Ambulatorio aperto in ritardo, né prassi né impegni in reparto giustificano il medico

L'accusa è di aver interrotto un pubblico servizio, causando disagio e allarme, per due ore, ai pazienti in attesa. Attività spostata dalle 8 alle 10. L'assoluzione in Appello viene rimessa in discussione, ma scatta la prescrizione.

Due ore di ritardo nell'apertura dell'ambulatorio. Per i giudici dell'Appello possono essere inquadrabili come una prassi legata ad altrettanto importanti attività svolte nel contesto di un ospedale campano. Per i giudici della Cassazione, invece, l'idea di una simile prassi è inaccettabile esistono tutti i presupposti - come viene chiarito nella sentenza numero 36253/2011, Sesta Sezione Penale, depositata ieri - perché si valuti il reato di interruzione di pubblico servizio . Si apre alle 8, forse Orari fissati in maniera netta per l'ambulatorio di Ortopedia operatività a partire dalle ore 8. Ma, dopo due ore, i pazienti in lunga attesa chiedono l'intervento della guardia giurata dell'ospedale e di un agente di polizia. Così si scopre l'arcano il medico responsabile è arrivato a lavoro poco dopo le 9 e si è presentato in ambulatorio alle 10. Medico ritardatario ma giustificato. A finire nel mirino è, ovviamente, la lentezza del medico, che si ritrova sul banco degli imputati, per avere interrotto un pubblico servizio. La decisione del Tribunale è chiara condanna. A sorpresa, però, la Corte d'Appello ribalta tutto e opta per l'assoluzione. Con quali motivazioni? Volendo sintetizzare, viene affermato che tale ritardo non era temporalmente apprezzabile e che l'andamento del servizio non aveva subito danno rilevante , escludendo che un ritardo di ben due ore nell'apertura dell'ambulatorio di Ortopedia avesse integrato un significativo disservizio . Per giunta, non viene neanche ritenuta rilevante la situazione di disagio ed allarme creatasi nel pubblico in attesa , nonostante le testimonianze della guardia giurata e dell'agente di polizia. E invece due ore posson bastare La decisione in Appello viene ritenuta inaccettabile dal Procuratore Generale, che decide di presentare ricorso per cassazione, col chiaro obiettivo di vedere ribaltata la pronuncia. Per quest'ultimo, difatti, ci sono diverse falle da riparare innanzitutto, il fatto ignorato in Appello che, secondo la norma, si può integrare il reato di interruzione di pubblico servizio anche facendo riferimento alla condotta di colui che cagioni allo svolgimento del servizio un semplice ritardo eppoi, le testimonianze anch'esse ignorate in Appello utili ad evidenziare l'allarme creatosi tra i pazienti. Di fronte a questa visione, i giudici della Cassazione mostrano di condividere appieno, ricordando, in premessa, che la tutela normativa è prevista non solo per l'effettivo funzionamento di un pubblico ufficio ma anche per il suo ordinato e regolare svolgimento e che il reato si concretizza anche se l'interruzione sia temporalmente limitata e riguardi solamente un settore e non la totalità delle attività . Altro riferimento fondamentale, poi, è all'idea, prospettata in Appello, che il ritardo sia giustificabile per prassi, in relazione ad altri impegni di reparto questa idea viene respinta dai giudici della Cassazione, soprattutto in tema di reati contro la Pubblica Amministrazione. In più, nello specifico caso, bisogna tener conto della urgenza ed improcrastinabilità del servizio di Pronto Soccorso , che imponeva l'astensione da comportamenti diversi da quelli dovuti e corrispondenti alla gestione del servizio di Pronto Soccorso . Salvezza in extremis. Per i giudici di piazza Cavour la questione va completamente rivista, e il primo passo è l'accoglimento del ricorso presentato dal Procuratore Generale. Evidentemente, ci sono tutti i presupposti per il reato di interruzione di pubblico servizio. Eppure, il medico 'ritardatario' è salvo, grazie alla prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 settembre - 6 ottobre 2011, numero 36253Presidente Mannino - Relatore LanzaRitenuto in fatto e considerato in dirittoIl Procuratore generale presso la Corte di appello di Napoli ricorre avverso la sentenza 26 febbraio 2010 della Corte di appello di Napoli, la quale, in parziale riforma della sentenza 9 giugno 2008 del Tribunale di Torre Annunziata che aveva condannato C. G., per il reato ex articolo 340 c.p., ha assolto l'imputata dal reato di cui all'articolo 340 c.p. perché il fatto non sussiste, ritenendo che il ritardo realizzato e consistito nell'essersi la dr.ssa recata in ambulatorio attivo sin dalle ore 8 del mattino alle 10, dopo essersi presentata al lavoro alle ore 9,06, non fosse idoneo ad integrare un danno rilevante all'andamento del servizio.2 i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.Con un unico motivo di impugnazione il Procuratore generale prospetta violazione o erronea applicazione dell'articolo 340 c.p., contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, nonché travisamento della prova.Rileva la parte pubblica a che la Corte di appello, accogliendo un generico motivo di gravame della difesa, ha assolto l'imputata rilevando che la stessa era scesa all'ambulatorio, aperto dalle ore 08.00, solo alle ore 10.00 ma che tale ritardo non era temporalmente apprezzabile e che l'andamento del servizio non aveva subito danno rilevante b che con tale motivazione la corte distrettuale ha ignorato il significato della norma incriminatrice, nella costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, secondo cui integra il reato di interruzione di un pubblico ufficio o servizio la condotta di colui che cagioni allo svolgimento del servizio anche un semplice ritardo, purché apprezzabile sul piano temporale e su quello del suo regolare andamento si cita in proposito Cass. Sez. VI,. 26934/200S 334/2009 sez.V, 919/2009 , escludendo che un ritardo di ben due ore nell'apertura dell'ambulatorio di ortopedia, gestito esclusivamente dall'imputata, avesse integrato un significativo disservizio c che con una tale illogica e carente motivazione sono state altresì travisate tutte le prove testimoniali raccolte dal primo giudice ed analiticamente esposte nella sentenza del 9 giugno 2008, che evidenziavano una situazione di disagio ed allarme creatasi nel pubblico in attesa, così come chiaramente riferito dai testi P. D., guardia giurata in servizio all'ospedale, e S. M., agente di polizia allertato dai pazienti in attesa presso il medesimo nosocomio.Il motivo è per più profili fondato.Va in proposito premesso che il reato di interruzione di un ufficio o servizio pubblico o di pubblica necessità, di cui all'articolo 340 c.p., è reato di evento la cui consumazione richiede un pregiudizio effettivo e non necessariamente di particolare rilievo nella continuità o nella regolarità di un servizio pubblico o di pubblica necessità Cass. penumero sez. 6, 29351/2006 Rv. 235089 .Su tali premesse va quindi conseguentemente ribadito I che ai fini della integrazione dell'elemento oggettivo del reato previsto dall'articolo 340 c.p., non ha rilievo che l'interruzione sia stata temporanea o che si sia trattato di un mero turbamento nel regolare svolgimento dell'ufficio o del servizio, atteso che la predetta fattispecie incriminatrice tutela non solo l'effettivo funzionamento di un ufficio, ovvero di un servizio pubblico o di pubblica necessità, ma anche il suo ordinato e regolare svolgimento Cass. penumero sez. 6, 35071/2007 Rv. 238025 II che il reato de quo si realizza anche se l'interruzione o il turbamento della regolarità dell'ufficio o del servizio siano temporalmente limitati e coinvolgano solamente un settore e non la totalità delle attività Cass. penumero sez. 6, 334/2008 Rv. III che, pertanto, anche la condotta che determini una temporanea alterazione, purché oggettivamente apprezzabile, nella regolarità dell'ufficio o del servizio, è idonea a realizzare l'azione esecutiva del delitto in questione Cass. penumero sez. 5, 27919/2009 Rv. 44337 .Orbene in relazione a tali tre standards probatori non v'è dubbio che la motivazione, che ha supportato la decisione di assoluzione della Corte di appello, sia affetta dai vizi indicati nell'impugnazione del Procuratore generale di Napoli.Conclusione da assumersi avuto riguardo al quadro complessivo della condotta attribuita alla dr.ssa C., che aveva indotto i pazienti in attesa a ricorrere all'intervento dell'agente di Polizia del Drappello ospedaliero , e tenuto altresì conto che nella specie dalla stessa sentenza di proscioglimento risulta un ritardo pari a due ore, che si prospetta erroneamente come giustificabile per prassi , in relazione a generici altri impegni di reparto.Va invero rilevato in punto di prassi che in tema di reati contro la P.A. non può essere affermata la carenza dell'elemento soggettivo allorquando una prassi diffusa si sia inserita in un contesto giuridico amministrativo, sicuramente incerto in ordine é la possibilità di realizzare l'attività contestata, dovendo l'agente astenersi dal porre in essere comportamenti di incerta rilevanza ed acquisire dai competenti organi amministrativi le necessarie informazioni ed assicurazioni circa la legittimità dell'attività svolta, in modo da adempiere a quell'onere informativo che potrebbe rendere scusabile l'errore sulla legge penale cfr. in termini Cass. penumero sezione VI, 35813/07, R.V. 237767 .Nella specie, a fronte di un orario del Pronto soccorso di ortopedia che decorreva dalle ore 8, cui è corrisposta una presenza della C. solo alle ore 10.La prassi di impegni altri , dopo la marcatura dell'ingresso nella specie avvenuta alle 9,06 , a parte ogni altra considerazione, era in tale contesto sicuramente discutibile, avuto riguardo alla urgenza ed improcrastinabilità del servizio, appunto di pronto soccorso ed imponeva l'astensione da comportamenti diversi da quelli dovuti e corrispondenti alla gestione del servizio di pronto soccorso stesso.Il ricorso del P.M. risulta quindi ammissibile in rito e fondato nel merito con conseguente annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenumero za per intervenuta prescrizione.Per risalente giurisprudenza Cass. penumero sez. 4, 243/1966 Rv. 101276 , formatasi già nella vigenza dell'articolo 152 c.p.p. abrogato, ove nelle more del giudizio per cassazione venga a maturarsi il termine di estinzione del reato per prescrizione, la sentenza assolutoria con formula piena emessa dal giudice di appello non costituisce la prova richiesta dall'articolo 129 capoverso c.p.p. e non vale quindi ad escludere l'applicazione della causa estintiva, nei casi in cui, come quello di specie, il ricorso del P.M. risulti rituale e non manifestamente infondato.P.Q.M.Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.