Integra gli estremi del delitto di truffa, e non di estorsione la condotta di chi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro.
Vi è concorso formale tra il delitto di truffa e quello di millantato credito, anche se uniti in un’unica azione, caratterizzata, oltre che da vanterie di ingerenze e pressioni nei confronti di un pubblico ufficiale corruttibile, anche da ulteriori artifizi e raggiri, come la minaccia di un male inesistente, in quanto gli stessi producono due distinti eventi criminosi. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 28390 del 1 luglio 2013. Pagamento = Estorsione? Con sentenza del GUP di Lecce si condannava l’imputato per i reati di cui agli artt. 81, 629 e 346, comma 2, c.p. estorsione e millantato credito - sentenza, peraltro, confermata in appello - per avere lo stesso richiesto alla parte offesa denaro da corrispondere, tra gli altri, anche ad un funzionario dell’INPS, quale ricompensa per il buon esito di una pratica pensionistica, con la minaccia che, in mancanza di tale regalia , la pensione avrebbe potuto essere revocata con conseguente mancata corresponsione degli arretrati non riscossi. Diversa qualificazione del fatto la minaccia e l’induzione in errore. Ricorre per cassazione l’imputato deducendo in primo luogo violazione di legge in relazione all’art. 629 c.p., il quale prevede che il reato de quo si consumi quando chiunque, mediante violenza o minaccia, costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno . Ed invero, secondo l’imputato, è del tutto assente, nel caso di specie, l’elemento della minaccia. In secondo luogo, afferma che, nell’ipotesi in cui si affermi la sussistenza del reato di estorsione, non si possa, comunque, parlare di reato consumato, bensì tentato. Lamenta, inoltre, erronea applicazione degli artt. 640 e 345 c.p In particolare, afferma il ricorrente la sussistenza del reato di truffa aggravata, che consiste nella condotta di chi, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno, e non quello di estorsione, per avere ingenerato, nella vittima, un pericolo immaginario, ritenendo, peraltro, insussistente il reato di millantato credito, perché assorbito dal reato di truffa. Il pericolo immaginario ed la minaccia reale. Ebbene, la Corte, con la pronuncia in commento, in parte accogliendo il ricorso dell’imputato ha riqualificato, nel caso di specie, il reato di estorsione in truffa, ritenendolo, peraltro, concorrente con il reato di millantato credito, stante che le due fattispecie tutelano beni giuridici completamente diversi, il patrimonio il primo e la pubblica amministrazione il secondo e che producono due distinti eventi criminosi. Gli ermellini sono arrivati a tale conclusione ripercorrendo gli orientamenti dagli stessi già espressi in precedenti pronunce ed evidenziando, quale elemento distintivo tra le due fattispecie, il diverso atteggiamento della condotta lesiva e la sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima. Integra il reato di truffa, infatti, la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l’ingiusto profitto dell’agente, perché tratta in errore dall’esposizione di un pericolo inesistente. Si configura l’estorsione, invece, quando il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri. In tal caso, alla persona offesa è imposta la ineluttabile alternativa o di far conseguire all’agente il preteso profitto oppure di subire il male minacciato. In quest’ultimo caso, l’evento ingiusto, deve essere percepito quale ritorsione dell’agente nei confronti del soggetto passivo che non ottemperi alla richiesta, o, addirittura come atteggiamento prevaricatorio di terzi, per sottrarsi al quale la vittima non ha altra scelta se non quella di accondiscendere alle pretese. Quando l’evento lesivo sia solo falsamente rappresentato, può certamente parlarsi di inganno che comporta l’induzione in errore della persona offesa. Si ricade così nella ipotesi di truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario la Corte richiama un precedente della stessa sezione, n. 8456/1985 .
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 20 marzo - 1 luglio 2013, n. 28390 Presidente Macchia Relatore Verga Motivi della decisione Con sentenza del 9 dicembre 2011 la corte d'appello di Lecce confermava la sentenza del locale GUP che, in data 9 aprile 2009, aveva condannato G.G. in ordine ai reati di cui agli articoli 81, 629 e 346 comma 2 codice penale Ricorre per cassazione l'imputato deducendo 1. violazione di legge in ordine al reato di cui all'articolo 629 del codice penale per insussistenza della minaccia 2. violazione di legge e vizio della motivazione perché l'estorsione, se sussistente, non può ritenersi consumata, bensì tentata 3. violazione di legge e vizio della motivazione per inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 640 e 346 codice penale. Ritiene sussistente il delitto di truffa aggravata per aver ingenerato un pericolo immaginario della persona offesa e non quello di estorsione e insussistente il reato di millantato credito perché rientrante nell'ipotesi di truffa. 4. violazione della legge vizio della motivazione in ordine al diniego dell'attenuante di cui all'articolo 62 numero sei codice penale. L'imputato è stato condannato per estorsione per avere richiesto alla parte offesa denaro che doveva essere corrisposto, tra gli altri ad un funzionario dell'Inps, per ricompensarlo del buon esito della pratica di pensione, minacciando che, in mancanza di tale pagamento, la pensione poteva essere revocata con conseguente mancato pagamento degli arretrati non riscossi. Ciò detto deve essere richiamato l'orientamento di questa Corte, secondo cui integra il delitto di truffa la condotta di colui che prospetti un male possibile ed eventuale, in ogni caso non proveniente direttamente o indirettamente da chi lo prospetta, in modo che la persona offesa non sia coartata, ma si determini alla prestazione, costituente l'ingiusto profitto dell'agente, perché tratta in errore dall'esposizione di un pericolo inesistente mentre si configura l'estorsione se il male viene indicato come certo e realizzabile ad opera del reo o di altri, poiché in tal caso la persona offesa è posta nell'ineluttabile alternativa di far conseguire all'agente il preteso profitto o di subire il male minacciato Sez. 2, 6/5/2008, n. 21537 - Rv. 240108 Sez. 2, 30/6/2010, n. 35346 - Rv. 248402, Sez. 2 n. 27363, 4/04/2012 Rv. 253313 . In sostanza, la minaccia - che caratterizza, in alternativa alla violenza, la condotta estorsiva e la distingue dal comportamento truffaldino - deve contenere il riferimento ad un evento ingiusto, paventato quale ritorsione dell'agente nei confronti del soggetto passivo che non accondiscenda alle sue richieste oppure come un atteggiamento prevaricatorio, anche di terzi, per sottrarsi al quale la vittima è coartata nella libera determinazione di accondiscendere o meno alle pretese che le sono state rivolte. Ciò in quanto è stato affermato e ripetuto che il criterio di differenziazione fra il reato di truffa e quello di estorsione, quando il fatto è connotato dalla minaccia di un male, va ravvisato essenzialmente nel diverso modo di atteggiarsi della condotta lesiva e della sua incidenza nella sfera soggettiva della vittima Sez. 6, 10/4/2003, n. 29704 - Rv. 226057 Sez. 2, 21/5/2001, n. 26272 - Rv. 219943 . Può quindi affermarsi che Integra gli estremi del delitto di truffa e non di estorsione la condotta di chi, al fine di procurarsi un ingiusto profitto, rappresenta falsamente alla vittima un pericolo immaginario proveniente da terzi, nella specie, la possibile revoca della pensione e il mancato pagamento degli arretrati , e si offre di adoperarsi per evitargli tale fatto in cambio di denaro. In particolare, quando tale evento sia falsamente rappresentato, la condotta assume i contorni dell'inganno, perché contribuisce all'induzione in errore della parte offesa, e ricade nell'ipotesi della truffa aggravata dalla prospettazione di un pericolo immaginario v. anche Sez. 2, 18/4/1995, n. 8456 - Rv. 202347 . In conclusione, il fatto contestato al ricorrente deve essere diversamente qualificato in termini di truffa aggravata art. 640 co 2 c.p. , anziché di estorsione. Deve aggiungersi che i delitti di truffa e di millantato credito si differenziano per la diversità dell'oggetto della tutela penale, che è il patrimonio, nella prima, e il prestigio della Pubblica Amministrazione, nel secondo. Le due violazioni, pertanto, anche se unite in un'unica azione, caratterizzata, oltre che da vanterie di ingerenze e pressioni nei confronti del pubblico ufficiale corruttibile, anche da ulteriori artifizi e raggiri, quali nel caso di specie la minaccia di un male immaginario, producono due distinti eventi criminosi, con conseguente concorso formale di reati. Non è censurabile il diniego della circostanza attenuante di cui all'art. 62 c.p., n. 6, considerato che la Corte territoriale ha dato conto del mancato Integrale risarcimento. Qualificato il reato di estorsione in quello di truffa aggravata la sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Lecce per nuova determinazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Il ricorso deve essere rigettato nel resto. P.Q.M. Qualificato il reato di estorsione art. 629 c.p. in quello di truffa aggravata art. 640 co 2 c.p. annulla l'impugnata sentenza con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Lecce per nuova determinazione in ordine al trattamento sanzionatorio. Rigetta nel resto il ricorso.