Per la rilevanza dei princìpi coinvolti, la valenza generale e la potenziale applicabilità delle conclusioni da trarsi ad un numero indeterminato di situazioni simili, questa questione si prospetta di massima importanza. Ecco le problematiche sul tavolo di discussione afferenti alla notifica di atti civili ai collaboratori di giustizia.
Lo ha affermato la Corte di Cassazione con ordinanza interlocutoria numero 15689/18 depositata il 14 giugno. Il caso di un italiano di cui andare fieri. Era il 9 Giugno 1989 quando a Vittoria, in provincia di Ragusa, veniva assassinato Salvatore Incardona, commerciante all’ingrosso e dirigente della cooperativa Agriduemila che aveva rifiutato di pagare il ‘pizzo’ alla mafia, non limitandosi a ciò ma invitando tutti i propri colleghi a fare altrettanto. La punizione per l’affronto furono alcune pallottole sparate contro Incardona da alcuni criminali mentre egli era in auto davanti alla propria abitazione. I fatti processuali. La Corte di Assise di Siracusa e la Corte di Assise d'Appello di Catania, con plurime sentenze, accertavano che l'omicidio dell’Incardona era maturato in ambiente mafioso e, precisamente, al fine di intimidire altri commissari del mercato ortofrutticolo di Vittoria, in Sicilia, e dissuaderli dall'idea di non pagare il pizzo, individuando i responsabili della azione criminosa. Sulla base di tali accertamenti, divenuti irrevocabili, la moglie ed i figli dell'Incardona convenivano in giudizio dinanzi al Tribunale i responsabili dell'omicidio del congiunto, oltre che il fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso, chiedendo il risarcimento del danno biologico iure hereditatis, del danno patrimoniale da perdita di reddito, del danno morale soggettivo, del danno esistenziale e del danno biologico, avendo tutti sofferto di disturbo post traumatico da stress. Il tribunale, nella contumacia dei convenuti, accoglieva parzialmente la domanda e liquidava in via equitativa il danno non patrimoniale. La decisione veniva appellata dagli eredi Incardona che lamentavano la esiguità della somma ottenuta come risarcimento del danno da morte del congiunto nonché il rigetto delle domande di risarcimento del danno biologico e del danno patrimoniale in quanto ritenute non provate. Insistevano nella richiesta di prova per testi ed espletamento di una consulenza tecnica d'ufficio che in primo grado non erano stati ammessi. La Corte di Appello competente accoglieva parzialmente il gravame, incrementando la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno parentale e gettava nel resto l'appello. Contro tale sentenza, però, proponevano ricorso per Cassazione i parenti dell’Incardona. Ma preliminare all'esame dei motivi di ricorso era la verifica della regolarità della sua notificazione ad alcuni degli intimati e, precisamente, a coloro che risultavano collaboratori di giustizia. All'epoca della prima notizia presso il Servizio Centrale di protezione per i testimoni, l'addetto alla ricezione riferiva all'ufficiale giudiziario che i convenuti erano usciti dal programma di protezione tre o quattro anni prima e, per questo motivo, l'ufficiale giudiziario redigeva la relata di notifica negativa. Pertanto, i ricorrenti provvedevano a rinnovare la notificazione ai sensi dell'articolo 291 c.p.c. Dunque, verificavano che i soggetti erano stati cancellati dalla anagrafe del paese di origine In occasione della loro ammissione al programma di protezione ma apprendevano che nelle more erano stati nuovamente ammessi al programma di protezione e, quindi, procedevano ad una seconda notificazione a mezzo del servizio postale ancora presso il Servizio Centrale di protezione. In questa nuova occasione il plico veniva regolarmente consegnato all'addetto alla ricezione delle notificazioni. La questione di diritto di massima di importanza e la rimessione al Primo Presidente. La Corte affronta preliminarmente, a tale scopo, la questione concernente la correttezza e completezza della notificazione di un atto giudiziario civile mediante spedizione del plico, a mezzo del servizio postale, al servizio centrale di protezione, quando il destinatario sia persona sottoposta al relativo programma di protezione. Per la rilevanza dei princìpi coinvolti, la valenza generale e la potenziale applicabilità delle conclusioni da trarsi ad un numero indeterminato di situazioni simili, questa questione si prospetta quale di massima di particolare importanza. La Corte si era occupato una prima volta della problematica della notificazione degli atti giudiziari civile ai soggetti ammessi al programma di protezione per i testimoni e collaboratori di giustizia, affermando la validità della notificazione eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario con sentenza numero 23838/2007. In particolare, nel caso specifico, è stato rilevato che nel caso specifico della persona sottoposta allo speciale programma di protezione, il mittente non è nelle condizioni di conoscere, usando l'ordinaria diligenza, il luogo ove il destinatario sia domiciliato, noto solamente al competente Servizio Centrale di Protezione del Ministero dell'Interno e tenuto segreto per ragioni di sicurezza. Quindi, pur avendo le risultanze anagrafiche valore solo presuntivo, superabile quando l'istante conosca oppure sia in grado di conoscere la diversa residenza effettiva del destinatario, nel caso di specie farebbe difetto proprio tale stato di conoscibilità, così legittimandosi la notificazione ex articolo 139 c.p.c. Tali conclusioni sono state mantenute ferme pur considerando che, nella specie, il mittente era certamente consapevole della circostanza che la residenza anagrafica non corrispondeva al luogo di effettiva dimora del destinatario, trattandosi di una caserma dei carabinieri. Ma, in realtà, la riferita sentenza non afferma La nullità della notificazione effettuata presso il Servizio Centrale di Protezione, limitandosi ad affermare la validità della notificazione eseguita presso la residenza anagrafica della persona sottoposta al programma di protezione, pur nella pacifica consapevolezza che, in tal caso, le risultanze anagrafiche non rispondono all’effettivo luogo di domiciliazione. Il principio di diritto de quo è stato ripreso dalla Corte di Cassazione nella recente sentenza numero 8646/2016 affermando il principio secondo cui nel caso di notifica di atti processuali civili nei confronti di un collaboratore di giustizia, per «persone addette alla casa», a mani delle quali può essere legittimamente consegnato l’atto ex articolo 139 c.p.c., possono intendersi anche gli appartenenti alle forze dell'ordine e preposti alla protezione del collaboratore. Nel caso esaminato in questa seconda occasione è avvenuto che l'atto giudiziario era stato notificato presso la residenza anagrafica del destinatario, coincidente con un comando territoriale delle forze dell'ordine, e l'avviso di ricevimento era stato ricevuto da un terzo che si era qualificato semplicemente come «carabiniere». Ecco perché la Corte riteneva che gli agenti delle forze dell'ordine che, per essere presenti sul posto della residenza anagrafica del collaboratore di giustizia sotto protezione ed essendosi interposti all'ufficiale notificante che tentava di raggiungere il destinatario, hanno ricevuto l'atto, devono reputarsi ivi presenti in quanto comandati proprio per le finalità di protezione e, quindi, possono qualificarsi in relazione di servizio con quest'ultimo, tale da restare obbligati, in dipendenza del proprio ufficio, alla successiva consegna dell'atto. Quindi, questa ipotesi non differiva da quella esaminata con la sentenza del 2007 tranne che in questa seconda occasione si trattava della rinnovazione di una notifica che la corte aveva definito «malamente eseguita presso la direzione centrale di polizia criminale - Servizio Centrale di Protezione per i collaboratori di giustizia, visto che essa andava comunque effettuata presso la residenza anagrafica del destinatario». In questo caso la Suprema Corte aveva espressamente reputato la invalidità della notificazione effettuata presso il Servizio Centrale di Protezione anziché presso la residenza anagrafica del destinatario. Ma è proprio tale posizione, indubbiamente più specifica e radicale, che secondo la Suprema Corte merita un approfondimento ed involge la questione di massima di particolare importanza su accennata. Tanto anche perché una posizione di questo genere non si confronta adeguatamente con quanto disposto dalla normativa secondo cui 'all'atto della sottoscrizione delle speciali misure di protezione l'interessato elegge il proprio domicilio nel luogo in cui ha la sede la commissione centrale' prevista dal d. l. numero 8/1991. Ma non solo, atteso che la Suprema Corte rileva che a fronte di tali difficoltà, si può dubitare che la soluzione di ritenere valida anche, se non addirittura soltanto, la notificazione effettuata presso il luogo di residenza risultante dal registro dei anagrafici sia compatibile proprio col principio di effettività che viene ripetutamente affermato dalla Corte. Difatti, nel caso di persona sottoposta un programma speciale di protezione e, quindi, trasferita in un luogo protetto, è in piena evidenza la inattendibilità delle risultanze anagrafiche che hanno valore solo presuntivo, e superabile con ogni mezzo di prova. Appare, dunque, per la Sezione rimettente, quantomeno problematico equiparare la situazione di una persona che, essendo stata trasferita in un luogo protetto, ha definitivamente reciso ogni rapporto con la propria residenza anagrafica al caso oggettivamente diverso di temporanea assenza del destinatario e conseguente consegna dell’atto a persona di famiglia o addetta alla casa, al portiere dello stabile oppure ad un vicino. Tutto ciò resta sul tavolo della discussione e merita di essere rimesso, come avvenuto, al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza relativa alle modalità di notificazione degli atti introduttivi degli atti civili ai soggetti sottoposti al programma speciale di protezione previsto dal d. l. numero 8/1991, convertito con modificazioni dalla l. numero 82/1991.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza interlocutoria 4 maggio – 14 giugno 2018, numero 15689 Presidente De Stefano – relatore D’Arrigo Ritenuto in fatto Il omissis veniva ucciso I.S. . La Corte d’assise di Siracusa e la Corte d’assise d’appello di Catania, con plurime sentenze, accertavano che l’omicidio era maturato in ambiente mafioso e, precisamente, al fine di intimidire altri commissionari del mercato Ortofrutticolo di e dissuaderli dall’idea di non pagare il pizzo e individuavano come responsabili dell’azione criminosa D.C. , D.M.C. , D.P.R. e i fratelli Silvio, Bruno e C.C. . Sulla base di tali accertamenti, divenuti irrevocabili, la moglie e i figli dell’I. convenivano in giudizio innanzi al Tribunale di Ragusa i responsabili dell’omicidio del congiunto e il Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime dei reati di tipo mafioso FSVRTM , chiedendo il risarcimento del danno biologico iure hereditatis, del danno patrimoniale da perdita di reddito, del danno morale soggettivo, del danno esistenziale e del danno biologico avendo tutti, in particolare I.E. , sofferto di disturbo post traumatico da stress . Il tribunale, nella contumacia dei convenuti, rigettate alcune delle richieste istruttorie degli attori e non ammessa la consulenza tecnica d’ufficio dagli stessi richiesta, accoglieva parzialmente la domanda e liquidava in via equitativa il danno non patrimoniale. La decisione veniva appellata dagli eredi I. , che lamentavano l’esiguità della somma ottenuta quale risarcimento del danno da morte del congiunto nonché il rigetto delle domande di risarcimento del danno biologico e del danno patrimoniale in quanto ritenute non provate. Insistevano nella richiesta di prova per testi e di espletamento di una consulenza tecnica d’ufficio. Gli appellati restavano contumaci. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Catania accoglieva parzialmente il gravame, incrementando la somma liquidata a titolo di risarcimento del danno parentale. Rigettava nel resto l’appello. Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione Ca.Ro. e I.C. , V. , G. ed E. , formulando quattro motivi. Nessuna attività difensiva è stata svolta dagli intimati. Il pubblico ministero non ha rassegnato le proprie conclusioni. I ricorrenti hanno depositato memoria ai sensi dell’articolo 380-bis cod. proc. civ Considerato in diritto 1. È preliminare all’esame dei motivi di ricorso la verifica della regolarità della sua notificazione ad almeno alcuni degli intimati. 2. Va premesso, anzitutto, che la notificazione al FSVRTM, in persona del legale rappresentante pro tempore, si è regolarmente perfezionata pertanto, tenendo conto del termine ex articolo 327 cod. proc. civ. applicabile ratione temporis e della sospensione feriale, l’impugnazione della sentenza d’appello risulta tempestiva almeno nei confronti di uno dei litisconsorti necessari. Le notifiche al D. , al D.M. e al D.P. - tutti interdetti legali, ai sensi dell’articolo 19, primo comma, numero 3, cod. penumero , e quindi rappresentati dai rispettivi tutori - sono state del pari ritualmente effettuate a mezzo del servizio postale. 3. La prima notificazione del ricorso ai fratelli Carbonaro, invece, non è andata a buon fine. La stessa è stata eseguita, in data 11 aprile 2016, presso il Servizio centrale di protezione per i testimoni e collaboratori di giustizia previsto dall’articolo 14 del d.l. 15 gennaio 1991, numero 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, numero 82, e successive modificazioni. In quella data, tuttavia, l’addetto alla ricezione riferiva all’ufficiale giudiziario che i Carbonaro erano usciti dal programma di protezione da 3 o 4 anni. L’ufficiale giudiziario redigeva, dunque, relata di notificazione negativa. I ricorrenti provvedevano, quindi, a rinnovare la notificazione del ricorso ai sensi dell’articolo 291 cod. proc. civ. A tal fine verificavano, anzitutto, che i Carbonaro erano stati cancellati dall’anagrafe del paese di origine , provincia di in occasione della loro ammissione al programma di protezione. Apprendevano, inoltre, che nelle more i tre fratelli erano stati nuovamente ammessi al programma di protezione. Pertanto, procedevano ad una seconda notificazione del ricorso, a mezzo del servizio postale, ancora presso il Servizio centrale di protezione. In questa nuova occasione il plico veniva regolarmente consegnato, in data 6 settembre 2017, all’addetto alla ricezione delle notificazioni. Veniva altresì spedita, a mezzo di lettera raccomandata, la comunicazione di avvenuta notifica. 4. La questione di diritto che deve essere, a questo punto, affrontata concerne la correttezza e la completezza della notificazione di un atto giudiziario civile mediante spedizione del plico, a mezzo del servizio postale, al Servizio centrale di protezione di cui all’articolo 14 del citato di. numero 8 del 1991, quando il destinatario sia persona sottoposta al relativo programma di protezione. Per la rilevanza dei principi coinvolti, la valenza generale e la potenziale applicabilità delle conclusioni da trarsi ad un numero indeterminato di situazioni consimili, tale questione si prospetta quale di massima di particolare importanza. 5. Questa Corte, occupatasi una prima volta della problematica della notificazione degli atti giudiziari civili ai soggetti ammessi al programma di protezione per i testimoni e i collaboratori di giustizia, ha affermato la validità della notificazione eseguita presso la residenza anagrafica del destinatario Sez. 1, Sentenza numero 23838 del 19/11/2007, Rv. 601198 - 01 . In particolare è stato rilevato che, nel caso specifico della persona sottoposta allo speciale programma di protezione, il mittente non è nelle condizioni di conoscere, usando l’ordinaria diligenza, il luogo ove il destinatario sia domiciliato, noto solamente gal competente Servizio centrale di protezione del Ministero dell’interno e tenuto segreto per ragioni di sicurezza. Pertanto, pur avendo le risultanze anagrafiche valore solo presuntivo, superabile quando l’istante conosca o sia in grado di conoscere la diversa residenza effettiva del destinatario, nella specie farebbe difetto proprio tale stato di conoscibilità, così legittimandosi la notificazione ai sensi dell’articolo 139 cod. proc. civ Tali conclusioni sono state mantenute ferme pur considerando che, nella specie, il mittente era certamente consapevole della circostanza che la residenza anagrafica non corrispondeva al luogo di effettiva dimora del destinatario, trattandosi di una caserma dei Carabinieri. 6. La riferita sentenza non afferma, in realtà, la nullità della notificazione effettuata presso il Servizio centrale di protezione, limitandosi ad affermare la validità della notificazione eseguita presso la residenza anagrafica della persona sottoposta al programma di protezione, pur nella pacifica consapevolezza che, in tal caso, le risultanze anagrafiche non rispondono all’effettivo luogo di domiciliazione. Il principio di diritto affermato in quella occasione è stato recentemente ripreso da questa Corte Sez. 3, Sentenza numero 8646 del 03/05/2016, Rv. 639714 - 01, massimata su altri profili , che ha affermato il principio secondo cui, nel caso di notificazione di atti processuali civili nei confronti di un collaboratore di giustizia, per persone addette alla casa , a mani delle quali può essere legittimamente consegnato l’atto ai sensi dell’articolo 139 cod. proc. civ., possono intendersi anche gli appartenenti alle forze dell’ordine preposti alla protezione del collaboratore. Nel caso esaminato in questa seconda occasione era avvenuto che l’atto giudiziario era stato notificato presso la residenza anagrafica del destinatario, coincidente con un comando territoriale delle forze dell’ordine, e l’avviso di ricevimento era stato ricevuto da un terzo, qualificatosi sic et simpliciter come Carabiniere . La Corte ha infatti ritenuto che gli agenti delle forze dell’ordine che, per essere presenti sul posto della residenza anagrafica del collaboratore di giustizia sotto protezione ed essendosi interposti all’ufficiale notificante che tentava di raggiungere il destinatario, hanno ricevuto l’atto giudiziario, devono reputarsi ivi presenti in quanto comandati proprio - o almeno anche - per le finalità di protezione del collaboratore di giustizia e possono allora qualificarsi in relazione, lato sensu, di servizio con quest’ultimo, tale da restare obbligati, in dipendenza del loro ufficio, alla successiva consegna dell’atto. L’ipotesi sembra, quindi, non differire da quella esaminata con la sentenza del 2007, sennonché in tale seconda occasione si trattava della rinnovazione di una notificazione che questa Corte ha definito malamente eseguita presso la Direzione centrale di polizia criminale - Servizio centrale di protezione per i collaboratori di giustizia, visto che essa andava comunque effettuata presso la residenza anagrafica del destinatario Cass. 19 novembre 2007, numero 23838 . Dunque, questa volta la Corte di cassazione, richiamando la sentenza numero 23838 del 2007, ha espressamente reputato l’invalidità della notificazione effettuata presso il Servizio centrale di protezione, anziché presso la residenza anagrafica del destinatario. 7. Siffatta presa di posizione, indubbiamente più specifica e radicale, merita un approfondimento e involge la questione di massima di particolare importanza su accennata. Essa risulta, anzitutto, motivata mediante il mero rinvio alla pronuncia del 2007, benché quest’ultima - come s’è visto - non affermi affatto il principio dell’invalidità della notificazione effettuata presso il Servizio centrale di protezione. Inoltre, non si confronta adeguatamente con quanto disposto dall’articolo 12, comma 3-bis, del d.l. numero 8 del 1991, a mente del quale all’atto della sottoscrizione delle speciali misure di protezione l’interessato elegge il proprio domicilio nel luogo in cui ha sede la commissione centrale prevista dall’articolo 10, comma 2, del medesimo decreto-legge. Infine, neppure si coordina con la giurisprudenza penale di questa Corte in tema di notificazione degli atti giudiziari ai testimoni e ai collaboratori di giustizia. Questi ultimi due profili meritano qualche più specifica considerazione. 8. Quando la Commissione centrale di cui all’articolo 10, comma 2, del d.l. numero 8 del 1991 delibera l’applicazione di uno speciale programma di protezione per i testimoni o collaboratori di giustizia, può prevedere, fra le altre misure, il trasferimento delle persone non detenute in luoghi protetti articolo 13, comma 5, d.l. numero 8 del 1991 . Per garantire la conservazione del posto di lavoro, può essere disposto il trasferimento ad altra sede o ufficio con modalità che assicurino la riservatezza e l’anonimato dell’interessato comma 8 ed è consentita l’utilizzazione di un documento di copertura comma 10 . Quando il programma speciale di protezione deve essere applicato confronti di un soggetto detenuto, allo stesso è fatto divieto, durante la redazione dei verbali e comunque almeno fino alla redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione, di avere corrispondenza epistolare, telegrafica o telefonica comma 14 . Inoltre, ai sensi del d.lgs. 29 marzo 1993, numero 119, e successive modificazioni, nell’ambito dello speciale programma di protezione può essere autorizzato il cambiamento delle generalità, garantendone la riservatezza anche in atti della pubblica amministrazione. Queste misure di protezione, che in concreto possono essere variamente graduate, rendono obiettivamente difficile, se non impossibile, l’applicazione alle persone sottoposte al programma speciale delle regole generali dettate dagli articolo 137 ss. cod. proc. civ. per la notificazione degli atti giudiziari civili. Vi osta la natura protetta ossia non conosciuta del luogo in cui vengono trasferiti, l’anonimato garantito sul luogo di lavoro, il divieto di ricevere corrispondenza quantomeno nella misura in cui tale divieto dovesse interferire con le notificazioni a mezzo del servizio postale e, ove previsto, addirittura il cambiamento di generalità anche negli atti dello stato civile. A fronte di tali difficoltà, si può dubitare che la soluzione di ritenere valida anche se non addirittura soltanto la notificazione effettuata presso il luogo di residenza risultante dai registri anagrafici sia compatibile con il principio di effettività ripetutamente affermato da questa Corte fra le più recenti Sez. 2, Sentenza numero 30952 del 27/12/2017, Rv. 647066 - 01 Sez. 3, Ordinanza numero 19387 del 03/08/2017, Rv. 645385 - 01 Sez. 3, Sentenza numero 17021 del 20/08/2015, Rv. 636300 - 01 . Difatti, nel caso di persona sottoposta ad un programma speciale di protezione e quindi trasferita in un luogo protetto , vi è la piena evidenza dell’inattendibilità delle risultanze anagrafiche, le quali - com’è noto - hanno valore meramente presuntivo, superabile con ogni mezzo di prova. In sostanza, appare quantomeno problematico equiparare la situazione di una persona che, essendo stata trasferita in luogo protetto, ha definitivamente reciso ogni rapporto con la propria residenza anagrafica alla quale, per ragioni di sicurezza, non può più fare neppure occasionale ritorno al caso di temporanea assenza del destinatario e conseguente consegna dell’atto a persona di famiglia o addetta alla casa, al portiere dello stabile o ad un vicino. Ovviamente, resta sul tavolo della discussione la circostanza, correttamente evidenziata nelle citate sentenze del 2007 e del 2016, che il notificante non è in grado di conoscere il luogo di effettiva domiciliazione del notificando sottoposto al programma speciale di protezione, utilizzando non solo l’ordinaria, ma neppure la massima diligenza, proprio perché il destinatario è stato trasferito in una località protetta. È in questa prospettiva, però, che occorre confrontarsi con quanto disposto dal già menzionato articolo 12, comma 3-bis, d.l. numero 8 del 1991, che fa obbligo al sottoposto ad una speciale misura di protezione di eleggere il proprio domicilio nel luogo in cui ha sede la Commissione centrale. Infatti, potrebbe affermarsi che tale elezione di domicilio valga non solo ai fini della comunicazione degli atti relativi all’amministrazione del programma di protezione, ma costituisca un vero e proprio domicilio generale del testimone o del collaboratore di giustizia, valevole la notificazione di qualsiasi atto giudiziario, anche relativo a processi civili. In ciò si distinguerebbe il domicilio generale del testimone o del collaboratore di giustizia da quello che lo stesso può essere autorizzato ad eleggere, ai sensi dell’articolo 13, comma 12, d.l. numero 8 del 1991, presso persona di fiducia o presso un ufficio di polizia. Quest’ultimo, infatti, costituisce un domicilio speciale , la cui elezione deve essere autorizzata dal procuratore della Repubblica o dal giudice, valevole per le sole comunicazioni o notificazioni relative a quello specifico procedimento o processo in cui la persona è interrogata o esaminata. 9. In tal senso risulta orientata la giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte. È stato infatti affermato che la speciale domiciliazione di un collaboratore di giustizia presso il Servizio centrale di protezione, prevista dall’articolo 12, comma 3-bis, d.l. numero 8 del 1991, va equiparata, ad ogni effetto, al domicilio eletto Sez. 5, numero 27222 del 11/12/2012 - dep. 20/06/2013, Naimo, Rv. 256282 , con la conseguenza che è nulla la notifica effettuata in luogo diverso Sez. 3, numero 35712 del 05/05/2011 - dep. 03/10/2011, Dianese, Rv. 251230 . A doverosa tutela del diritto del soggetto sottoposto al programma speciale di protezione e in difetto di normative di dettaglio che prevedano un raccordo tra la domiciliazione legale e la trasmissione al destinatario dell’atto oggetto di notifica, occorre allora interrogarsi se questi principi possano applicarsi anche oltre i confini del processo penale, non solo e non tanto in considerazione della soggezione della disciplina delle notificazioni nel sistema processuale civile ed in quello penale ai medesimi principi ispiratori d’ordine generale, quanto perché il legislatore non precisa né distingue i fini ai quali rileva la domiciliazione ex lege presso la Commissione centrale. Sicché, una volta ammesso che tale domicilio non valga solamente ai fini del procedimento amministrativo di ammissione al o di revoca del programma speciale di protezione, non vi sarebbero motivi per circoscriverne l’operatività alla sola notificazione degli atti del processo penale e non anche di quelli introduttivi di un giudizio civile benché poi occorra trarre ulteriori corollari sugli oneri di trasmissione ad opera della struttura dello Stato al destinatario dell’atto, al quale quella eroga appunto una peculiare protezione, da coordinarsi necessariamente con la salvezza della facoltà di esercitare il diritto di resistere anche in un giudizio civile. 10. In conclusione, questa Corte non ha finora affrontato in modo sistematico il problema del coordinamento delle disposizioni di cui agli articolo 137 ss. cod. proc. civ. in tema di notificazione degli atti del processo civile con la norma speciale, valevole per i testimoni e i collaboratori di giustizia ammessi ad un programma speciale di protezione, contenuta nell’articolo 12, comma 3-bis, d.l. 15 gennaio 1991, numero 8, che prevede la domiciliazione legale di tali persone presso la Commissione centrale per la definizione e applicazione delle speciali misure di protezione. Con la sentenza numero 23838 del 2007 è stata affermata la validità della notificazione effettuata presso la residenza anagrafica, senza tuttavia considerare che la sottoposizione del destinatario al programma speciale di protezione e il suo trasferimento in località protetta di fatto recidono il rapporto dello stesso con il luogo di residenza risultante dai registri anagrafici, la cui attendibilità presuntiva risulta in tal modo definitivamente superata. Con la sentenza numero 8646 del 2016, nel solco della precedente pronuncia, è stata ritenuta la necessità di rinnovare una notificazione effettuata presso il Servizio centrale di protezione, in quanto malamente eseguita ma si tratta di una affermazione che, in considerazione della particolarità del caso deciso, non affronta ex professo il problema e si basa su un’applicazione, per così dire, estensiva del principio affermato nel 2007 che in realtà non prendeva espressamente posizione sul punto . Le due sentenze, inoltre, non si pongono in linea con gli approdi della giurisprudenza penale di legittimità, che invece ha affermato la rilevanza generale della domiciliazione legale ex articolo 12, comma 3-bis, d.l. 15 gennaio 1991, numero 8, e la nullità di una notificazione a persona sottoposta ad un programma speciale di protezione effettuata in luogo diverso rispetto al Servizio centrale di protezione. La questione sopra enucleata, non potendosi ravvisare un vero e proprio contrasto fra le sezioni civili e quelle penali della Corte, pare configurare allora una questione di massima di particolare importanza, che coinvolge i principi generali del processo civile e le esigenze pubblicistiche sottese all’istituto della protezione speciale dei collaboratori di giustizia. Così, è opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente, affinché valuti se la stessa possa essere decisa dalla Corte a sezioni unite. P.Q.M. Rimette il ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni unite della questione di massima di particolare importanza relativa alle modalità di notificazione degli atti introduttivi degli atti civili ai soggetti sottoposti al programma speciale di protezione previsto dal del d.l. 15 gennaio 1991, numero 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, numero 82.