La nullità del patto di maggiorazione del canone non investe l’intero contratto

Il patto con cui le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo abbiano concordato occultamente un canone superiore a quello dichiarato è nullo.

Sul tema si è espressa la Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 16175/18, depositata il 19 giugno. La vicenda. La locataria di un appartamento conveniva in giudizio il locatore chiedendo la restituzione di canoni versati in eccesso rispetto a quanto convenuto, oltre al deposito cauzionale. Il Tribunale accoglieva la domanda nei soli limiti del deposito cauzionale. La decisione veniva ribaltata in appello con l’accoglimento integrale della domanda, decisione fondata sulla dissimulazione del contratto privo di forma scritta nonostante la durata ultradecennale. Il soccombente ricorre per la cassazione della pronuncia. Nullità. Il Collegio ricorda che il patto con cui le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo abbiano concordato occultamente un canone superiore a quello dichiarato è nullo. Trattandosi di una nullità vitiatur sed non vitiat, è affetto da nullità insanabile il solo patto di maggiorazione del canone e non l’intero accordo negoziale. In altre parole, ricorda la Corte, «la sanzione di nullità sancita dall’articolo 79 l. numero 392/1978, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste “in itinere” e diverse da quelle consentite “ex lege”, deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto». In conclusione, la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 8 maggio – 19 giugno 2018, numero 16175 Presidente Amendola – Relatore Scoditti Fatto e diritto Rilevato che D.M. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Nocera Inferiore D.S. chiedendo la restituzione dei canoni di locazione versati in misura maggiore rispetto al canone convenuto nonché del deposito cauzionale. Il Tribunale adito rigettò la domanda, accogliendola nei limiti del deposito cauzionale. Avverso detta sentenza propose appello la D. . Con sentenza di data 3 novembre 2016 la Corte d’appello di Salerno accolse l’appello, condannando l’appellato al pagamento della somma di Euro 50.921,24 oltre interessi. Osservò la corte territoriale per quanto qui rileva, previo rigetto dell’eccezione di tardività dell’appello ritenendo applicabile alle controversie locatizie la sospensione dei termini durante il periodo feriale, che il contratto dissimulato era privo di forma scritta, laddove trattandosi di contratto di durata decennale era prevista la forma scritta articolo 1350 numero 8 cod. civ. , nonché di registrazione, e che in mancanza di forma scritta non poteva ritenersi provata la convenzione dissimulata di maggiorazione del canone. Ha proposto ricorso per cassazione D.S. sulla base di due motivi e resiste con controricorso la parte intimata. Il relatore ha ravvisato un’ipotesi di manifesta infondatezza del ricorso. Il Presidente ha fissato l’adunanza della Corte e sono seguite le comunicazioni di rito. Considerato che con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 3 legge numero 742 del 1969 e 92 r.d. numero 12 del 1941. Osserva il ricorrente che nelle controversie locatizie non trova applicazione la sospensione feriale dei termini. Il motivo è infondato. Nel procedimento di convalida di licenza per finita locazione o di sfratto, la sospensione dei termini durante il periodo feriale resta esclusa, in forza della deroga contenuta nell’articolo 3 della legge 7 ottobre 1969, numero 742, in relazione all’articolo 92 del r.d. 30 gennaio 1941, numero 12, solo per la fase sommaria di esso, la quale si conclude, nel caso d’opposizione dell’intimato, con la pronuncia o il diniego dell’ordinanza di rilascio e che presenta per sua natura carattere d’urgenza, mentre trova applicazione, ai sensi del principio generale stabilito dall’articolo 1 della legge 7 ottobre 1969, numero 742, per la successiva fase a rito ordinario Cass. 12 novembre 2015, numero 23193 27 maggio 2010, numero 12979 . Con il secondo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 1414 cod. civ. e 70 legge numero 392 del 1978. Osserva il ricorrente che, come affermato dal giudice di primo grado, l’articolo 1350 cod. civ. abilita le parti alla stipulazione di contratto di locazione ad uso diverso da quello abitativo in forma orale e che il contratto simulato non produce effetto fra le parti. Aggiunge che il giudice di appello ha erroneamente deciso in contrasto con le risultanze istruttorie. Il motivo è infondato. Devono richiamarsi i principi di diritto enunciati da Cass. Sez. U. 9 ottobre 2017, numero 23601 è nullo il patto con il quale le parti di un contratto di locazione di immobili ad uso non abitativo concordino occultamente un canone superiore a quello dichiarato tale nullità vitiatur sed non vitiat , con la conseguenza che il solo patto di maggiorazione del canone risulterà insanabilmente nullo, a prescindere dall’avvenuta registrazione la sanzione di nullità sancita dall’articolo 79 della l. numero 392 del 1978, tradizionalmente intesa come volta a colpire le sole maggiorazioni del canone previste in itinere e diverse da quelle consentite ex lege , deve, invece, essere letta nel senso che il patto di maggiorazione del canone è nullo anche se la sua previsione attiene al momento genetico, e non soltanto funzionale, del rapporto. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228, che ha aggiunto il comma 1 - quater all’articolo 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, con distrazione in favore del procuratore anticipatario e che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17 della l. numero 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.