Pedina e fotografa un vigile urbano: condanna in dubbio

Protagonista un uomo, vittima una donna. Ricostruito nei dettagli il comportamento tenuto da lui. Ciò nonostante, non è scontata una sanzione penale, poiché, secondo i giudici, l’uomo ha agito nella convinzione di dovere segnalare gli abusi compiuti dal pubblico ufficiale.

Pedinamento – malriuscito – da investigatore privato dilettante. Subito beccato, difatti, un uomo che ha tampinato una agente di Polizia municipale, seguendola quotidianamente e arrivando anche a scattarle delle foto. Una volta acclarato questo comportamento, però, non è scontata la condanna per il reato di “molestia”. Ciò perché, in questa vicenda, pare emergere l’intenzione dell’uomo di portare alla luce un presunto agire illecito del pubblico ufficiale Cassazione, sentenza numero 32251/18, sez. I Penale, depositata il 13 luglio . Foto. Altalenante l’andamento della battaglia giudiziaria. In Tribunale il pedinatore viene ritenuto non colpevole, poiché, secondo i Giudici, egli «solo in alcune occasioni ha seguito l’auto di servizio su cui viaggia l’agente di Polizia municipale». Diversa la prospettiva adottata in Corte d’Appello, dove i Giudici ritengono legittima una condanna per il reato di «molestie», poiché «è emersa la sussistenza di una condotta posta in essere in maniera reiterata ed assillante» e «tale da integrare il reato di molestia o di disturbo alle persone». Più precisamente, viene evidenziato che l’uomo «seguiva continuamente l’agente durante il servizio, sia nel momento della timbratura del cartellino, sia durante lo svolgimento del servizio lavorativo, per arrivare persino a pedinarla, scattandole continuamente fotografie». Nessun dubbio, secondo i Giudici, sul trovarsi di fronte a «un comportamento oggettivamente idoneo a molestare e a disturbare» l’agente, «interferendo nella sua vita ed alterando le normali condizioni di tranquillità». Condotta. A mettere in discussione la condanna provvedono però i Giudici della Cassazione, che manifestano perplessità sulla decisione, e chiedono un ulteriore approfondimento sulla vicenda in Appello. Necessario valutare con attenzione l’obiezione proposta dal legale dell’uomo, obiezione centrata sul fatto che il suo cliente non era consapevole di «interferire nell’altrui sfera di libertà», in quanto suo «unico intento» era «portare a conoscenza delle competenti autorità l’agire illecito del pubblico ufficiale», ossia, tra l’altro, «l’utilizzare l’auto di servizio per fini personali» e «l’agire con parzialità nel contravvenzionare solo alcuni veicoli». Ebbene, secondo i Giudici del Palazzaccio, queste ultime osservazioni fanno vacillare la colpevolezza dell’uomo, poiché sembrano far venire meno la «caratterizzazione finalistica della condotta in termini di petulanza o di altro biasimevole motivo». Proprio la valutazione del comportamento tenuto dal pedinatore è affidata ai Giudici d’Appello, che dovranno di conseguenza pronunciarsi sull’ipotesi di una condanna per «molestie».

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 16 febbraio – 13 luglio 2018, numero 32251 Presidente Tardio– Relatore Magi In fatto e in diritto 1. Con sentenza emessa in data 18 novembre 2013 il Tribunale di Vasto mandava assolto Pr. Ro. dalle contestazioni relative ai reati di molestie e calunnia per insussistenza del fatto, ai sensi dell'articolo 530 co. 2 c.p.p 1.1 Pr. Ro. era stato tratto a giudizio, in relazione al reato di cui all'articolo 660 c.p., poiché, secondo l'accusa, in luogo pubblico, per biasimevole motivo, seguiva continuamente Na. Ga. durante lo svolgimento del servizio di agente di Polizia Municipale, scattandole fotografie, nonché riferendo frequentemente al comandante di lei il luogo dove egli aveva visto la Na. svolgere la propria attività, al fine di sindacare se la stessa osservasse gli ordini di servizio. In riferimento al reato di cui all'articolo 368 c.p. , secondo la contestazione, Pr. con una pluralità di denunce dirette al Comando Stazione Carabinieri di Casalbordino, al Prefetto e alla Procura della Repubblica, incolpava la Na. di utilizzare l'auto di servizio per fini personali, di agire con parzialità nel contravvenzionare soltanto alcuni veicoli, lasciando altri in violazione delle norme del codice della strada privi di sanzione in quanto appartenenti a soggetti dalla stessa conosciuti di omettere il rispetto delle norme quale proprietaria del cantiere edile allestito in via omissis . . 1.2 II Tribunale ha assolto l'imputato affermando che non era stata dimostrata una condotta molesta ai fini di cui all'articolo 660 cod.penumero , atteso che come dichiarato dai testi, soltanto in alcune occasioni il Pr. ha seguito l'auto di servizio dei vigili sulla quale talvolta viaggiava anche la Na. per il reato di cui all'articolo 368 c.p., inoltre, l'imputato aveva ritenuto che le condotte poste in essere dalla Na. e denunciate all'autorità configurassero delle ipotesi di reato in quanto lo stesso, nello sporgere i tre esposti, ha denunciato comportamenti della parte offesa che egli riteneva essere illeciti, avendo visto la Na. utilizzare l'auto di servizio durante le ore di lavoro per fini che l'imputato ha creduto fossero esclusivamente personali appare inoltre provato che - sulla base di fotografie scattate dal figlio - l'imputato denunciò la mancanza, nel cantiere dei lavori edili che la parte offesa stava facendo eseguire, di dispositivi di sicurezza nelle impalcature e l'omesso posizionamento del cartello. Viene evidenziato, in sostanza, che in talune occasioni le denunzie del Pr. contenevano elementi di verità ed aderenza ai fatti e ciò determinava carenza di elemento psicologico in riferimento ad entrambe le ipotesi di reato. 2. In esito alla sentenza di primo grado la parte civile proponeva appello chiedendo, ritenuta la responsabilità civile del prevenuto per i fatti ascritti, la condanna del medesimo al risarcimento dei danni patiti oltre alla rifusione delle spese processuali. 2.1 La parte civile, a sostegno delle proprie richieste, sosteneva che per il reato di cui all'articolo 660 c.p. i testi sentiti ai sensi dell'articolo 507 c.p.p., colleghi della Na., avevano riferito che il Pr. seguiva giornalmente la stessa, anche quando questa non era in servizio, scattandole ripetutamente fotografie. Veniva altresì impugnata la decisione assolutoria anche in riferimento al reato di calunnia. 2.1 La Corte di Appello di L'Aquila, con sentenza del 28 gennaio 2016, riteneva di accogliere solo in parte l'appello, relativamente alla condotta rubricata come molestie. A parere della Corte di merito le emergenze processuali sono più che sufficienti per poter escludere la sussistenza dell'elemento soggettivo del reato di calunnia in capo al Pr Il giudice di secondo grado, sul punto, confermava la prima decisione. 2.2 Per quanto riguarda il reato di cui all'articolo 660 c.p. la Corte d'Appello osserva che dal compendio probatorio in atti è emersa la sussistenza di una condotta posta in essere dal Pr., in maniera reiterata ed assillante, tale da integrare il reato di molestia o disturbo alle persone. I testi sentiti avevano infatti concordemente dichiarato che il soggetto in esame seguiva continuamente la Na. durante il servizio, sia nel momento di timbratura del cartellino della stessa, sia durante lo svolgimento del servizio lavorativo, per arrivare persino a pedinarla scattandole continuamente fotografie. Date queste premesse la Corte sostiene si tratti di un comportamento oggettivamente idoneo a molestare e a disturbare la parte offesa, interferendo nella sua vita ed alterando le normali condizioni di tranquillità alle quali la medesima aveva diritto nello svolgimento della propria attività lavorativa. La Corte d'Appello riformava quindi, sia pure in parte, la sentenza di primo grado, dichiarando l'imputato responsabile ai soli fini civilistici del fatto-reato de quo, di cui ricorrono tutti gli elementi. Per l'effetto condannava il prevenuto al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, liquidato in Euro 5.000,00, comprensivi di interessi e rivalutazione, condannandolo inoltre alla rifusione della metà delle spese legali sostenute dalla parte civile nei due gradi di giudizio. 3. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore - Pr. Ro., articolando distinti motivi. 3.1 Con il primo motivo si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in riferimento all'avvenuto apprezzamento delle dichiarazioni testimoniali rese da Bu. Mi. e Be. Be., contrastanti con altri dati istruttori. Il ricorrente si duole del fatto che, acriticamente e senza adeguata motivazione, la Corte di Appello ha ritenuto credibili le dichiarazioni rese in merito alle molestie dai colleghi della parte civile, Bu. e Be Queste ultime, però, non erano state ritenute credibili dal Tribunale di Vasto, tant'è che il giudizio di non colpevolezza del Pr., in merito alla calunnia, si basa sulle deposizioni di Ul. Ca. e Della Pe. Ro., unitamente agli altri testi della difesa. Secondo la difesa, quindi, era giuridicamente doveroso per il giudice di secondo grado, spiegare nella parte motiva del provvedimento, le ragioni per le quali la responsabilità del Pr., per il reato di molestia, si fonda sulle dichiarazioni dei vigili di Casalbordino, colleghi della Na., in special modo Bu. e Be., mentre le stesse dichiarazioni non sono state ritenute credibili per integrare il delitto di calunnia, atteso il palese contrasto con le deposizioni dei testi della difesa. 3.2 Col secondo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento a quanto previsto dall'articolo 533 cod.proc.penumero . Non vi sarebbero, nella decisione impugnata, argomentazioni sufficienti a ribaltare l'esito assolutorio di primo grado, con violazione della regola di giudizio di cui all'articolo 533 co.2 cod.proc.penumero . 3.3 Con il terzo motivo di ricorso la difesa deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 660 cod.penumero . Si lamenta il fatto che, considerando che ai fini di configurare il reato di cui all'articolo 660 c.p. la molestia o il disturbo devono essere arrecati per petulanza o altro biasimevole motivo, la condotta del soggetto attivo in questione non possa integrare tale reato. La difesa sostiene quindi che l'elemento soggettivo sia mancante nel caso di specie, in quanto nel comportamento dello stesso non vi è traccia della consapevolezza e della volontà verso il fine specifico di interferire opportunatamente nell'altrui sfera di libertà, in quanto unico intento del soggetto era portare a conoscenza delle competenti autorità l'agire illecito del pubblico ufficiale. 4. Il ricorso è fondato, per le ragioni che seguono. 4.1 Va premesso che il giudice di primo grado ha affermato in motivazione che alcune delle accuse mosse da Pr. Ro. nei confronti della Na. avevano un fondamento di verità, indicando taluni episodi specifici . Da ciò è derivata l'assoluzione dal reato di calunnia, aspetto che risulta essere - al di là dei profili in fatto relativi alla condotta materiale - rilevante anche in riferimento all'ipotesi di reato di cui aH'articolo 660 cod.penumero . Ciò perchè la fattispecie di cui all'articolo 660 cod.penumero richiede a fini di punibilità la verifica della ricorrenza di elementi caratterizzanti la illiceità della condotta - la petulanza o altro biasimevole motivo - che ricadono inevitabilmente nella connotazione dell'elemento psicologico tanto da imporre l'apprezzamento del dolo tra le altre, Sez. I numero 25033 del 8.5.2012 , consistente nella volontà di interferire in modo inopportuno - per ragioni che vanno apprezzate e qualificate attraverso un giudizio di valore - nell'altrui sfera di libertà. 4.2 La Corte di Appello, a fronte di tali argomentazioni espresse in primo grado, si limita a compiere una rivalutazione della condotta materiale - in riferimento alla assiduità della presenza, in un determinato periodo, dell'imputato nei luoghi pubblici ove la Na. svolgeva il servizio - ma non affronta minimamente il tema dell'elemento psicologico e della caraterrizazione finalistica della condotta in termini di 'petulanza o altro biasimievole motivo', realizzando - pertanto - un evidente vizio argomentativo e di interpretazione della previsione incriminatrice. Va qui ribadito, peraltro, non soltanto che in caso di riforma di una prima decisione assolutoria occorre - in ogni caso - realizzare una motivazione 'rafforzata' v. Sez. VI numero 1514 del 19.12.2012, rv 253940, ove si è affermato che è illegittima la sentenza d'appello che in riforma di quella assolutoria affermi la responsabilità dell'imputato, sia pure ai soli fini civili, sulla base di una alternativa e non maggiormente persuasiva interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio , ma anche che la trattazione e la decisione della particolare impugnazione de qua richiede la valutazione, sia pure a soli fini risarcitori, della sussistenza del reato in tutti i suoi elementi costitutivi di recente v. Sez. V numero 54300 del 14.9.2017, rv 272082 . Nel caso in esame non vi è alcun impiego di quella «forza persuasiva superiore» che legittima il ribaltamento della prima decisione e che è richiesta anche in caso di impugnazione proposta ai soli fini civili. Va pertanto disposto l'annullamento della decisione impugnata, con rinvio per nuovo giudizio al giudice competente per valore in grado di appello ai sensi dell'articolo 622 cod.proc.penumero . P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio al giudice civile competente per valore in grado di appello.