Il poliziotto non ha bisogno di correre dietro al colpevole: il computer lo fa al posto suo

E' possibile redigere un verbale di accertamento di infrazioni stradali in forma digitale ed automatizzata, nei casi in cui non possa procedere alla contestazione immediata dell’addebito al trasgressore.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 20560, depositata il 19 maggio 2014. Il caso. Il tribunale di Milano annullava l’ordinanza di sospensione dall’esercizio del pubblico servizio, emessa dal gip presso il tribunale di Busto Arsizio, nei confronti di un agente di polizia locale, accusata del reato di cui all’articolo 478 c.p. Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in copie autentiche di atti pubblici o privati e in attestati del contenuto di atti . Secondo l’accusa, dopo aver omesso di redigere l’originale di alcuni verbali di accertamento per infrazioni stradali, aveva inserito i dati nel sistema informatico, emettendo, così, delle false copie conformi relative ad atti pubblici inesistenti, in seguito stampati e notificati ai presunti responsabili delle violazioni del codice della strada. Il pm ricorreva in Cassazione, lamentando la ritenuta insussistenza del reato ex articolo 478 c.p., a causa dell’esclusione, operata dai giudici di merito, dei gravi indizi che, a suo avviso, integravano invece la fattispecie. Atti digitali, ma esistenti. Tuttavia, la Corte di Cassazione riteneva che mancasse il presupposto fattuale, cioè l’ipotizzata inesistenza dell’originale atto di accertamento, e la falsa predisposizione delle copie autentiche. Infatti, gli atti esistevano, anche se redatti in forma digitale ed automatizzata, come consentito dall’articolo 383 c.d.s., mediante la creazione di files immodificabili inseriti nel sistema operativo del Comune. Questo è un sistema di redazione del verbale consentito dalla legge nei casi in cui il pubblico ufficiale non possa procedere alla contestazione immediata dell’addebito al trasgressore. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 febbraio – 19 maggio 2014, numero 20560 Presidente Lombardi – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 19 settembre 2013 il Gip del Tribunale di Busto Arsizio disponeva la misura interdittiva della sospensione dall'esercizio di pubblico ufficio o servizio, per mesi due, nei confronti di R.L., agente di polizia locale del Comune di Casorate Sempione, in qualità di pubblico ufficiale nell'esercizio delle funzioni di organo accertatore delle violazioni del codice della strada, indagata - in concorso con altri - del reato di cui all'articolo 478, commi 1 e 2, cod. penumero perché, supponendo l'esistenza dell'originale di verbali di accertamento del codice della strada indicati nel capo d'incolpazione, per complessivi 3.972 atti, in realtà mai redatti, simulavano il rilascio di copia legale conforme da notificare al trasgressore in particolare, dopo avere omesso di redigere l'originale dei suddetti verbali di accertamento dell'infrazione stradale, provvedevano all'inserimento dei dati nel sistema Servizio Concilia in uso al Comando in tal modo emettendo false copie conformi relative ad atti pubblici inesistenti, che venivano successivamente stampati e notificati, per il tramite della ditta Maggioli S.p.A. , ai responsabili delle violazione del codice della strada e del reato di cui agli articolo 640, commi 1 e 2, e 61 numero 9 cod. penumero , perché con artifici e raggiri consistiti nel rilasciare copie conformi di verbali di accertamento inesistenti, nell'indicare, nelle suddette copie autentiche dei verbali, importi da versare ulteriori rispetto alla sanzione, a titolo di spese di gestione violando l'articolo 210, comma 4, del.lvo numero 285 del 1992, che prevede la possibilità di addebitare in capo al trasgressore unicamente le spese di notifica ed accertamento infine nell'addebitare al responsabile, in violazione della delibera comunale numero 7 del 2011, in presenza di una prima notifica non andata a buon fine per cause non imputabili ai destinatari errore targa, omessa verifica della residenza del trasgressore , il raddoppio, la triplicazione e quadruplicazione delle spese di notifica di gestione, queste ultime riferite in realtà ad attività inesistenti e mai effettuate in tal modo, procuravano un ingiusto profitto con altrui danno quantificabile in complessivi € 88.699, consistiti nelle somme richieste al trasgressore in assenza di un valido titolo giustificativo. Pronunciando sull'appello proposto dall'indagata, il Tribunale di Milano, in funzione di giudice di appello de libertate, annullava l'impugnata ordinanza e, per effetto, revocava la misura interdittiva applicata alla stessa ricorrente, ritenendo insussistenti le fattispecie di reato oggetto d'incolpazione. 2. Avverso l'anzidetta pronuncia, il P.m. di Milano ha proposto ricorso per cassazione affidato alle ragioni di censura di seguito indicate. Con il primo motivo si deduce inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento all'articolo 478 cod.penumero , in relazione alla ritenuta insussistenza del reato di falsità materiale in copie autentiche di atti pubblici o privati od in attestati del contenuto di tali atti. Con il secondo motivo si deduce identico vizio di legittimità e manifesta illogicità del provvedimento con riferimento all'articolo 640 cod. penumero , con riguardo alla ritenuta insussistenza degli artifici e raggiri richiesti per la configurazione del delitto di truffa. Si contesta, in sostanza, l'esclusione dei gravi indizi in relazione alle ipotesi contestate di falsità materiale e truffa aggravata, delle quali erano, invece, ravvisabili tutti presupposti in rapporto alla fattispecie sostanziale in esame. Considerato in diritto 1. Il ricorso si colloca alle soglie dell'inammissibilità, riproponendo pedissequamente questioni già delibate e definite dal giudice del riesame con una motivazione ampiamente esaustiva e giuridicamente corretta. Le censure che lo sostanziano sono, comunque, destituite di fondamento. Ed invero, il giudice a quo ha diffusamente spiegato le ragioni della ritenuta insussistenza del reato di cui all'articolo 478 cod. penumero , mancando il presupposto fattuale della contestazione, ovverosia l'ipotizzata inesistenza dell'originale, ossia dell'atto di accertamento, e la falsa predisposizione di copie autentiche. Infatti, gli atti di cui si assume l'insussistenza erano, invece, esistenti, siccome redatti in forma digitale ed automatizzata, così come consentito dall'articolo 383 c.d.s. dpr. 16 dicembre 1992, numero 495 , mediante la creazione di fi/es immodificabili inseriti nel sistema operativo della Comune di Casorate Sempione, recanti le indicazioni di cui all'articolo 3 comma 2 d.lgs numero 39 del 1993, così come esattamente rilevato dal giudice del riesame. Si tratta, in particolare, di un sistema di redazione del verbale consentito dalla legge per i casi in cui pubblico ufficiale non possa procedere alla contestazione immediata dell'addebito al trasgressore del codice della strada, in linea peraltro con il generale sistema di informatizzazione ed automatizzazione degli atti della pubblica amministrazione, previsto dagli articolo 20 e seguenti dei Codice dell'amministrazione digitale d.lgs. 7 marzo 2005 numero 82 . Parimenti ineccepibile é la ritenuta insussistenza dei reato di truffa, sotto il duplice, motivato, profilo che l'aggravio delle spese di gestione era previsto da apposita delibera comunale e non era, dunque, imputabile agli agenti di polizia municipale, responsabili dell'accertamento, così come non erano loro imputabili gli ulteriori costi di notifica, posto che la procedura notificatoria, demandata ad una società di riscossione, esulava dalla sfera delle relative attribuzioni. 2. Per quanto precede il ricorso deve essere rigettato nei termini di cui in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.m.