La comunione legale non tollera intrusi: impossibile per il coniuge alienare a terzi beni comuni per soddisfarsi sul ricavato

In tema di comunione legale tra i coniugi, la violazione dell’art. 184, comma 3 c.c., per avere il coniuge compiuto atti di straordinaria amministrazione riguardanti beni mobili senza il consenso dell’altro, non comporta l’annullamento dell’atto compiuto, ma solo che il coniuge sia condannato a ripristinare lo stato della comunione precedente il compimento dell’atto contestato.

Di conseguenza il coniuge che ha subito l’ abuso” non può agire esecutivamente sui beni dell’altro e sui beni della comunione per soddisfarsi sul ricavato della vendita forzata, ma può solo agire al fine di ricostituire lo status quo ante l’atto di straordinaria amministrazione o versando una somma equivalente in caso di impossibilità di ripristino . Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza 25625 del 14 novembre 2013. Il caso. La moglie in regime di comunione dei beni con il marito, prelevava arbitrariamente e unilateralmente titoli azionari del valore di diversi milioni di lire appartenenti alla comunione legale fra coniugi senza interpellare l’altro. A seguito di tale condotta, il marito otteneva dal Tribunale un sequestro conservativo di titoli azionari in parte di proprietà esclusiva della moglie e in parte della comunione legale. Al termine del giudizio di merito, la moglie veniva condannata alla ricostituzione della comunione dei beni ex art. 184, comma 3, c.c. nello stato in cui si trovava all’epoca del prelevamento o, in caso di impossibilità, al pagamento per equivalente. Ottenuta tale sentenza il marito procedeva esecutivamente sui titoli già sequestrati, ma la moglie proponeva opposizione all’esecuzione. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello confermavano le pretese del marito e la signora era così costretta a ricorrere in Cassazione. Comunione tra coniugi. Il fulcro della vicenda attiene al giusto valore da attribuire alla comunione legale e agli effetti che l’azione esecutiva del marito produce sulla stessa e sul patrimonio della moglie. Come noto, la comunione dei beni tra coniugi è una particolare forma di contitolarità che il codice civile prevede per i rapporti patrimoniali tra marito e moglie. Essa si distingue dalla comunione ordinaria, giacché può sorgere solo tra coniugi e non consente l’ingresso di altri soggetti terzi. Non dà luogo infatti a un’ipotesi di proprietà pro-quota”, ma al contrario è stata definita come particolare forma di proprietà plurima parziaria” simile alla comunione a mani unite di diritto tedesco in tal senso si era espressa la Corte Costituzionale con la sentenza n. 311/1988 . Essa cioè è una comunione senza quote in cui i coniugi non sono individualmente titolari di un diritto di quota, bensì sono titolari, in solido, di un diritto avente per oggetto i beni della comunione. La quota inoltre ha essenzialmente la funzione di stabilire la misura entro cui i beni della comunione possono essere aggrediti dai creditori particolari e il limite della responsabilità sussidiaria di ciascuno dei coniugi con i propri beni personali verso i creditori della comunione. Tale regime inoltre è detto vincolato” perché il singolo coniuge non può acquistare un cespite per sé in via esclusiva salvo le modalità degli artt. 179 e 210 c.c. né può disporre individualmente dei beni della comunione. Non è inoltre universale”, cioè relativa a tutto quanto appartiene a ciascun coniuge, bensì è una comunione di acquisti compiuti in costanza di matrimonio in base alle regole dettate dagli artt. 177 e ss. c.c. La moglie non può alienare a terzi beni comuni per soddisfarsi sul ricavato. In particolare, nel caso di specie, i titoli azionari appartenevano alla comunione cosiddetta de residuo , ai sensi dell’art. 177 c.c. lett. c , essendo proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi e non consumati al momento dello scioglimento della comunione. In quanto tali, non potevano essere oggetto di libera disposizione della moglie, la quale, quindi, prelevandoli a proprio esclusivo interesse, aveva posto in essere un atto di straordinaria amministrazione che necessitava del consenso del marito. Si rammenta infatti che l’ordinaria amministrazione dei beni in comunione spetta disgiuntamente ad entrambi i coniugi art. 180, comma 1, c.c. , ma gli atti che esorbitano tali limiti spettano congiuntamente a marito e moglie. Pertanto, ove si tratti di beni mobili, l’atto compiuto senza il consenso dell’altro coniuge non è annullabile anzi in sé è valido ed efficace , ma il trasgressore” dovrà ripristinare lo stato della comunione ante atto”. Orbene, la vendita forzata dei titoli già sequestrati dal marito non rispondeva a tali esigenze ripristinatorie” perché il provvedimento cautelare aveva colpito tanto i beni della moglie, quanto alcuni beni già in comunione. Inoltre lo scopo dell’art. 184 c.c. non è quello di aggredire i beni di uno dei coniugi per soddisfarsi sul ricavato come invece sarebbe avvenuto con la vendita forzata dei titoli già sequestrati , bensì di ottenere che i beni della moglie andassero a ricostituire la comunione. Di fatto l’azione esecutiva intrapresa portava a risultati abnormi da un lato sottoponeva a pignoramento beni già appartenenti alla comunione, dall’altro colpiva questi e altri beni espropriandoli” ai coniugi e vendendoli a terzi estranei. Proprio su queste obiezioni, sollevate puntualmente dalla ricorrente, le sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello avevano omesso di fornire una motivazione puntuale e dettagliata, perdendosi al contrario in una disamina degli effetti della conversione del sequestro conservativo in pignoramento ex art. 686 c.p.c. La Corte di Cassazione condivideva le argomentazioni della ricorrente e rilevava le incongruenze delle decisioni di merito rispetto alla disciplina della comunione legale tra i coniugi sopra brevemente esposta. Il risultato non poteva dunque che portare all’accoglimento del ricorso con conseguente cassazione la sentenza della Corte territoriale.

Corte di Cassazione , sez. III Civile, sentenza 9 ottobre - 14 novembre 2013 n. 25625 Presidente Segreto – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. A seguito del prelevamento, da parte di P R. , di titoli appartenenti alla comunione legale fra la medesima ed il coniuge R M. per il valore di circa 175 milioni di lire, quest'ultimo otteneva dal Tribunale di Venezia un provvedimento di sequestro conservativo di titoli azionari in parte di proprietà esclusiva della R. e in parte della comunione legale fra i coniugi. Con sentenza passata in giudicato il Tribunale di Venezia - davanti al quale era stato promosso il conseguente giudizio di merito - condannava la R. a ricostituire, ai sensi dell'art. 184, terzo comma, cod. civ., la comunione legale nello stato in cui si trovava prima del prelevamento o, in caso di impossibilità, al pagamento per equivalente. A seguito di tale pronuncia, il M. promuoveva procedura di esecuzione forzata, davanti al Tribunale di Trieste, chiedendo che, previa applicazione dell'art. 686 cod. proc. civ., si procedesse alla vendita forzata delle azioni a suo tempo sottoposte a sequestro. 2. Avverso tale procedura proponeva opposizione all'esecuzione la R. e il Tribunale di Trieste, con sentenza del 13 aprile 2007, respingeva l'opposizione, condannando l'opponente alle spese di lite. Osservava il Tribunale che l'esecuzione oggetto di opposizione trovava il proprio fondamento nel provvedimento di sequestro conservativo concesso dal Tribunale di Venezia. Nel caso specifico, i coniugi R. - M. avevano acquistato, nel corso del matrimonio, fondi di investimento ed altri titoli per circa 350 milioni di lire, i quali, benché formalmente intestati alla moglie, dovevano ritenersi ricadenti nella comunione legale, in quanto proventi dell'attività separata di ciascuno dei coniugi. Ne conseguiva che la R. , liquidando titoli per un valore di circa 175 milioni di lire, aveva compiuto un atto di straordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell'altro coniuge di qui la decisione del Tribunale di Venezia di confermare il sequestro, con condanna della moglie alla ricostituzione della comunione nello status quo ante . E poiché il sequestro conservativo, ai sensi dell'art. 686 cod. proc. civ., si converte ipso iure in pignoramento nel momento in cui il sequestrante ottiene sentenza di condanna esecutiva, l'opposizione doveva essere rigettata, siccome infondata in fatto e in diritto. 3. Avverso la sentenza del Tribunale di Trieste propone ricorso P R. , con atto affidato a due motivi. Resiste R M. con controricorso. La ricorrente ha presentato memoria. Motivi della decisione 1. Col primo motivo di ricorso si lamenta, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, oltre a violazione dell'art. 132, n. 4 , cod. proc. civ. per motivazione apparente. La ricorrente, dopo aver riassunto le principali tappe processuali della vicenda, rileva che la sentenza impugnata non contiene alcun riferimento ai motivi dell'opposizione all'esecuzione proposta. Quest'ultima, infatti, si fondava sul rilievo per cui la sentenza del Tribunale di Venezia posta in esecuzione non conteneva affatto un ordine alla R. di pagare alcunché a favore del M. la R. era stata condannata a ricostituire la comunione fra coniugi, comunione che era divenuta ordinaria a seguito della separazione legale tra i medesimi. L'esecuzione della sentenza, quindi, poteva avere luogo solo assegnando i beni pignorati pro quota , senza che il M. potesse pretendere la vendita forzata dei titoli, poiché nella comunione, anche ordinaria, è necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione. Il Tribunale, pur dimostrando di avere contezza di tali argomentazioni nel provvedimento di sospensione dell'esecuzione in un primo tempo disposto, ha poi rigettato l'opposizione all'esecuzione con una motivazione del tutto apparente, in quanto non idonea a far comprendere le ragioni della decisione e senza tenere in alcun conto le prospettate ragioni di opposizione. 2. Col secondo motivo di ricorso si lamenta violazione degli artt. 184, 191, 192, 1108 e 2910 cod. civ., nonché dell'art. 491 del codice di procedura civile. Rileva la ricorrente che l'esecuzione della sentenza emessa dal Tribunale di Venezia implicava, a suo carico, l'obbligo di ricostituzione della comunione o, in caso di impossibilità, l'obbligo di pagamento dell'equivalente. Ora, la ricostituzione non poteva avvenire versando somme all'ex marito, ma solo versandole in favore della comunione risulta, quindi, paradossale” la pretesa del M. di pignorare le azioni che già appartengono alla comunione legale, allo scopo di ottenerne la vendita forzata con destinazione del ricavato alla medesima comunione. 3. I due motivi di ricorso, che vanno trattati congiuntamente, sono fondati nei termini che ora verranno precisati. 3.1. È pacifico che il M. , ex coniuge della R. , aveva a suo tempo ottenuto un sequestro conservativo di azioni della s.p.a. Assicurazioni generali per un valore complessivo di lire 168.154.227, azioni appartenenti in parte alla R. ed in parte alla comunione legale v. sentenza impugnata alla p. 3, senza contestazioni sul punto . La sentenza in esame aggiunge che il giudizio promosso dal M. nei confronti della R. si era concluso con una sentenza che condannava quest'ultima a ricostituire, ai sensi dell'art. 184, terzo comma, cod. civ., la comunione legale nello stato in cui si trovava prima del prelevamento o, in caso di impossibilità, al pagamento per equivalente. Si può dunque affermare - alla luce di tali rilievi - che il M. aveva diritto di agire in executivis nei confronti della R. , sulla base del titolo costituito dalla sentenza del Tribunale di Venezia appena richiamata e nei limiti dello stesso tale diritto, però, era finalizzato ad ottenere solo quanto il titolo stabiliva, ossia la ricostituzione della consistenza del patrimonio della comunione esistente tra gli ex coniugi, depauperata a causa dai prelievi compiuti dalla R. . Tale ricostituzione doveva avvenire tramite l'aggressione, da parte del creditore M. , del patrimonio individuale della debitrice, ma non allo scopo di venderlo per soddisfarsi sul ricavato, bensì allo scopo di ottenere che i beni della R. andassero a ricostituire, appunto, la consistenza della comunione nello status quo ante. 3.2. A fronte di simile situazione, la sentenza impugnata si snoda lungo due direttrici. Da un lato, essa si preoccupa di ricostruire le tappe che hanno portato il Tribunale di Venezia a pronunciare la sentenza che, come si è detto, costituisce il titolo esecutivo dall'altro, si sofferma a lungo sulla natura del sequestro conservativo e sulla sua conversione in pignoramento, secondo la previsione dell'art. 686 del codice di rito. Tali argomentazioni - in particolare quelle sulla conversione del sequestro conservativo - sono completamente inconferenti rispetto al thema decidendum del giudizio che il Tribunale di Trieste doveva compiere, che era appunto un giudizio di opposizione all'esecuzione. Nella specie, è lo stesso Tribunale di Trieste a dare conto, come si è detto, del fatto che i beni aggrediti dal M. con il sequestro conservativo poi convertitosi in pignoramento non erano beni esclusivi della R. , ma anche, in parte, beni della comunione a suo tempo esistente tra gli ex coniugi. Ed il M. , alla p. 11 del controricorso, riconosce come pacifico che oggetto del sequestro, e poi dell'esecuzione, erano anche 851 azioni delle Generali, acquistate prima del matrimonio dalla ricorrente, che non fanno parte della comunione e che quindi sono proprietà esclusiva di R.P. ” con ciò ammettendo che sono stati oggetto di pignoramento anche beni che erano già parte della comunione. Né assume alcuna importanza, al riguardo, stabilire se la comunione da ricostituire fosse la comunione legale tra coniugi o, invece, una comunione ordinaria, perché il problema della sorte ulteriorie di tali beni, ivi compresa l'eventuale divisione e successiva vendita, si porrà soltanto in un secondo momento, cioè quando la R. avrà reintegrato con propri beni la comunione, in esecuzione del giudicato del Tribunale di Venezia. 3.3. Risulta evidente, a questo punto, che la sentenza in esame contiene una motivazione apparente e parzialmente errata in diritto, perché non risponde in alcun modo alle contestazioni fatte valere dalla R. con l'atto di opposizione. In tale atto l'odierna ricorrente da un lato evidenziava che il M. non aveva diritto di ottenere la vendita forzata dei beni della R. allo scopo di incamerarne il ricavato, ma solo allo scopo di ricostituire il patrimonio della comunione dall'altro poneva in luce l'evidente assurdità di procedere in esecuzione espropriando beni che erano già, almeno in parte, appartenenti alla comunione tra i coniugi. 4. In conclusione, il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata nei limiti di cui in motivazione. Al Giudice di rinvio - che si designa nel medesimo Tribunale di Trieste, in diversa composizione personale spetterà il compito di decidere l'opposizione all'esecuzione proposta dalla R. valutando se, ed in quale misura, siano stati aggrediti anche beni già appartenenti alla comunione tra coniugi, che dovrà essere ricostituita con beni appartenenti esclusivamente alla R. entro tali limiti, infatti, dovrà essere circoscritta l'esecuzione sostenuta dal titolo. Al Giudice di rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Trieste, in diversa composizione personale, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.