Il mancato conseguimento di un’abilitazione o di un’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività imprenditoriale connessa all’uso dell’azienda concessa in affitto non comporta la nullità del contratto di affitto.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza numero 20848/18 depositata il 21 agosto. Il caso. La Corte d’Appello, confermando la decisione di primo grado, dichiarava risolto il contratto di affitto di ramo di azienda intercorso tra due società, con la condanna dell’affittuaria al pagamento, in favore della società concedente, delle somme contrattualmente dovute e non corrisposte. A fondamento della decisione la Corte territoriale evidenziava l’infondatezza della domanda di accertamento della nullità del contratto originariamente proposta dalla società affittuaria in ragione del mancato ottenimento del certificato di prevenzione incendi da parte della concedente, risultando che quest’ultima disponesse regolarmente dei titoli abilitativi previsti dalla legge e non essendo intervenuto, fino alla data di scadenza del contratto, alcun provvedimento amministrativo volto ad impedire o limitare l’esercizio del ramo d’azienda concesso in godimento. Avverso tale sentenza, la società affittuaria propone ricorso per cassazione. L’autorizzazione amministrativa e la nullità del contratto. Ribadisce la Suprema Corte che nelle ipotesi di locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo destinati ad un’attività il cui esercizio richiede specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione edilizia del bene, «l’inadempimento del locatore può configurarsi quando la mancanza di tali titoli dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e , quindi, l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito» oppure quando il locatore assuma l’obbligo di ottenere i titoli abilitativi necessari, restando escluso, invece, qualora il conduttore abbia accettato l’assoluta impossibilità di ottenerli. Nel caso di specie, la Corte territoriale ha sottolineato come, dal punto di vista amministrativo, nessuna limitazione era stata imposta all’esercizio dell’attività connessa all’azienda affittata, dato che il certificato di prevenzione incendi, anche se provvisorio, aveva coperto l’intero periodo di vigenza del contratto di affitto. Per questi motivi la Suprema Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 maggio – 21 agosto 2018, numero 20848 Presidente Armano – Relatore Dell’Utri Fatti di causa 1. Con sentenza resa in data 16/3/2016, la Corte d’appello di Cagliari ha confermato la decisione con la quale giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta dalla Fondinvest s.r.l., ha dichiarato risolto, alla scadenza del 3/4/2013, il contratto di affitto di ramo di azienda intercorso tra la Fondinvest s.r.l. e l’affittuaria Amahotel s.r.l., con la condanna di quest’ultima al pagamento, in favore della società concedente, delle somme dalla prima contrattualmente dovute e non corrisposte. 2. A fondamento della decisione assunta, tra le restanti argomentazioni, la corte territoriale ha evidenziato l’infondatezza della domanda di accertamento della nullità del contratto originariamente proposta dalla società affittuaria, in ragione del mancato ottenimento del certificato di prevenzione incendi da parte della concedente, essendo risultato che la Fondinvest s.r.l. disponesse regolarmente sia pure in via provvisoria dei titoli abilitativi a tal fine previsti dalla legge, né essendo intervenuto, fino alla data di scadenza del contratto di affitto, alcun provvedimento amministrativo suscettibile di impedire o di limitare l’esercizio dell’azienda concessa in godimento. 3. Sotto altro profilo, nessun ulteriore inadempimento avrebbe potuto imputarsi alla responsabilità contrattuale della società concedente, non avendo la Amahotel s.r.l. fornito alcuna prova idonea ad attestarne il riscontro. 4. Avverso la sentenza d’appello, la Amahotel s.r.l. propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione. 5. La Fondinvest s.r.l. resiste con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di ulteriore memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, la società ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli articolo 1346 e 1418 c.c. degli articolo 1 e ss. del d.m. 9 aprile 1994 dell’articolo 3 del d.l. numero 411/2001 dell’articolo 14 del d.l. numero 266/2004 dell’articolo 3 del d.l. numero 300/2006 dell’articolo 23 del d.l. numero 78/2009 dell’articolo 15 del d.l. numero 216/2011 del d.p.r. numero 151/2011 dell’articolo 11 del d.l. 30 dicembre 2013 in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere la corte territoriale erroneamente omesso di rilevare la nullità del contratto di affitto di ramo d’azienda oggetto del giudizio per violazione di norme imperative, con particolare riguardo alla violazione delle norme imposte dalle fonti normative richiamate, riferite agli obblighi di adeguamento delle strutture alberghiere alle esigenze di sicurezza connesse alla prevenzione antincendio, avendo la Fondinvest s.r.l. concesso in affitto un compendio aziendale insuscettibile d’essere utilizzato in ragione della mancata ottemperanza alle prescrizioni di sicurezza d’indole imperativa nella specie richiamate. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione degli articolo 1453 e ss. e dell’articolo 1586 c.c. in relazione all’articolo 360 numero 3 c.p.c. , per avere la corte territoriale omesso di rilevare i gravi inadempimenti in cui era incorsa la società concedente in relazione al mancato assolvimento degli obblighi assunti in sede contrattuale, tanto con riguardo all’adeguamento della struttura alberghiera concessa in affitto in relazione alla normativa antincendio, quanto in relazione agli scarichi delle acque reflue e all’eliminazione dei residui difetti dell’albergo e del ristorante, in tal modo impedendo alla società affittuaria il godimento integrale e completo del bene concesso in affitto in conformità agli accordi originariamente intercorsi tra le parti. 3. Dev’essere preliminarmente disatteso il rilievo sollevato dalla Fondinvest s.r.l. con la memoria depositata ex articolo 378 c.p.c. in relazione alla pretesa sopravvenuta rinuncia della Amahotel s.r.l. all’odierno ricorso a seguito dell’avvenuta cancellazione di quest’ultima società dal registro delle imprese in epoca successiva alla costituzione della stessa nel presente giudizio di legittimità. 4. Al riguardo, osserva il Collegio come le circostanze dedotte dalla Fondinvest s.r.l. con la memoria indicata valgano a introdurre un tema d’indagine, funzionale all’eventuale valutazione dell’effettiva rinuncia al ricorso, il cui riscontro non appare adeguatamente esercitabile sulla base della documentazione prodotta in questa sede unitamente alla memoria ex articolo 378 c.p.c., trattandosi di documentazione riferita, non già al riconoscimento della legittimazione della parte, bensì all’asserita avvenuta rinuncia implicita al ricorso questione di fatto di per sé non comprovabile, per la prima volta, in sede di memoria ex articolo 378 c.p.c 5. Nel merito, entrambi i motivi - congiuntamente esaminabili in ragione dell’intima connessione delle questioni dedotte - sono infondati. 6. Con riguardo alla censura sollevata in relazione alla pretesa nullità per violazione di norme imperative del contratto di affitto di ramo d’azienda oggetto dell’odierno giudizio per avere la Fondinvest s.r.l. concesso in affitto un compendio aziendale asseritamente insuscettibile d’essere utilizzato, in ragione della mancata ottemperanza, da parte della società concedente, alle prescrizioni di sicurezza d’indole imperativa richiamate in ricorso , osserva il Collegio di dover riaffermare il principio stabilmente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, con riferimento alla disciplina dettata dalla legge in materia di locazione di immobili ad uso commerciale in forza del quale il mancato conseguimento di un’abilitazione o di un’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività imprenditoriale connessa all’uso dell’azienda concessa in affitto non determini alcuna nullità del contratto di affitto, valendo in ipotesi a giustificare il solo riconoscimento dell’eventuale inadempimento del concedente in relazione agli impegni contrattualmente assunti al fine di ottenere i provvedimenti amministrativi abilitativi o autorizzativi, ovvero in relazione all’intrinseca inidoneità della cosa concessa in affitto ad ottenere detti provvedimenti. 7. Sul punto, varrà richiamare in chiave analogica il principio alla stregua del quale, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo convenzionalmente destinati a un’attività il cui esercizio richieda specifici titoli autorizzativi dipendenti anche dalla situazione edilizia del bene abitabilità dello stesso e sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale , l’inadempimento del locatore può configurarsi quando la mancanza di tali titoli dipenda da carenze intrinseche o da caratteristiche proprie del bene locato, sì da impedire in radice il rilascio degli atti amministrativi necessari e, quindi, l’esercizio lecito dell’attività del conduttore conformemente all’uso pattuito, ovvero quando il locatore abbia assunto l’obbligo specifico di ottenere i necessari titoli abilitativi, restando invece escluso allorché il conduttore abbia conosciuta e consapevolmente accettata l’assoluta impossibilità di ottenerli cfr. Sez. 3, Sentenza numero 15377 del 26/07/2016 Rv. 641148 - 01 . 8. Tale principio si muove nel solco dell’ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nella locazione di immobili per uso diverso da quello abitativo, il locatore è inadempiente ove non abbia ottenuto - in presenza di un obbligo specifico contrattualmente assunto - le autorizzazioni o concessioni amministrative che condizionano la regolarità del bene sotto il profilo edilizio e, in particolare, la sua abitabilità e la sua idoneità all’esercizio di un’attività commerciale , ovvero quando le carenze intrinseche o le caratteristiche proprie del bene locato ostino all’adozione di tali atti e all’esercizio dell’attività del conduttore in conformità all’uso pattuito Sez. 3, Sentenza numero 13651 del 16/06/2014, Rv. 631823 - 01 . 9. Nel caso di specie, peraltro, prima ancora di considerare la questione dell’eventuale sottrazione della società concedente agli obblighi contrattuali dalla stessa assunti, la corte territoriale ha espressamente sottolineato come, dal punto di vista amministrativo, nessuna limitazione fosse stata imposta all’esercizio dell’attività connessa all’azienda affittata, avendo la corte d’appello evidenziato come il certificato di prevenzione incendi seppur provvisorio avesse in ogni caso coperto l’intero periodo di vigenza del contratto di affitto, essendo intervenuto, il primo provvedimento parzialmente interdittivo dell’autorità amministrativa, solo a seguito della cessazione del rapporto contrattuale per la scadenza del 3 aprile 2013. 10. Allo stesso modo, radicalmente infondato deve ritenersi il motivo di doglianza concernente il mancato riconoscimento dell’inadempimento della società concedente in relazione agli obblighi riferiti all’adeguamento strutturale del bene concesso in affitto con riguardo agli scarichi delle acque reflue o agli altri vizi denunciati dalla società affittuaria , avendo il giudice a quo espressamente sottolineato come l’odierna società ricorrente non avesse fornito alcuna prova, né della sussistenza di detti pretesi vizi, né dell’avvenuta assunzione, da parte della società concedente, di alcuno specifico impegno contrattuale diretto alla realizzazione dei mutamenti strutturali indispensabili per l’eventuale eliminazione di tali asseriti vizi, tenuto altresì conto della rilevata esistenza di tutti i titoli autorizzativi richiesti per l’esercizio dell’attività pattuita in contratto, nonché dell’avvenuto libero esercizio dell’attività imprenditoriale da parte della società ricorrente fino al momento di rilascio del ramo di azienda affittato cfr. pag. 10 della sentenza impugnata circostanze di fatto, queste ultime, espressamente attestate nella sentenza impugnata e in nessun modo adeguatamente censurate in questa sede dalla società ricorrente. 11. Sulla base delle argomentazioni che precedono, rilevata la complessiva infondatezza dei motivi di doglianza esaminati, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, cui segue la condanna della società ricorrente al rimborso, in favore della società controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo. 12. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00 oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1-quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’articolo 1-bis, dello stesso articolo 13.