La Suprema Corte rimette gli atti alle Sezioni Unite per dirimere un contrasto giurisprudenziale in merito alla possibilità di rilevare d’ufficio l’intervenuta prescrizione del reato, maturata prima della pronuncia in sede d’appello ed in tale fase non eccepita né rilevata , in caso di inammissibilità del ricorso per cassazione.
In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con l’ordinanza numero 3250/2016, depositata il 25 gennaio scorso. Il caso. La Corte d’Appello di Genova, confermando la statuizione del giudice di prime cure, condannava un imputato per il reato di cui agli articolo 582, 583 , nnumero 2 e 4, c.p. lesioni personali, con le aggravanti dell’aver cagionato alla persona offesa indebolimento permanente di un senso o di un organo e deformazione o sfregio permanente del viso . Il condannato ricorreva per Cassazione, lamentando violazione di legge per mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale, nonostante con la restituzione nel termine per impugnare fosse stata riconosciuta la sua mancata partecipazione, al giudizio di primo grado. Il principio affermato dalle Sezioni Unite. La Suprema Corte ha preliminarmente chiarito come il ricorso debba essere tacciato di inammissibilità, in quanto generico dallo stesso, infatti, non emergono i presupposti fattuali alla base dell’adozione dell’ordinanza di restituzione in termini, né la medesima è stata allegata al ricorso. Gli Ermellini, però, si sono soffermati su un’altra questione, ovvero l’intervenuta prescrizione del reato tale causa estintiva, peraltro, non appare essere stata rilevata né dal giudice d’appello né dal ricorrente, benché il termine fosse già decorso prima della pronuncia della sentenza da parte della Corte territoriale. Il Collegio ha ribadito il principio, affermato dalle Sezioni Unite, per cui, se il ricorso per cassazione è inammissibile, deve intendersi preclusa ogni possibilità di far valere, per le parti, o rilevare d’ufficio, ai sensi dell’articolo 129 c.p.p., l’estinzione dell’illecito per prescrizione, anche se la stessa è maturata in data anteriore alla sentenza d’appello e non è stata rilevata dal giudice, in tale fase. Gli orientamenti giurisprudenziali sulla questione. La Corte di legittimità ha, successivamente, illustrato le posizioni assunte dalla giurisprudenza in merito alla rilevabilità della prescrizione, nelle ipotesi di ricorso per cassazione inammissibile. In particolare, gli Ermellini hanno posto in rilevo un primo arresto, secondo il quale l’inammissibilità del ricorso per cassazione, scaturente dalla manifesta infondatezza dei motivi di gravame, non può precludere che siano rilevate d’ufficio le cause di non punibilità previste dall’articolo 129 c.p.p. tale efficacia preclusiva, invece, dovrebbe riconoscersi qualora l’inammissibilità derivi dall’enunciazione di motivi non consentiti e dalla denuncia di violazioni di legge non dedotte in appello. I successivi arresti giurisprudenziali, però, hanno superato la distinzione operata nella pronuncia di cui sopra e le Sezioni Unite sono giunte alla conclusione per cui «l’intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge articolo 591, comma 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione articolo 606, comma 3 , precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla d’ufficio». Il Collegio ha sottolineato come le sezioni semplici si siano divise sul punto, alcune sposando l’orientamento delle Sezioni Unite, altre contrastandolo, rilevando come sussistano ipotesi in cui il giudice mantiene intatta la sua cognizione ed ha l’onere di pronunciarsi con sentenza che non si limiti ad enunciare l’inammissibilità del ricorso morte dell’imputato, abolitio criminis, dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice . La ratio della prescrizione e la rimessione alle Sezioni Unite. La Suprema Corte, alla luce degli arresti giurisprudenziali sopra brevemente riportati, si è chiesta se la prescrizione possa costituire una di quelle ipotesi, in presenza delle quali viene travolta l’inammissibilità dell’impugnazione. Il Collegio ha sottolineato come la ratio dell’istituto, connessa al venir meno, con il trascorrere del tempo, dell’interesse dello Stato all’esercizio della pretesa punitiva, sembri deporre in tal senso. E, a parere degli Ermellini, appare evidente come l’ordinamento ritenga che la prescrizione debba operare per il solo fatto di essersi verificata, come dimostrato dal disposto dell’articolo 411 c.p.p. . Peraltro, hanno rilevato i giudici del “Palazzaccio”, il principio affermato dalle Sezioni Unite sembra contrastare con il valore costituzionale di uguaglianza, di cui all’articolo 3, ponendo in essere una disparità di trattamento ingiustificata, in quanto riconducibile ad un error iudicis. Si è, poi, affermato, un filone giurisprudenziale che depone a favore della possibilità di rilevare la prescrizione, anche nel caso di ricorso inammissibile, purché non sia posta in essere un’attività di apprezzamento delle prove, finalizzata a stabilire un termine di decorrenza diverso da quello in imputazione. Sulla base di quanto sopra esposto, la V sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti alle Sezioni Unite.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, ordinanza 24 novembre 2015 – 25 gennaio 2016, numero 3250 Presidente Fumo – Relatore Catena Ritenuto in fatto Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Genova confermava la sentenza emessa in data 27/05/2008 dal Tribunale di Massa in composizione monocratica nei confronti di M.D. , condannato a pena di giustizia per il delitto di cui agli articolo 582, 583 numero 2 e 4, c.p. - per aver cagionato lesioni personali gravissime a Mi.Or. , da cui derivava uno sfregio permanente al viso, colpendolo con un pugno e con un bicchiere in omissis . Con ricorso depositato il 6/11/2014, il difensore del ricorrente, Avv.to Pierpaolo Santini, deduce violazione di legge poiché, a seguito di ordinanza di questa Corte, il Giudice dell'esecuzione aveva disposto la restituzione del termine ad impugnare nei confronti del ricorrente, e tuttavia il giudizio in grado di appello, celebratosi a seguito dell'impugnazione del ricorrente, si è svolto senza che venisse disposta la rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale, ciò benché con la restituzione nel termine per impugnare si fosse riconosciuto che il ricorrente non aveva partecipato al giudizio di primo grado. Considerato in diritto Il ricorso appare inammissibile per genericità, in quanto non si comprende quali sarebbero stati i presupposti fattuali in base ai quali sarebbe stata adottata l'ordinanza di restituzione nel temine nei confronti del ricorrente, né detta ordinanza risulta allegata al ricorso. Tuttavia il reato ascritto al ricorrente risulta estinto alla data del 9 settembre 2012, essendo decorso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette mesi sei dalla commissione del reato stesso in data 9 marzo 2005, non risultando periodi di sospensione nel calcolo della prescrizione ex articolo 157 c.p., in applicazione della normativa antecedente all'entrata in vigore della legge 251/2008 in quanto in concreto più favorevole all'imputato, atteso il riconoscimento allo stesso, in sede di determinazione della pena, delle circostanze attenuanti generiche con giudizio di equivalenza rispetto alla contestata circostanza aggravante dell'aver cagionato una lesione gravissima. Il termine di prescrizione, quindi, risulta decorso prima della pronuncia della sentenza di appello e, tuttavia, detta prescrizione non risulta rilevata né dedotta dal giudice di appello né rilevata dal ricorrente con i motivi di ricorso. Come noto, le Sezioni Unite, con la sentenza numero 23428 del 22/03/2005, Bracale, Rv. 231164, hanno affermato il seguente principio L'inammissibilità del ricorso per cassazione nella specie, per assoluta genericità delle doglianze preclude ogni possibilità sia di far valere sia di rilevare di ufficio, ai sensi dell'articolo 129 cod. proc. penumero , l'estinzione del reato per prescrizione, pur maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non dedotta né rilevata da quel giudice . Va sinteticamente ricordato che le Sezioni Unite, nella motivazione della citata pronuncia, avevano esaminato gli arresti della giurisprudenza aventi ad oggetto i rapporti tra inammissibilità dell'impugnazione ed applicazione delle cause di non punibilità, con particolare riferimento alle precedenti pronunce delle Sezioni Unite. Secondo una prima pronuncia, infatti, l'inammissibilità del ricorso per cassazione stabilita dall'articolo 606, comma 3, c.p.p., derivante dalla manifesta infondatezza dei motivi, non impedisce la rilevabilità d'ufficio delle cause di non punibilità previste dall'articolo 129 c.p.p. viceversa la rilevabilità d'ufficio deve ritenersi preclusa dalla inammissibilità del ricorso derivante dall'enunciazione di motivi non consentiti e dalla denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello Sezioni Unite, sentenza numero 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213 . Tale distinzione, operata nell'ambito della cause di inammissibilità del ricorso previste dall'articolo 606, comma 3, c.p.p., è stata superata dalla successiva sentenza numero 32 del 22/11/2000, De Luca, Rv. 217266. In particolare, quindi, le Sezioni Unite, nel 2005, hanno considerato come le linee ermeneutiche tracciate dalle precedenti decisioni si riflettessero sul rilievo della prescrizione del reato nel frattempo sopravvenuta, con conseguente affermazione del principio di diritto secondo cui il ricorso per Cassazione proposto esclusivamente per far valere la prescrizione maturata dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione dell'atto di impugnazione, se privo di qualsiasi doglianza relativa alla sentenza medesima, viola il criterio enunciato nell'articolo 581, lett. a , c.p.p., ed esula dai motivi in relazione ai quali può essere proposto il ricorso, a norma dell'articolo 606 c.p.p., risultando, pertanto, inammissibile Sez. unumero , 27 giugno 2001, Cavalera . Detta pronuncia era stata preceduta dalle Sezioni Unite, 19 gennaio 2000, Tuzzolino che, chiamata a comporre il contrasto giurisprudenziale circa la possibilità di dichiarare estinto il reato per prescrizione quando i motivi di impugnazione non abbiano ad oggetto l'accertata sussistenza del reato, ma riguardino soltanto la pena, nel risolvere positivamente il conflitto interpretativo sul rilievo che il giudicato si forma sul capo e non sul punto della decisione, aveva comunque subordinato l'applicabilità della causa estintiva, in attuazione del precetto di cui all'articolo 609 commi 1 e 2, c.p.p., alla mancata formazione del giudicato sui singoli capi della sentenza e, dunque, all'ammissibilità dell'atto di impugnazione. Tanto da evocare un profilo della tematica sul versante sia della deducibilità sia della rilevabilità di ufficio della causa estintiva maturata dopo la sentenza di appello e prima della scadenza del termine per ricorrere in Cassazione in presenza di un ricorso affetto da inammissibilità originaria . Pertanto le Sezioni unite sono pervenute alla conclusione che l'intervenuta formazione del giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge articolo 591, comma, 1, con eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione articolo 606, comma 3 , precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente maturata sia di rilevarla di ufficio. L'intrinseca incapacità dell'atto invalido di accedere davanti al giudice dell'impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico, divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi ma giuridicamente indifferenti per essersi già formato il giudicato sostanziale . Nella stessa scia si sono poste in seguito le sezioni semplici, che hanno ribadito il principio secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione preclude la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, anche se detta causa estintiva sia maturata in data anteriore alla pronunzia della sentenza di appello, ma non sia stata dedotta né rilevata nel giudizio di merito. In particolare in tal senso si sono pronunciate Sezione I, sentenza numero 24688 del 4/06/2008, Rayyan, Rv. 240594 Sezione III, sentenza numero 42839 dell'8/10/2009, Imperato, Rv. 244999 Sezione VI, sentenza numero 25807 del 14/03/2014, Rizzo ed altro, Rv. 259202 Sezione I, sentenza numero 6693 del 20/01/2014, Cappello, Rv. 259205. Opposto orientamento è stato però espresso da altre sezioni semplici, a partire da Sezione II, sentenzanumero 38704 del 7/07/2009, Ioime, Rv 244809 Sezione V, sentenza numero 47024 dell'I 1/07/2011, Varane Sezione V, sentenza numero 595 del 16/11/2011, Rimauro Sezione V, sentenza numero 42950 del 17/09/2012, Rv. 254633. La sentenza della V sezione da ultimo citata, ha, in particolare, ripercorso i passaggi motivazionali essenziali delle precedenti pronunce, rilevando che proprio le Sezioni Unite con la sentenza Bracale del 2005 hanno ammesso che esistono ipotesi in cui il giudice, pur in presenza di una impugnazione inammissibile, mantiene intatta la sua cognizione e, conseguentemente, la possibilità/necessità di rendere una pronunzia che non sia meramente enunciativa della predetta inammissibilità. Tale è il caso della morte dell'imputato articolo 150 cod. penumero , dell’abolitio criminis, della dichiarazione di incostituzionalità della norma incriminatrice della quale si dovrebbe fare applicazione. Orbene, è da chiedersi se la ipotesi della prescrizione maturata prima delle conclusione della fase di merito, comportando l'obbligo nel caso concreto, disatteso per il giudice procedente di riconoscerla, non possa essere fondatamente assimilata alle tre predette ipotesi in cui risulta travolta la stessa inammissibilità della impugnazione. Al proposito non può farsi a meno di rilevare che la funzione e la stessa ratio dell'istituto della prescrizione militano in tal senso. Col decorso del tempo, viene meno l'interesse dello Stato a esercitare la pretesa punitiva, anche perché si affievolisce, fino a scomparire, la possibilità che la pena svolga la sua funzione rectius, le sue funzioni ciò, per altro, non consegue a un apprezzamento in concreto del giudicante, ma trova attuazione grazie a un automatico meccanismo presuntivo, in base al quale, il trascorrere del tempo di quel tempo, previsto in astratto dalla legge comporta l'estinzione del reato. Se, dunque, il giudice non può fare a meno di constatare la morte del reo, non si vede come possa fare a meno di riconoscere la “morte del reato”. Per altro, come è stato notato dalla più attenta dottrina, la prescrizione ha anche un suo fondamento costituzionale essa costituisce una garanzia personale per l'individuo, che non può non deve essere esposto, al di là di ragionevoli limiti temporali, al rischio di essere penalmente punito per fatti commessi anni addietro. Di tanto sembra aver preso atto l'ordinamento, se è vero come è vero, che la prescrizione può esser riconosciuta e dunque può spiegare la sua efficacia anche al di fuori della instaurazione di un rapporto processuale in senso stretto. Invero, come è noto, l'articolo 411 cod. proc. penumero inibisce l'inizio dell'azione penale in presenza di un reato estinto anche per prescrizione, naturalmente . Ciò sta certamente a provare che la prescrizione, come evento giuridico conseguente a un evento naturale il trascorrere del tempo , deve operare per il solo fatto di essersi verificata. Oltretutto, per ritornare al caso in scrutinio prescrizione maturatasi prima della sentenza di appello , è da dire che appare violativo del principio costituzionale di eguaglianza il fatto che, pur in presenza della medesima situazione di fatto e di diritto, in un caso - quando la parte la eccepisca o il giudice la rilevi - l'imputato si avvalga della estinzione del reato, nell'altro - quando tale fatto sfugga tanto alla parte, quanto al giudice - lo stesso debba andare incontro a una condanna e alla esecuzione di una pena. Si vuoi dire la disparità di trattamento non apparirebbe minimamente giustificabile perché, in ultima analisi, sarebbe riconducibile a un grave error judicis. Tutto ciò premesso, può sostenersi, a giudizio del collegio, che esiste una sostanziale differenza tra la prescrizione maturata prima della sentenza di appello, da un lato, e quella maturata dopo di essa o, addirittura, dopo la proposizione del ricorso per cassazione, dall'altro. La prima è oggettivamente venuta ad esistenza prima della conclusione della fase di merito e il giudicante avrebbe dovuto rilevarla. Proprio in virtù dell'automatismo presuntivo del meccanismo previsto dal legislatore, al giudice di merito altro non si chiedeva che un mero atto di ricognizione, atto che non ha - colpevolmente - compiuto. Negli altri due casi, conclusosi il giudizio di merito, il successivo spirare del tempo necessario per determinare in astratto la prescrizione del reato può non aver rilievo, se l'imputato non è in grado di sottoporre al giudice di legittimità una impugnazione che sia tale da mantenere in vita il rapporto processuale. In tal caso, l'atto di ricognizione riguarda, appunto, la “morte” di tale rapporto e dunque la inoperatività della prescrizione , non la “morte” del reato per prescrizione , che, per quel che si è detto, essendo sopraggiunta dopo la fase di merito, non può aver rilievo Cass., Sez. 5, numero 47024 del 11/07/2011, Varane v. anche Sez. 5, numero 595 del 16/11/2011, Rimauro . Nel caso oggi in esame, a differenza di quelli appena ricordati, la prescrizione non risulta essere stata affatto invocata dall'imputato o dal suo difensore, né in sede di appello né nell'ambito dei motivi di ricorso si pone pertanto un problema di rilevabilità ex officio della causa di estinzione in argomento, che tuttavia la Corte ritiene di risolvere positivamente. È infatti evidente che la già ricordata disparità di trattamento - con implicazioni in punto di violazione di principi costituzionali - può riguardare non soltanto l'imputato attento e scrupoloso nella propria difesa, che abbia eccepito l'intervenuta prescrizione, ma anche il soggetto inerte ben può darsi che di fronte a due imputati e rispettivi difensori non avvedutisi di una causa estintiva già maturata, in casi identici, un giudice di appello rilevi d'ufficio l'estinzione del reato, ed un altro no. A quel punto, pur prescindendo dall'ammissibilità dei motivi di ricorso del secondo imputato, laddove quei motivi - in ipotesi - continuino ad ignorare il problema della prescrizione, una volta investita la Corte di Cassazione non si vede perché dovrebbe essere preclusa la possibilità di porre rimedio all'errore del giudice di merito . Nel solco di dette pronunce si sono poi poste la Sezione III, con la sentenza numero 46949 del 22/05/2013, P.M. Izzo, Rv. 257868 ancora la Sezione, terza con la sentenza numero 14438 del 30/01/2014, Pinto, Rv. 259135 - che ha rilevato come il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta in quella sede, e nonostante l'inammissibilità del ricorso per cassazione, ma solo se, a tal fine, non occorra alcuna attività di apprezzamento delle prove finalizzata all'individuazione di un dies a quo diverso da quello indicato nell'imputazione contestata e ritenuto nella sentenza di primo grado . Anche in detta motivazione si è affermato che si ritiene, tuttavia, di condividere l'orientamento ormai maggioritario - teso a superare un ormai risalente dictum delle Sezioni unite Sez. U. numero 23428 del 22.3.2005, Bracale, rv. 231164 - più favorevole all'imputato, per il quale il giudice di legittimità può rilevare d'ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d'appello, pur se non dedotta con il ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano ritenuti inammissibili sez. V, numero 42950 del 17.9.2012, Xhini, rv. 254633 conf. sez. IV, numero 49817 del 6.11.2012, Cursio ed altri, rv. 254092 sez. II, numero 38704 del 7.7.2009, Ioime, rv. 244809 . Analogo principio è stato poi ribadito sempre dalla Sezione III, con la sentenza numero 15112 del 21/03/2014, Bombara, Rv. 259185 dalla Sezione IV, con la sentenza numero 51766 del 26/11/2014, Rv. 261580 dalla Sezione III, con la sentenza numero 2001 del 30/10/2014, Rv. 262014 dalla Sezione II, con la sentenza numero 4986 del 21/10/2015, Rv. 262322 dalla Sezione IV, con la sentenza numero 27019 del 16/06/2015, Rv. 263879 dalla Sezione V, con la sentenza numero 10409 del 15/10/2015, Rv. 263889, la quale ha affermato che La prescrizione maturata precedentemente alla sentenza di secondo grado, ancorché non eccepita né rilevata in sede di appello, è rilevabile in sede di legittimità, considerato che la mancata declaratoria della causa estintiva del reato in virtù dell'omissione di un mero atto di ricognizione da parte del giudice di appello determinerebbe, ove ne fosse preclusa l’azionabilità in sede di legittimità, l'assoggettamento dell'imputato alla condanna ed alla correlativa esecuzione della pena mentre, in presenza della medesima situazione di fatto e di diritto, la declaratoria di estinzione del reato da parte del giudice di merito, consentirebbe all'imputato di avvalersi della prescrizione, così determinandosi una disparità di trattamento lesiva del principio di uguaglianza . Va specificato che detta elencazione non ha la pretesa di essere esaustiva, in quanto essa indica solo alcune delle numerosissime sentenze delle sezioni semplici che sembrano aderire, in maggioranza, all'orientamento opposto a quello della sentenza a Sezioni Unite del 2005, Bracale, facendo leva, essenzialmente, sulla disparità di trattamento che si verificherebbe ove fosse preclusa la rilevabilità, in sede di legittimità, della prescrizione maturata prima della sentenza di secondo grado, ciò in violazione del principio di uguaglianza, considerato che la mancata declaratoria sarebbe derivata unicamente dall'omissione di un mero atto di ricognizione da parte del giudice. Considerato pertanto che la questione concernente la possibilità di rilevare in sede di legittimità la prescrizione maturata precedentemente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ancorché non eccepita né rilevata in sede di appello, soprattutto allorché ciò non richieda alcuna attività di apprezzamento delle prove, ha dato luogo ad indirizzi giurisprudenziali contrastanti, e considerata altresì il coinvolgimento del principio di uguaglianza richiamato in molte delle pronunce in precedenza citate, appare doveroso, ai sensi dell'articolo 618 c.p.p., la rimessione della detta questione alle Sezioni Unite. P.Q.M. Dispone la rimessione degli atti alle Sezioni Unite alla luce del contrasto di giurisprudenza manifestatosi in ordine alla questione concernente la possibilità di rilevare in sede di legittimità la prescrizione maturata precedentemente alla pronuncia della sentenza di secondo grado, ancorché non eccepita né rilevata in sede di appello.