Ad ogni azione arbitraria corrisponde una reazione scriminata

La verifica legata alla presenza o meno di arbitrarietà dell’azione del pubblico ufficiale passa anche dal rapporto di proporzione ed adeguatezza che deve correre tra l’iniziativa assunta e la situazione che la legittima. Quanto più è sproporzionato l’atto rispetto alla finalità che lo legittima, tanto più la deviazione dalle regole di condotta sconfina nell’abuso, integrando, così, la scriminante che giustifica la resistenza al pubblico ufficiale ex articolo 393-bis c.p. Nella considerazione devono rientrare anche le contingenti situazioni soggettive sacrificate, anche indirettamente, dall’iniziativa del pubblico ufficiale, perché potenzialmente possono accrescere la distanza dell’atto dalle ragioni che lo legittimano.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 18957, depositata l’8 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Torino confermava la sentenza di condanna nei confronti di un uomo, accusato del reato di resistenza a pubblico ufficiale, ex articolo 337 c.p., e di lesioni volontarie aggravate, contro alcuni agenti di polizia. L’imputato affrontava gli agenti, presenti presso i servizi sociali per garantire un servizio di vigilanza in occasione dell’incontro settimanale tra il reo e la figlia minorenne a causa di precedenti atteggiamenti minacciosi e violenti verso gli assistenti sociali , prima con atteggiamento verbale, provocatorio ed aggressivo, poi, in seguito all’atto dell’identificazione, aggredendoli fisicamente. L’uomo ricorreva in Cassazione, contestando ai giudici di merito di aver escluso l’esimente ex articolo 393-bis c.p. per il caso in cui il pubblico ufficiale dia causa al fatto, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni , sul presupposto dell’inscindibilità tra la condotta verbale e quella fisica compiuta ai danni degli operanti, tali da aver giustificato questi a procedere all’identificazione dell’imputato, accompagnandolo in altro ufficio ed impedendogli, così, di incontrare la figlia. Tuttavia, a fronte di una condotta verbale meramente provocatoria, mancavano i presupposti che consentissero agli agenti di procedere all’identificazione con accompagnamento forzato e privazione della libertà personale. Rapporto di proporzionalità. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che la verifica legata alla presenza o meno di arbitrarietà dell’azione del pubblico ufficiale passa anche dal rapporto di proporzione ed adeguatezza che deve correre tra l’iniziativa assunta e la situazione che la legittima. Quanto più è sproporzionato l’atto rispetto alla finalità che lo legittima, tanto più la deviazione dalle regole di condotta sconfina nell’abuso, giustificando, così, la scriminante ex articolo 393-bis c.p Nella considerazione devono rientrare anche le contingenti situazioni soggettive sacrificate, anche indirettamente, dall’iniziativa del pubblico ufficiale, perché potenzialmente possono accrescere la distanza dell’atto dalle ragioni che lo legittimano. Nel caso di specie, gli agenti, perciò, avrebbero dovuto anche considerare le conseguenze che si sarebbero provocate riguardo alla possibilità per l’imputato di incontrare la figlia. Possibilità di accompagnamento forzato. Inoltre, secondo l’articolo 349, comma 4, c.p.p., è corretto l’accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell’indagato, ai fini della sua identificazione, solo nel caso in cui il soggetto richiesto neghi ogni forma di collaborazione o fornisca delle generalità o dei documenti di identificazione, ritenuti falsi. Nel caso in cui manchi uno di questi elementi, resta, quindi, preclusa la possibilità di accompagnare coattivamente il soggetto in caserma per le operazioni di identificazione, privandolo illegittimamente della sua libertà personale. Nel caso di specie, i giudici di merito non chiarivano se, in base alle emergenze probatorie, al ricorrente fosse stata prospettata un’attività d’identificazione destinata a dispiegarsi nelle forme previste dall’articolo 349, comma 4, c.p.p., che avrebbero impedito l’incontro programmato con la figlia. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 aprile – 8 maggio 2014, numero 18957 Presidente Agrò – Relatore Paternò Raddusa Ritenuto in fatto 1. B.A. propone ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Torino con la quale è stata data conferma alla sentenza del Tribunale di Torino che ha ritenuto il ricorrente colpevole del reato ex articolo 337 cpp e di lesioni volontarie aggravate, fatti commessi in danno di alcuni operanti della Polizia Municipale di Torino, condannandolo alla pena di giustizia ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile C.A. . 2. In fatto, secondo quanto emergente dalla sentenza impugnata, il ricorrente ha prima affrontato gli operanti presenti presso i servizi sociali per garantire un servizio di vigilanza prestato in occasione dell'incontro assistito che il B. doveva effettuare ivi con la figlia minorenne, servizio predisposto per gli atteggiamenti pregressi, minacciosi e violenti nei confronti degli assistenti sociali tenuti dal B. stesso con atteggiamento verbale, provocatorio, offensivo e minaccioso per poi, all'atto della identificazione, aggredito i detti operanti allorquando gli era stato chiesto di mostrare il contenuto della borsa che portava con se , cagionando loro, con spinte, calci e morsi, le lesioni descritte al capo B, arrecate anche dopo che gli agenti avevano provveduto ad ammanettarlo. 3. Due i motivi di ricorso. 3.1 Si adduce violazione di legge relativamente all'articolo 393 bis cp. La Corte avrebbe escluso la esimente ex articolo 393 bis cp sul presupposto della inscindibilità tra la condotta verbale e quella fisica posta in essere ai danni degli operanti, tali da aver giustificato questi ultimi a procedere alla identificazione del ricorrente, accompagnandolo in altro ufficio e distogliendolo dall'incontro settimanale con la figlia minore. Ma in realtà solo in presenza dei requisiti di cui all'articolo 349 comma Iv cpp gli agenti avrebbero potuto procedere alla identificazione con accompagnamento forzato e privazione della libertà personale del ricorrente e nel caso, a fronte di una condotta verbale definita anche in sentenza come meramente provocatoria, siffatti presupposti dovevano ritenersi insussistenti e l'azione degli operanti arbitraria. 3.2 Con il secondo motivo si lamenta travisamento probatorio avuto riguardo alle informazioni rese dalle persone informate sui fatti, L. , F. e Fr. sempre in punto alla ritenuta insussistenza dei presupposti di applicabilità dell'articolo 393 bis cp. La Corte ha legato l'insussistenza dell'azione arbitraria alla richiesta di esibizione del contenuto della borsa che il ricorrente aveva con sé. Ma tale dato, evincibile solo dalla annotazione di PG, non dalle dichiarazioni rese dai soggetti sentiti a sit, diversi dal L. , che nulla hanno riferito sul punto per non aver immediatamente assistito alla dinamica dei fatti. Per contro il L. , che ha avuto modo di essere presente all'intero svolgimento della vicenda, nulla ha riferito in ordine a tale richiesta di esibizione, avendo affermato di non essere in grado di descrivere gli eventi con precisione per la estrema rapidità degli stessi avuto riguardo alla fase di colluttazione successiva, non a quella che ebbe a precederla. Il dato presupposto dunque destinato ad escludere l'arbitrarietà dell'azione degli agenti utilizzato dalla Corte per escludere l'applicabilità dell'articolo 393 bis cpp non troverebbe dunque alcun valido conforto probatorio. Considerato in diritto 4. IL ricorso merita l'accoglimento per le ragioni precisate di seguito. 5. La motivazione adottata dalla Corte nell'escludere l'applicabilità alla specie del disposto di cui all'articolo 393 bis cp, non fornendo puntuale risposta a tutti i rilievi sollevati sul punto dalla difesa con l'appello, non consente di escludere la violazione di legge lamentata con il primo motivo di ricorso, risultando la relativa argomentazione assolutamente carente su un punto essenziale della dinamica in fatto sottesa al presente giudizio. 6. La sentenza impugnata, nel leggere e ricostruire l'intera vicenda in processo attribuisce, del tutto correttamente, assoluto rilievo alle ragioni che ebbero a giustificare, in occasione dell'incontro tra il ricorrente e la figlia presso i locali dei servizi sociali, la predisposizione del servizio di vigilanza reso dai componenti della polizia municipale poi aggrediti dal ricorrente. Ciò alla luce delle minacce in precedenza rivolte dal B. agli assistenti sociali tali da motivare una particolare attenzione alle modalità di svolgimento del detto incontro. In questo quadro, altrettanto correttamente, vengono letti gli atteggiamenti non solo di provocazione ma anche di ingiuria rivolti dal ricorrente appena giunto presso i detti locali, una volta constatata la presenza dei detti componenti della Polizia Municipale il tutto nell'ottica diretta a ritenere non arbitrario ma pienamente legittimo l'atteggiamento di questi ultimi, diretto a favorire l'identificazione del B. in risposta al contegno tenuto dallo stesso. 6. E di tutta evidenza, tuttavia, che il pregresso atteggiamento del B. e la natura dei rapporti sottesi all'atto oggetto del predisposto servizio di vigilanza costituiscono, al contempo, chiavi di lettura, dotate di altrettanto rilievo logico e giuridico quanto alla particolare delicatezza della vicenda sul versante delle implicazioni familiari e personali involgenti l'imputato. Non può non rimarcarsi, infatti, che la verifica legata alla presenza o meno della arbitrarietà dell'azione del pubblico ufficiale passa anche dal rapporto di proporzione e adeguatezza che deve correre tra iniziativa assunta e situazione legittimante la stessa. Quanto più è sproporzionato l'atto rispetto alla finalità che lo legittima, quanto più la deviazione dalle regole destinate a sovraintendere l'iniziativa di ufficio finisce per confinare con l'abuso, con il sopruso utile a scriminare la reazione violenta ex articolo 4 dlvo 288/44. Ed in questo quadro di riferimento non possono non assumere rilievo anche le contingenti situazioni soggettive sacrificate, anche indirettamente, dalla iniziativa pacificamente illegittima giacché le stesse, per forza di cose, finiscono per accrescere la distanza dell'atto con le ragioni che lo legittimano, favorendo il concretarsi di veri e propri abusi destinati a giustificare la reazione oppositiva. 7. Mantenuta nei termini della mera identificazione del ricorrente non altrimenti volta, nei fatti, ad ostacolare, nella immediatezza, le possibilità, per il B. , di incontro con la figlia, l'attività di identificazione, motivata dal contegno del ricorrente, non poteva porsi in discussione sul piano della relativa legittimità, attestandosi dunque in termini di palese estraneità ai profili di arbitrarietà utili a giustificare l'applicabilità dell'invocata esimente. Ad altra soluzione dovrebbe invece pervenirsi laddove, a fronte di un mero comportamento provocatorio e ingiurioso, al B. sia stato chiesto di seguire i componenti della polizia municipale in caserma per ivi procedere alla identificazione, prospettando allo stesso una sostanziale ragione di impedimento dell'incontro con la figlia che si sarebbe svolto da li a poco. In questa diversa cornice di fatto mutano i valori di riferimento utili per ritenere non arbitraria l'iniziativa di ufficio. 8. Giova ricordare come per il disposto di cui all'articolo 349 c.p.p., comma 4 è corretto l'accompagnamento forzato e la privazione della libertà personale dell'indagato, ai fini della sua identificazione ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, solo nel caso in cui il soggetto richiesto o neghi ogni forma di collaborazione o fornisca generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistano sufficienti elementi per ritenerne la falsità. Insussistenti gli elementi di fatto utili per ritenere una delle due situazioni su descritte, resta preclusa la possibilità di accompagnare coattivamente il soggetto interessato in caserma per le operazioni di identificazione, privandolo illegittimamente della sua libertà personale. Già tanto, nella giurisprudenza di questa Corte, è stato ritenuto sufficiente per integrare gli estremi dell'azione arbitraria utile a legittimare in siffatte ipotesi la reazione oppositiva scriminata ex articolo 4 DLVO 288/44 si veda l'arresto 18841/11 di questa stessa sezione ancora vedi la sentenza 36162/08 . E nel caso la condotta finirebbe necessariamente per assumere i connotati tipici del sopruso ingiustificato dando il dovuto spazio ponderale anche alle conseguenze correlate all'azione illegittima in tal senso prospettata dai pubblici ufficiali, peraltro evidentemente consapevoli delle refluenze destinate a provocarsi in presenza dell'atto illegittimo quanto alla possibilità per il B. di procedere nell'occasione all'incontro con la figlia. 9. È di tutta evidenza, dunque, che tale situazione in fatto assume assoluta decisività nell'ottica volta a ritenere sussistente o per converso negare i presupposti di applicabilità della scriminante invocata. E sul punto, a fronte dei precipui rilievi in tal senso sollevati dalla difesa con l'appello, la Corte territoriale non ha risposto in alcun modo, omettendo di chiarire, pertanto, se in base alle emergenze probatorie, al ricorrente venne o meno prospettata una attività di identificazione destinata a dispiegarsi, nell'immediatezza, nelle forme di cui al comma IV dell'articolo 349 cpp in termini pertanto concretamente ostativi al programmato, in quella determinata occasione, incontro con la figlia. 10. Ne viene l'annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Colmato siffatto vuoto argomentativo, la Corte territoriale potrà poi procedere, in sede di rinvio, alla luce dei rilievi in diritto sopra prospettati, a definire compiutamente il tema in diritto legato alla applicabilità al caso di specie della scriminante invocata dalla difesa ai sensi del citato articolo 4 dlvo 288/44. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Torino.