L'eventuale decreto penale di condanna non è motivo sufficiente a rendere automatica la revoca della licenza di porto d'armi, ovvero del fucile per tiro a volo.
Insomma, ha avuto ragione il Tar Puglia a ritenere che il decreto penale di condanna dell’interessato, emesso dal G.I.P. e su cui si basava il provvedimento di revoca, non comportasse automaticamente, per la lieve entità del fatto porto abusivo di coltello a serramanico di cm 20 circa usato per attività agricola , del reato articolo 4 legge numero 110/1975 e della pena € 50,00 , la asserita carenza del requisito dell’inaffidabilità. Ma il medesimo Tar non doveva, in questo caso, compensare le spese. Con la conseguenza che il Consiglio di Stato sent. numero 3071/2014, depositata il 12 giugno ha posto a carico del Ministero dell'Interno le spese dei due gradi di giudizio quantificate in 4.000 euro. Discrezionalità e motivazione. L’articolo 42 T.U.L.P.S. rimette alla valutazione dell’autorità di pubblica sicurezza la “facoltà” di rilasciare licenza di porto d’armi, con validità annuale, sul presupposto del “dimostrato bisogno”, mentre il successivo articolo 43, definendo i presupposti per il rilascio della suddetta licenza, delinea talune ipotesi in cui è fatto divieto di concedere “licenza di portare armi” tralasciando quanto stabilito al comma secondo del predetto articolo, in tutti i detti casi v. lett. a, b e c, articolo 43 la legge si richiama alla intervenuta “condanna” del soggetto richiedente a particolari tipi o categorie di reati, perfettamente individuati, cui, in certo senso, viene ricollegata una presunzione assoluta di “cattiva condotta”. Peraltro, anche in tema di “licenza di porto d’armi”, trova applicazione l’articolo 11 del T.U., in quanto espressamente richiamato dall’articolo 43 Cons. St. VI, numero 1925/2010 ed, in particolare, il suo terzo comma, il quale prescrive la revoca dell’autorizzazione anche nel caso in cui il titolare perda i requisiti previsti dalla legge ovvero sopravvengano circostanze che ne avrebbero «imposto o consentito il diniego». Affidabilità del richiedente. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa sez. III, numero 3527/2012 l’istanza volta ad ottenere il rilascio di licenza di porto d’armi deve essere vagliata non già in astratto, ma in concreto, alla luce di un complessivo giudizio connotato da lata discrezionalità che si sostanzia nell’espressione di una valutazione sintetica in ordine al possesso, nel richiedente, del requisito dell’affidabilità desunto dalla sua condotta globalmente considerata Cons. St., sez. VI, numero 6568/2010 . L’elevata discrezionalità di cui è titolare l’Amministrazione, però, deve essere esercitata secondo i principi di trasparenza dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento del privato nei confronti di essa, senza che ciò possa trasmodare in irrazionalità manifesta Cons. St., sez. VI, numero 3427/2006 . nel caso specifico, posto all'attenzione della sezione, che ha deciso con sentenza 3021 depositata il 12 giugno 2014, nel caso di specie il diniego di rinnovo risulta connotato da circostanze che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a motivare in modo più esauriente il diniego del porto di fucile per tiro a volo impugnato in primo grado. In sostanza, a giudizio del Collegio, l’Amministrazione ha un potere ampiamente discrezionale nel valutare con il massimo rigore qualsiasi elemento che consigli l’adozione del provvedimento di divieto o di revoca della detenzione dell’arma in quanto la misura restrittiva persegue la finalità di prevenire la commissione di reati e, in generale, di fatti lesivi della pubblica sicurezza, con la conseguenza che il detentore deve essere persona sempre esente da mende o da indizi negativi. È altrettanto vero, però, che può fare ciò solo sulla base di una istruttoria esaustiva e di una motivazione congrua e coerente che tenga conto degli elementi di fatto caratteristici della fattispecie, evidenziando quali siano le circostanze e il conseguente giudizio che l’hanno indotto a denegare il suddetto titolo. Nel caso specifico, invece, il Questore prima e il Prefetto dopo, nel valutare il ricorso gerarchico, risultano aver supinamente preso atto della condanna subita dall’interessato per dedurre sic et simpliciter l’inaffidabilità dell’interessato. Nessuna motivazione viene addotta, come sostenuto dal T.A.R. e affermato dall’appellato, in relazione alla entità del fatto e della pena nonché della tipicità del reato ascritto, che lo stesso G.I.P. di Larino aveva “calibrato” in considerazione della «natura dei fatti e della personalità dell’imputato», e senza alcun cenno alla rilevanza del fatto accertato il 26 ottobre 2002, pur prescindendo dalla intervenuta estinzione del reato. In pratica, le argomentazioni svolte dall’Amministrazione, che pure avrebbe potuto adottare altro provvedimento idoneamente motivato, erano per di più generiche, assertive e ripetitive sostanzialmente del mero contenuto dei provvedimenti impugnati. Con la conseguenza di rendere la revoca illegittima.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 5 – 12 giugno 2014, numero 3021 Presidente Romeo – Estensore Stelo Fatto e diritto 1. Il Tribunale amministrativo regionale per la Puglia – Bari – Sezione II, con sentenza numero 635 del 6 marzo 2008 depositata il 20 marzo 2008, ha accolto, con compensazione delle spese, il ricorso proposto dal signor Roberto Del Vecchio avverso i provvedimenti numero 6F del 18 dicembre 2006 e numero 273 del 14 maggio 2007, con i quali il Questore e il Prefetto di Foggia hanno rispettivamente respinto l’istanza per la licenza di porto fucile per tiro a volo e il ricorso gerarchico presentato avverso il decreto questorile. Il T.A.R. ha affermato che il decreto penale di condanna dell’interessato, emesso dal G.I.P. del Tribunale di Larino in data 5 febbraio 2004 e su cui si basano i citati provvedimenti, non comportasse automaticamente, per la lieve entità del fatto porto abusivo di coltello a serramanico di cm 20 circa usato per attività agricola , del reato articolo 4 legge numero 110/1975 e della pena € 50,00 , la asserita carenza del requisito dell’inaffidabilità. Di conseguenza, pur riconoscendo all’Amministrazione una valutazione ampiamente discrezionale in materia, il giudice di prime cure ha ritenuto che quei provvedimenti non fossero supportati da una adeguata e concreta valutazione dei fatti e da una congrua motivazione, tanto più che il reato contravvenzionale di cui al decreto di condanna era estinto essendo trascorso il termine di due anni senza che l’imputato avesse commesso delitto o contravvenzione della stessa indole articolo 460, c.5, c.p.p. . 2. Il Ministero dell’Interno, la Prefettura e la Questura di Foggia, con atto dell’Avvocatura generale dello Stato notificato il 7 luglio 2008 e depositato il 2 agosto 2008, hanno interposto appello ribadendo la specialità della condanna, l’irrilevanza della estinzione, la conseguente discrezionalità dell’autorità di p.s. nel definire la prognosi di inaffidabilità e il mero giudizio probabilistico circa la capacità di abusare in capo al detentore dell’arma, come confermato anche da pronunce di questo Consesso. 3. Il signor Roberto Del Vecchio si è costituito con appello incidentale, notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 30 ottobre 2008, a motivato sostegno della sentenza impugnata, sottolineando l’erroneità dell’asserito “porto abusivo d’armi” ex articolo 699 c.p. , mentre il reato ascrittogli era il reato diverso e meno grave di porto di armi od oggetti atti a offendere articolo 4 legge numero 11071975 . Appella il capo della sentenza che ha disposto la compensazione delle spese di giudizio, che invece erano da porre, ex articolo 91 c.p.c., a carico delle parti soccombenti, ovvero, ex articolo 92, comma 2, c.p.c., la compensazione era da motivare congruamente. 4. La causa, all’udienza pubblica del 5 giugno 2014, è stata trattenuta in decisione. 5.1. L’appello principale è infondato mentre è fondato l’appello incidentale, per cui la sentenza impugnata va riformata nel capo che ha disposto la compensazione delle spese. 5.2. Come è noto l’articolo 42 del T.U.L.P.S. rimette alla valutazione dell’autorità di pubblica sicurezza la “facoltà” di rilasciare licenza di porto d’armi, con validità annuale, sul presupposto del “dimostrato bisogno”, mentre il successivo articolo 43, definendo i presupposti per il rilascio della suddetta licenza, delinea talune ipotesi in cui è fatto divieto di concedere “licenza di portare armi” tralasciando quanto stabilito al comma secondo del predetto articolo, in tutti i detti casi v. lett. a, b e c articolo 43 la legge si richiama alla intervenuta “condanna” del soggetto richiedente a particolari tipi o categorie di reati, perfettamente individuati, cui, in certo senso, viene ricollegata una presunzione assoluta di “cattiva condotta”. Peraltro, anche in tema di “licenza di porto d’armi”, trova applicazione l’articolo 11 del T.U., in quanto espressamente richiamato dall’articolo 43 Cons. St. VI, 6 aprile 2010 numero 1925 ed, in particolare, il suo terzo comma, il quale prescrive la revoca dell’autorizzazione anche nel caso in cui il titolare perda i requisiti previsti dalla legge ovvero sopravvengano circostanze che ne avrebbero “imposto o consentito il diniego”. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa cfr., tra le altre, III numero 3527/2012 l’istanza volta ad ottenere il rilascio di licenza di porto d’armi deve essere vagliata non già in astratto, ma in concreto, alla luce di un complessivo giudizio connotato da lata discrezionalità che si sostanzia nell’espressione di una valutazione sintetica in ordine al possesso, nel richiedente, del requisito dell’affidabilità desunto dalla sua condotta globalmente considerata cfr. Cons. St. VI, 13 settembre 2010 numero 6568 . L’elevata discrezionalità di cui è titolare l’Amministrazione, però, deve essere esercitata secondo i principi di trasparenza dell’azione amministrativa e di legittimo affidamento del privato nei confronti di essa, senza che ciò possa trasmodare in irrazionalità manifesta Cons. St. VI, 7 giugno 2006 numero 3427 . 5.3. Tutto ciò premesso, la Sezione è dell’avviso che il caso di specie risulta connotato da circostanze che avrebbero dovuto indurre l’Amministrazione a motivare in modo più esauriente il diniego del porto di fucile per tiro a volo impugnato in primo grado. Come detto, l’Amministrazione ha un potere ampiamente discrezionale nel valutare con il massimo rigore qualsiasi elemento che consigli l’adozione del provvedimento di divieto o di revoca della detenzione dell’arma in quanto la misura restrittiva persegue la finalità di prevenire la commissione di reati e, in generale, di fatti lesivi della pubblica sicurezza, con la conseguenza che il detentore deve essere persona sempre esente da mende o da indizi negativi è altrettanto vero, però, che può fare ciò solo sulla base di una istruttoria esaustiva e di una motivazione congrua e coerente che tenga conto degli elementi di fatto caratteristici della fattispecie, evidenziando quali siano le circostanze e il conseguente giudizio che l’hanno indotto a denegare il suddetto titolo. In verità il Questore prima e il Prefetto dopo risultano aver supinamente preso atto della condanna subita dall’interessato per dedurre sic et simpliciter l’inaffidabilità dell’interessato. Nessuna motivazione viene addotta, come sostenuto dal T.A.R. e affermato dall’appellato, in relazione alla entità del fatto e della pena nonché della tipicità del reato ascritto, che lo stesso G.I.P. di Larino aveva “calibrato” in considerazione della “natura dei fatti e della personalità dell’imputato”, e senza alcun cenno alla rilevanza del fatto accertato il 26 ottobre 2002, pur prescindendo dalla intervenuta estinzione del reato. Le argomentazioni svolte dall’Amministrazione, che pure avrebbe potuto adottare altro provvedimento idoneamente motivato, si appalesano per di più generiche, assertive e ripetitive sostanzialmente del mero contenuto dei provvedimenti impugnati, che, per le considerazioni che precedono, sono quindi da ritenersi illegittimi, condividendo quindi la pronuncia del T.A.R. sul punto. 6. L’infondatezza dell’appello principale induce la Sezione ad accogliere l’appello incidentale proposto dal signor Del Vecchio per quanto concerne il capo della sentenza del T.A.R. che ha disposto la compensazione delle spese di giudizio. Pur nella consapevolezza dell’amplissimo potere discrezionale del giudice in materia, tuttavia nel caso di specie, ad avviso della Sezione, si ritiene debba darsi prevalenza alla regola della soccombenza, tenuto conto anche del comportamento dell’Amministrazione che ben avrebbe potuto dapprima idoneamente motivare i provvedimenti impugnati anziché limitarsi al mero dato formale e poi adottare altro provvedimento in sintonia con la pronuncia del T.A.R 7. Ne consegue che l’appello principale va respinto, salvi gli eventuali ulteriori provvedimenti di competenza dell’Amministrazione. Va accolto l’appello incidentale, con conseguente parziale riforma della sentenza impugnata, per cui le spese del doppio grado di giudizio sono poste a carico della soccombente Amministrazione come da dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Terza definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge l’appello principale e accoglie l’appello incidentale, così riformando in parte la sentenza impugnata nei sensi di cui in motivazione. Condanna l’Amministrazione al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio da liquidarsi in € 4000,00 quattromila , oltre agli accessori dovuti per legge, a favore della controparte costituita. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.