Il diritto all’indennizzo sorge prima della conclusione del procedimento amministrativo

Se subentrano modifiche relative ai presupposti per l’erogazione dell’indennizzo alle vittime di mafia dopo la presentazione della richiesta, ma prima della conclusione del procedimento amministrativo finalizzato a porla in essere, il soggetto ha già maturato un diritto soggettivo alla somma.

È quanto deciso dalla Corte di Cassazione con l’ordinanza numero 21306/15, depositata il 20 ottobre. Il caso. La Corte d’Appello di Torino rigettava il ricorso proposto dal Ministero dell’interno avverso la decisione del Tribunale del capoluogo di dichiarare il diritto di una donna ad accedere al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di illeciti di tipo mafioso L. numero 512/1999 , con riferimento a fatti accertati con sentenza e condanna del Ministero al pagamento delle spese. Il Dicastero ricorreva per cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 4, comma 4 bis, della L. numero 512/1999 accesso al fondo e dell’articolo 11 delle preleggi efficacia della legge nel tempo , in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. . In particolare, il ricorrente rilevava che il diritto all’indennizzo sorge in capo al soggetto solo a conclusione del procedimento amministrativo relativo all’effettiva corresponsione dello stesso secondo il Ministero, pertanto, l’entrata in vigore di una normativa recante modifiche ai presupposti per l’elargizione dell’indennizzo, prima della conclusione del procedimento amministrativo, avrebbe dovuto determinare l’applicazione della stessa, in ossequio al principio del tempus regit actum. Nei procedimenti amministrativi di tipo accertativo non trova applicazione il principio del tempus regit actum. La Suprema Corte ha ribadito il proprio orientamento consolidato per cui le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata vantano la titolarità, ove sussistano le condizioni previste dalla legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all’erogazione dell’indennizzo di cui alla L. numero 302/1990 norme a favore delle vittime del terrorismo e della criminalità organizzata . La pubblica amministrazione non ha potestà discrezionale né riguardo alla somma da elargire né riguardo ai presupposti per la corresponsione della stessa e ciò determina, secondo la Corte di legittimità, che non si deve tenere conto dell’eventuale cambiamento dei presupposti intervenuto dopo la domanda di concessione. Gli Ermellini hanno sottolineato che, nel caso sopra prospettato, il richiedente ha già maturato un proprio diritto soggettivo all’erogazione dell’indennizzo, anche se il procedimento amministrativo finalizzato a rendere effettiva tale pretesa è ancora in corso. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 14 luglio – 20 ottobre 2015, numero 21306 Presidente Ragonesi – Relatore Genovese In fatto e in diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 28 maggio 2015, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'articolo 380-bis cod. proc. civ «Con sentenza in data 14 maggio 2014, la Corte d'Appello di Torino ha respinto l'appello proposto dal Ministero dell'Interno contro la sentenza del Tribunale di Torino che aveva accolto la domanda della sig. G.G. e dichiarato il diritto della predetta ad accedere al fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, di cui alla legge numero 512 del 1999, in relazione ai fatti accertati con la sentenza penale numero 7544 del 2007 dello stesso Tribunale, con condanna del Ministero alle spese. Avverso la sentenza della Corte d'Appello il Ministero ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 luglio 2014, sulla base di un unico motivo, con cui denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 4, comma 4-bis, della legge numero 512 del 1999 e dell'articolo 11 preleggi, in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c. La sig. G.G. ha resistito con controricorso. Il ricorso appare infondato, giacché in base al principio posto dalle Sez. Unite di questa Corte Ordinanza numero 26626 del 2007 e Sentenza numero 21927 del 2008 , costituente diritto vivente - secondo cui le vittime del terrorismo e della criminalità organizzata sono titolari, in presenza delle condizioni di legge, di un vero e proprio diritto soggettivo all'erogazione della speciale elargizione prevista dalla legge 20 ottobre 1990, numero 302, essendo al riguardo la P.A. priva di ogni potestà discrezionale, sia con riguardo all'entità della somma che con riguardo ai presupposti per la erogabilità - nel caso in cui, successivamente alla domanda di concessione siano mutati i presupposti per il conseguimento di quella elargizione, di tale mutamento dei presupposti non può tenersi conto, avendo l'avente diritto già maturato il diritto soggettivo alla sua attribuzione, restando irrilevante la mancata conclusione del procedimento amministrativo volto a porre in essere le attività volte a rendere effettivo quel riconoscimento. Né, in questo ambito, può rettamente discorrersi di effetti di un rapporto giuridico non ancora esaurito, trattandosi di questione che investe esclusivamente i presupposti del diritto soggettivo.». Letta la memoria di parte ricorrente. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione di cui sopra che le osservazioni critiche contenute nella memoria di parte ricorrente non colgono nel segno che, secondo tale memoria, il credito attribuito dalla legge in esame numero 512 del 1999 sorgerebbe «solo all'esito del completamento di un procedimento amministrativo, sia pure connotato dall'assenza di discrezionalità in capo all'Amministrazione», ma in ogni caso mediato da un procedimento amministrativo, che deve connotarsi in base al principio di legalità, onde la sopravvenienza normativa che muti i presupposti di accesso al beneficio, prima dell'adozione del provvedimento conclusivo, comporta la necessità di fare applicazione del principio tempus regit actum. In tal senso si sarebbe determinata questa stessa Corte nella sentenza numero 15247 del 2006, in relazione ad una controversia attinente al diritto soggettivo dello straniero di entrare nel territorio dello Stato per motivi di ricongiungimento familiare che, infatti, contrariamente a quanto afferma il ricorrente, la sentenza da ultimo menzionata si riferisce ad una posizione soggettiva oggetto di apprezzamenti e valutazioni da parte della P.A., così come, del resto, afferma la massima ufficiale della pronuncia secondo cui «il rilascio del visto di ingresso allo straniero richiedente il ricongiungimento familiare si configura come l'atto conclusivo di un procedimento amministrativo a formazione complessa, il quale coinvolge sia le determinazioni espresse dalla Questura, sia le valutazioni dell'Autorità consolare, di guisa che, dovendo gli atti e i provvedimenti amministrativi essere formati nel rispetto della normativa vigente al momento della loro emanazione, il sopravvenire di una nuova legge durante lo svolgimento del procedimento comporta l'applicazione del principio tempus regit actum , nel senso che ciascuna delle fasi va sottoposta alla disciplina della legge vigente nel tempo in cui viene compiuta. Pertanto, lo ius superveniens , costituito dall'articolo 23 della legge 30 luglio 2002, numero 189, che ha modificato la lettera c dell'articolo 29 d.lgs. numero 286 del 1998, aggiungendo alla frase genitori a carico la proposizione qualora non abbiano altri figli nel Paese di origine o di provenienza ovvero genitori ultrasessantacinquenni qualora gli altri figli siano impossibilitati al loro sostentamento per documentati gravi motivi di salute , deve essere applicato qualunque sia la fase del procedimento, e quindi anche dopo il rilascio del nulla osta e sino alla concessione del visto di ingresso.» Sez. 1, Sentenza numero 15247 del 2006 che, nel caso di cui alla legge 512 del 1999, invece, la P.A. non dispone di alcun potere di valutazione discrezionale, non solo del diritto, ma finanche dei presupposti dai quali scaturisce il diritto, attribuito direttamente dalla legge all'avente diritto, onde a tali procedimenti amministrativi, del cd. tipo accertativo, non compete affatto l'applicazione del richiamato principio del tempos regit actum, ma - assai più semplicemente - quello della ricognizione dei presupposti stabiliti dalla legge per la «certificazione» del diritto di credito e del suo ammontare che a tale conclusione si perviene facendo lineare applicazione dei principi già posti e sopra richiamati dalle Sezioni unite di questa Corte, a cui deve darsi continuità semplicemente esplicitando il seguente corollario, rilevante nel caso di specie In tema di elargizioni in favore delle vittime della criminalità organizzata, in presenza delle condizioni dettate dalla legge numero 512 del 1999 e succ. mod. ed integr. , gli aventi diritto al beneficio risultano titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alla sua erogazione essendo, al riguardo, la P.A. priva di ogni potestà discrezionale, con riferimento sia all'entità della somma che ai presupposti per la sua derogabilità. Pertanto, nel caso in cui, successivamente alla domanda di riconoscimento, siano venuti a mutare i presupposti per il suo conseguimento, del mutamento dei presupposti non può tenersi conto se non per l'avvenire in quanto l'avente diritto ha già maturato, in base alla legge, la posizione soggettiva perfetta, restando irrilevante la mancata conclusione del procedimento amministrativo, volto solo a certificare l'an ed il quantum del credito che non ha pregio neppure la tesi già accennata nel ricorso, e meglio sviluppata nella memoria, secondo cui il comma 4-bis dell'articolo 4 della l. numero 512 del 1999 introdotto in virtù della modifica normativa di cui al DL numero 151 del 2008 convertito, con modificazioni, nella legge numero 186 costituirebbe una sorta di norma interpretativa che non avrebbe mutato il quadro attributivo dei benefici preesistente alla modifica, onde la fondatezza del ricorso in questa seconda parte che, infatti, la modifica legislativa menzionata, costituendo un'ulteriore eccezione all'attribuzione dei benefici alle vittime dei crimini mafiosi, non può essere ricavata in via interpretativa, per l'eccezionalità di ogni previsione che quei vantaggi limita, non estensibili oltre attraverso operazioni ermeneutiche, ma per mezzo di modifiche legislative che, in conclusione, il ricorso deve essere respinto che le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida in complessivi euro 3.100, di cui euro 100 per esborsi, oltre a spese generali forfettarie e ad accessori di legge.