnovi la sua valutazione, considerando l'eventuale rilevanza degli episodi anteriori alla pronuncia di rigetto dell'istanza di inabilitazione, in rapporto allo sviluppo della malattia della S. ed al tempo della stipula dei contratti di cui si chiede l'annullamento. Resta allora assorbito l'ulteriore profilo di doglianza del primo motivo, relativo alla considerazione atomistica dei singoli elementi, potendosi apprezzare la congruità o meno delle scelte solo all'esito della rinnovata valutazione a farsi. 5. Anche il secondo motivo è fondato. 5.1. La corte fiorentina, pur dando per assorbito l'esame del requisito della mala fede e di ogni altro per l'invocato annullamento, comunque non tanto esclude la sussistenza del primo in ordine ad una sola delle controparti della S. in base, ancora una volta, ad un'interpretazione della sentenza di rigetto dell'istanza di inabilitazione che si è visto non condivisibile, quanto piuttosto neppure si pone il problema degli altri elementi rivelatori, quali i fatti anteriori e, soprattutto, la notevole sproporzione tra il valore di mercato dei beni venduti ed i prezzi esposti nei tre contratti per cui è causa. 5.2. La valutazione sull'affidamento, da parte peraltro di uno solo dei contraenti, cioè V L.V. v. pag. 11 della gravata sentenza , sull'esito del rigetto dell'istanza di inabilitazione oppure sul conseguimento di un certificato - benché, a quanto consta, non proveniente da uno specialista qualificato per la fattispecie - da produrre in sede di stipula rimane stavolta in punto di mero fatto e sfugge quindi alla censura di incongruità ed illogicità della motivazione del resto non potendosi pretendere dall'interessato una serie di nozioni giuridiche, quali quelle qui coinvolte per il giudizio di diritto sull'insussistenza di qualsiasi giudicato derivante dal rigetto dell'istanza di inabilitazione e che invece inficia la decisione di secondo grado per quanto su argomentato . 5.3. Non sfugge invece alle censure delle ricorrenti la mancata considerazione dell'ulteriore elemento, ampiamente sostenuto in giudizio stando a quanto riportato nel ricorso per cassazione ed in ossequio al principio della sua autosufficienza , del divario tra valore di mercato e prezzo esposto negli atti di cui si chiede l'annullamento mentre comunque non è svolta alcuna considerazione in ordine all'altra delle controparti della L.V. S., R 5.4. Benché l'accertamento in concreto della malafede rilevante ai fini dell'articolo 428 cod. civ. sia rimesso al giudice del merito e sia incensurabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivato tra le molte, Cass. 5 febbraio 2004, numero 2210 Cass. 26 febbraio 2009, numero 4677 , la totale omissione della considerazione di un simile divario tra valore di mercato e prezzo esposto - il quale, se accertato, costituirebbe un importante sintomo rivelatore della malafede del contraente non incapace Cass. 14 maggio 2003, numero 7403 Cass. 9 agosto 2007, numero 17583 Cass. 26 febbraio 2009, numero 4677 - vizia allora il giudizio della corte territoriale, la cui pronuncia va cassata anche sul punto. 6. In conclusione, la gravata sentenza va cassata, con rinvio alla corte di appello di Firenze in diversa composizione, affinché rinnovi la valutazione degli elementi probatori senza la ritenuta preclusione derivante dal rigetto dell'istanza di inabilitazione e, quanto alla malafede delle controparti della S., tenendo conto anche dell'eventuale divario tra valore di mercato dei beni e prezzi esposti nei singoli contratti, ove accertato. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa, in relazione alle censure accolte, la gravata sentenza e rinvia alla corte di appello di Firenze, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.