I contributi datoriali per la previdenza complementare non sono retribuzione

Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare – quale che sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti – non si computano nel trattamento di fine rapporto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 16587 del 3 luglio 2013. Il caso . La Corte di Appello di Roma, confermando la pronuncia di primo grado, riteneva fondate le domande con cui diversi lavoratori di un istituto di credito chiedevano l’inserimento nella base di calcolo - per quel che qui interessa - del TFR dei contributi versati dal datore di lavoro al Fondo Integrativo Pensioni, da quest’ultimo istituito al fine di garantire agli iscritti in possesso di determinati requisiti un trattamento pensionistico integrativo. Contro tale pronuncia, l’istituto di credito proponeva ricorso alla Corte di Cassazione. Il TFR riflette il trattamento direttamente corrisposto in costanza di rapporto . La Corte, richiamando un suo recente precedente in tema di indennità di anzianità Cass. numero 8843/2012 , ritiene le doglianze della banca «manifestamente fondate». A supporto della propria decisione, la Cassazione chiarisce come la nozione stessa di retribuzione presupponga un diretto ed effettivo «passaggio di ricchezza» dal datore di lavoro al lavoratore, nonché un rapporto di corrispettività tra le somme erogate e la prestazione lavorativa. Dal che discende, prosegue la Corte, che il TFR deve rispecchiare il trattamento economico «corrisposto [] direttamente» in costanza di rapporto e sarebbe quindi incongruo ritenere che in tale retribuzione differita vengano incluse somme di cui il lavoratore, in costanza di rapporto, non ha mai goduto. I fondi sono autonomi rispetto al rapporto di lavoro . I versamenti al fondo, trattandosi di previdenza complementare, non sono invece destinati all’immediato soddisfacimento del lavoratore, così come il beneficio che quest’ultimo ne riceve non è costituito dai versamenti datoriali in sé e per sé considerati, bensì dalla pensione che con essi verrà conseguita. Ed infatti il lavoratore non riceve, né in costanza di rapporto né alla sua cessazione, alcun beneficio, che verrà erogato solo al maturarsi di determinati requisiti e condizioni. In ragione di ciò, ritiene la Corte che «il rapporto di previdenza integrativa ha certamente come necessario presupposto l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato, ma ha poi regole proprie, tra le quali quella essenziale è certamente l’obbligo del versamento a carico del datore di una contribuzione, ed a favore non certo del lavoratore ma, necessariamente, a favore del soggetto onerato della prestazione integrativa». La conclusione è confermata dal regime contributivo applicato ai versamenti . La conclusione che i versamenti datoriali ai fondi di previdenza complementare non costituiscano retribuzione è poi ulteriormente confermata dal peculiare regime contributivo ad essi riservato. Infatti, dopo vari interventi normativi ed una pronuncia della Corte Costituzionale Corte Cost. numero 421/1995 , è oggi certo che le somme in commento siano assoggettate unicamente ad un c.d. «contributo di solidarietà» pari al 10% del versamento, a carico del solo datore di lavoro e non alle ordinarie aliquote INPS previste per la retribuzione. Circostanza che importa, come ritenuto dalla Corte Costituzionale, che i versamenti in discorso «non possono più definirsi “elementi retributivi con funzione previdenziale”, ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 11 aprile - 3 luglio 2013, numero 16587 Presidente/Relatore La Terza Fatto e diritto La Cassa di Risparmio di Rieti spa chiede l'annullamento della sentenza della Corte d'Appello di Roma, che ha respinto l'appello contro la decisione con la quale il locale Tribunale aveva accolto il ricorso di A.S. ed altri dipendenti. La domanda dei lavoratori era di inserimento, nella base di calcolo del trattamento di fine rapporto e dell'indennità di anzianità, dei contributi corrisposti dalla Cassa al Fondo integrativo pensioni FIP istituito dalla banca con lo scopo di garantire agli iscritti in possesso di determinati requisiti un trattamento pensionistico integrativo delle prestazioni erogate dal sistema previdenziale pubblico. I lavoratori resistono con controricorso. Letta la relazione resa ex articolo 380 bis cod. proc. civ. di manifesta fondatezza del ricorso Viste le memorie depositate da entrambe le parti ed in particolare la memoria critica del lavoratori Ritenuto che i rilievi di cui alla relazione sono condivisibili Infatti il ricorso è manifestamente fondato Infatti con sentenza numero 8843/2012 pronunciata in fattispecie del tutto analoga, immutando il precedente orientamento, si è negata l'esistenza del diritto fatto valere, sulla base delle seguenti considerazioni “1. Recita l'articolo 2121 cod. civ. in tema di indennità di anzianità, che è pur sempre in vigore per l'anzianità maturata prima del maggio 1982 ex articolo 5 legge 297/82, che l'indennità deve essere computata calcolando le provvigioni, i premi di produzione e la partecipazione agli utili o ai prodotti, con esclusione di quanto è corrisposto a titolo di rimborso spese”. Pertanto la nozione di retribuzione delineata dal questa norma presuppone che vi sia un effettivo passaggio di ricchezza dal datore di lavoro al lavoratore e che le somme erogate si trovino in nesso di corrispettività con la prestazione lavorativa si deve quindi trattar di somme aventi carattere e funzione retributiva, e proprio per questo motivo queste indennità vengono denominate come retribuzione differita . 2. La indennità di anzianità e il TFR, devono quindi rispecchiare il trattamento economico corrisposto durante lo svolgimento del rapporto medesimo, avendo la funzione di essere d'ausilio al lavoratore nel periodo in cui, cessato il rapporto di lavoro, viene meno il diritto alla retribuzione che prima veniva percepita, sicché sarebbe incongrua la inclusione di somme di cui durante lo svolgimento non si è mai goduto. Ebbene, i versamenti effettuati dalla Banca a favore del Fondo, mai sono stati corrisposti ai dipendenti, né dovevano esserlo, pena, ovviamente, la impossibilità di funzionamento del Fondo medesimo. 3. Trattandosi, ed è pacifico, di fondo di previdenza integrativa, i versamenti erano preordinati non certo all'immediato soddisfacimento del lavoratore, ma, proprio in coerenza con la loro funzione, sono stati, e dovevano essere, accantonati e non direttamente corrisposti, per garantire il trattamento integrativo in caso di cessazione del rapporto di lavoro, o in caso di invalidità sopravvenuta, secondo le condizioni previste dal relativo statuto e con divieto di distrazione ai sensi dell'articolo 2117 cod. civ Vero è infatti che ai diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro accede, in questi casi, un ulteriore rapporto contrattuale, che obbliga il datore ai versamenti per garantire, in presenza delle condizioni prescritte, il conseguimento di una pensione integrativa di quella obbligatoria. Questo ulteriore rapporto costituisce un indubbio beneficio per il lavoratore, il quale però non altera, né modifica, né si compenetra con i diritti ed obblighi nascenti dal rapporto di lavoro, ed in particolare, non incide sulle modalità di erogazione delle indennità ricollegate alla fine del rapporto medesimo. 4. Il beneficio, che al lavoratore apporta il rapporto di previdenza integrativa, non è costituito dai versamenti effettuati dal datore, ma dalla pensione che con essi verrà conseguita. La contribuzione infatti, data la funzione del Fondo, per sua natura non può entrare nel patrimonio dei lavoratori interessati, i quali possono solo pretendere che venga versata al soggetto indicato nello Statuto. Il lavoratore non la riceve né nel corso del rapporto, né alla sua cessazione, essendo solo il destinatario di una aspettativa al trattamento pensionistico integrativo, che si concreterà esclusivamente al maturarsi di certi requisiti e condizioni. Il rapporto di previdenza integrativa ha certamente come necessario presupposto l'esistenza del rapporto di lavoro subordinato, ma ha poi regole proprie, tra le quali quella essenziale è certamente l'obbligo del versamento, a carico del datore di una contribuzione, ed a favore non certo del lavoratore ma, necessariamente, a favore del soggetto onerato della prestazione integrativa. Questo obbligo non può però rifluire sul rapporto di lavoro ed alterarne la fisionomia, perché non è in nesso di corrispettività diretta con la prestazione lavorativa. La prova evidente si ravvisa considerando che, in caso di cessazione del rapporto senza diritto alla pensione integrativa, perché non si sono verificati i requisiti prescritti, il dipendente nulla ha diritto di ricevere dal fondo. 5. Il carattere non retributivo dei versamenti effettuati dal datore per la previdenza integrativa è avvalorato dal regime previdenziale che li regola. L'annosa vicenda è nota e si può riassume come segue sull'obbligo invero da molti contestato , previsto dall'articolo 12 della legge 12 aprile 1969, numero 153, di includere nella retribuzione imponibile ai fini previdenziali anche i contributi versati dai datori di lavoro per trattamenti di previdenza integrativa, istituiti da contratti collettivi anche aziendali o da regolamenti, il legislatore intervenne con l'articolo 9 bis del d.l. numero 103 del 1991, introdotto in sede di conversione dalla legge numero 166 del 1991. 5.1. Con tale disposizione, definita di interpretazione autentica, si stabili a che l'articolo 12 citato doveva essere interpretato nel senso che fossero escluse dalla base imponibile dei contributi di previdenza e assistenza sociale le contribuzioni e somme versate o accantonate per il finanziamento dei trattamenti integrativi previdenziali o assistenziali b che restavano salvi i versamenti effettuati anteriormente all'entrata in vigore della legge c che dal primo periodo di paga successivo all'entrata in vigore della nuova normativa, per le contribuzioni o le somme destinate al finanziamento dei trattamenti integrativi era dovuto, ad esclusivo carico dei datori di lavoro, un contributo di solidarietà del dieci per cento in favore delle gestioni pensionistiche di legge cui erano iscritti i lavoratori. 5.2. Fu sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'articolo 3, primo comma, Cost., del citato articolo 9-bis, comma 1, secondo periodo, del d.l. numero 103 del 1991, nella parte in cui disponeva che per i contributi versati anteriormente all'entrata in vigore di tale norma valesse il principio della soluti retentio in favore delle gestioni degli istituti ed enti previdenziali esercenti la previdenza e l'assistenza obbligatorie. Con la sentenza numero 421 del 1995, la Corte Costituzionale, nel motivare la statuizione di accoglimento, individuò i principi costituzionali cui il legislatore avrebbe dovuto uniformarsi nel disciplinare la materia. Il Giudice delle leggi definì la norma non di interpretazione autentica, bensì innovativa con efficacia retroattiva e rilevò che non era la retroattività a determinarne l'illegittimità, quanto piuttosto l'aver essa stabilito per gli inadempienti l'esonero totale dal versamento dei contributi senza alcuna contropartita , in contrasto con il principio di razionalità-equità articolo 3 Cost. coordinato con il principio di solidarietà articolo 2 Cost. col quale deve integrarsi l'interpretazione dell'articolo 38, secondo comma, Cost. 5.3. Con tale pronuncia, chiarita dalla successiva sentenza numero 178/2000, la Corte ha affermato che, per rendere la normativa esaminata conforme alla Costituzione, sarebbe stata necessaria l'istituzione anche per il passato di una contropartita analoga al contributo di solidarietà, idonea a dare ragione dell'esonero dalla contribuzione in favore della previdenza obbligatoria. In ottemperanza alla suindicata decisione, i commi 193 e 194 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 1996, numero 662, hanno nuovamente disciplinato la materia. Con la prima delle citate disposizioni è stato riprodotto, privandolo della definizione di interpretazione autentica, il comma 1 dell'articolo 9-bis del d.l. numero 103 del 1991 con la seconda è stato istituito per il passato il richiesto contributo di solidarietà. 5.4. In conclusione la Corte Costituzionale ha affermato che il legislatore ha inserito la previdenza integrativa nel sistema dell'articolo 38 Cost., per cui le contribuzioni degli imprenditori al finanziamento dei fondi non possono più definirsi emolumenti retributivi con funzione previdenziale , ma sono strutturalmente contributi di natura previdenziale. 6. Va così definitivamente stabilito che i versamenti effettuati dal datore ai fondi di previdenza complementare, quali che siano i lineamenti del Fondo, non sono assoggettati a contribuzione Inps ma solo ad un contributo di solidarietà valido a regime e riferito anche al passato ma solo per gli anni dal 1 settembre 1985 al 30 giugno 1991 , così escludendosi che questi abbiano natura retributiva. Si badi poi che l'esonero dalla contribuzione AGO non vale solo per il periodo successivo all'entrata in vigore del DL 103/91, ma anche anteriormente, fin dal'inizio della istituzione di detti fondi, stante il carattere retroattivo di questa disposizione, come espressamente confermato dall'articolo 1 comma 193 della legge 662/96 che ha sostituito l'articolo 9 bis del DL 103/91, convertito in legge 166/91. Quindi i predetti contributi hanno, ed hanno sempre avuto, natura previdenziale e non retributiva, onde è infondata la pretesa al loro inserimento nelle indennità conseguenti alla cessazione del rapporto di lavoro. Va ancora considerato che i versamenti effettuati dal datore alle forme pensionistiche complementari non concorrono neppure a formare il reddito da lavoro dipendente, ai sensi dell'articolo 3 comma 2 lettera a d.lgs. 314/97. 7. È pur vero che la giurisprudenza di questa Corte si era orientata in senso contrario, a partire dalla sentenza delle Sezioni unite numero 974/97 seguita da numerose altre, cfr. da ultimo Cass. 13558/2001 . Con dette pronunzie si è fatto riferimento ad un' ampia nozione di retribuzione che consentirebbe di distinguere fra le erogazioni corrispettive in senso stretto, adeguate perciò inderogabilmente alla quantità e qualità di lavoro, e quelle con funzione previdenziale o assistenziale. Ma la evoluzione della legislazione successiva, in specie appunto l'esonero dalla contribuzione ordinaria dei versamenti effettuati dal datore per la previdenza integrativa, esonero che vale anche per il passato stante il suo carattere retroattivo, convince della necessità di superare questo orientamento, considerato anche il rilievo sempre maggiore attribuito dal legislatore alle forme integrative di previdenza, che si considerano ormai rientrare nell'alveo dell'articolo 38 Costituzione. Detta evoluzione, attraverso le numerose norme emanate d.lgs. 124/93 e d.lgs. 5 dicembre 2005 numero 252 ha ormai marcato irreversibilmente la distinzione tra trattamenti retributivi e accreditamenti per la previdenza integrativa. E d'altra parte sarebbe incongruo riconoscere natura retributiva, tale quindi da determinarne la inclusione nel computo delle indennità spettanti alla fine del rapporto, a somme su cui non si versa la contribuzione previdenziale propriamente detta e che non entrano neppure tra i redditi da lavoro dipendente ai fini fiscali. 8. Mette conto infine di segnalare la recente legislazione sul rapporto tra previdenza complementare e TFR che si compendia con i commi 755 e 756 dell'articolo unico della legge finanziaria 296/2006. Si tratta delle disposizioni che prevedono il conferimento del TFR alla previdenza complementare all'esito della parabola sopra illustrata non sono dunque i versamenti contributivi per la previdenza complementare che vengono inclusi nel TFR, ma è quest'ultimo che serve ad alimentare la previdenza complementare. Ai sensi di questa norme le quote di TFR che matureranno dal primo gennaio 1997 verranno versate presso le forme pensionistiche complementari di cui al divo 5 dicembre 2005 numero 252. Più precisamente ciò accadrà ove i lavoratori manifestino detta opzione, mentre, in mancanza di opzione, nelle aziende con meno di 50 addetti, il TFR maturando resterà come prima presso i datori di lavoro, mentre nelle aziende con almeno 50 addetti, le quote di TFR non destinate alle forme pensionistiche complementari, confluiranno nell'istituito Fondo per l'erogazione ai lavoratori dipendenti del settore privato dei trattamenti di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile , che è un fondo a ripartizione, gestito dall'Inps per conto dello Stato. 9. Né si può dubitare che detta interpretazione sia in contrasto con norme del diritto dell'Unione Europea, donde la non necessità di rinvio alla Corte Europea, giacché nessuna disposizione di quell'ordinamento regola la misura del trattamento di fine rapporto. 10. In definitiva il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata, enunciandosi il principio di diritto per cui “Le somme accantonate dal datore di lavoro per la previdenza complementare -quale che sia il soggetto tenuto alla erogazione dei trattamenti integrativi e quindi destinatario degli accantonamenti - non si computano né nella indennità di anzianità maturata fino al 31 maggio 1982 né nel trattamento di fine rapporto”. Non essendovi necessità di ulteriori accertamenti, la causa va decisa nel merito con il rigetto della domanda di cui al ricorso introduttivo. Il mutamento di giurisprudenza giustifica la compensazione delle spese dell'intero processo. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di cui al ricorso introduttivo. Compensa le spese dell'intero processo.