In tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, l’amministratore di diritto anche detto amministratore apparente o testa di legno non può presumersi quale autore della dolosa sottrazione dei beni dell’impresa fallita.
Occorre infatti tenere distinto il ruolo amministrativo, che il soggetto ha consapevolmente accettato di ricoprire, dalla coscienza e volontà di condividere i disegni criminosi nutriti dall’amministratore “di fatto” cioè di colui che ha la concreta gestione degli affari sociali . Lo ha ribadito la Quinta sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza numero 24493, depositata il 5 giugno 2013. La responsabilità dell’amministratore apparente La pronuncia in esame richiama l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in materia di elemento soggettivo del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, nell’ipotesi in cui vi sia tanto un amministratore formalmente incaricato della gestione sociale, quanto un soggetto che – di fatto e nell’ambito della stessa organizzazione di impresa – esercita le medesime prerogative che la legge riserva all’amministratore di diritto. A tal proposito, è noto che l’amministratorein carica è penalmente responsabile degli illeciti commessi dall’amministratoreeffettivo, sotto il profilo dell’elemento soggettivo. Tale responsabilità discende direttamente dalla disciplina civilistica applicabile agli amministratori della società per azioni, per non avere impedito l’evento che essi avevano l'obbligo giuridico di impedire ai sensi del combinato disposto dell’articolo 40, comma 2, c.p. e dell’articolo 2392 c.c La norma da ultimo richiamata trova la sua fonte nell'inadempimento dei doveri imposti agli amministratori delle società per azioni dalla legge o dall'atto costitutivo, ovvero nell'inadempimento dell'obbligo generale di vigilanza o dell'altrettanto obbligo generale di intervento preventivo e successivo, ed attiene sia agli atti pregiudizievoli conosciuti, che devono essere impediti o dei quali devono essere neutralizzati gli effetti, sia agli atti dei quali l’amministratore può venire a conoscenza, vigilando sul generale andamento della gestione societaria e, quindi, adempiendo ai doveri primari di diligenza ed a quelli strumentali di informazione. Ne consegue che l’inerzia colpevole dell’amministratore di diritto espone questi alle conseguenze penali derivate dalla condotta fraudolenta dell’amministratore di fatto. In altri termini, le norme che disciplinano l'attività degli amministratori di una società di capitali, dettate al fine di consentire un corretto svolgimento dell'amministrazione della società, sono applicabili non soltanto ai soggetti immessi, nelle forme stabilite dalla legge, nelle funzioni di amministratori, ma anche a coloro che si siano, di fatto, ingeriti nella gestione della società in assenza di una qualsivoglia investitura da parte dell'assemblea, sia pur irregolare o implicita. Pertanto, i responsabili delle violazioni di dette norme vanno individuati, anche nell'ambito del diritto privato, non sulla base della loro qualificazione formale, bensì con riguardo al contenuto delle funzioni concretamente esercitate. ed il dolo nel soggetto di fatto del codice civile. Da quanto sopra esposto, si evince che, per il reato di bancarotta fraudolenta di una società, non vi è nessuna distinzione tra amministratori di fatto e di diritto . L'amministratore di fatto, ai sensidell'articolo 2639 c.c., è da ritenersi gravato dell'intera gamma dei doveri cui è soggetto l'amministratore di diritto, e, dunque, egli assume la penale responsabilità per tutti i comportamenti penalmente rilevanti a lui addebitabili, ovviamente quando ricorrano anche le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo. Risulta perciò ormai superato quel risalente orientamento Cass. Penumero numero 36630/2003 secondo cui, ai reati fallimentari e dunque anche alla fattispecie di bancarotta fraudolenta patrimoniale , non può essere applicato sic et simpliciter l’articolo 2639 c.c. che, nel definire il soggetto di fatto, ha sancito l’equiparazione della responsabilità dell’amministratore di fatto a quella dell’amministratore di diritto con riguardo alle sole fattispecie penali societarie. In effetti, seguendo una interpretazione letterale dell’articolo 2639, comma 1, c.c., sembrerebbe possibile dedurre a contrario che l’equiparazione legislativa della responsabilità fra amministratori di fatto e di diritto opera solo per i reati societari, e non anche per quelli fallimentari. In ogni caso, la predetta equiparazione è subordinata - come già ritenuto dalla prevalente giurisprudenza in materia penale fallimentare - ai requisiti della continuità della gestione aziendale consistente nella reiterazione di atti e comportamenti e della significatività dell’esercizio della funzione gestoria tipica per cui i poteri tipici esercitati dall’amministratore di fatto non devono essere marginali . La sentenza in commento risulta poi particolarmente interessante, nella parte in cui condivide l’orientamento giurisprudenziale Cass. Penumero numero 7208/06 per il quale la testa di legno , che accetti il ruolo di amministratore esclusivamente allo scopo di fare da prestanome, possa essere ritenuta responsabile di bancarotta per distrazione sulla base della sola consapevolezza che, dalla propria condotta omissiva, possono scaturire gli eventi tipici del reato dolo generico o l'accettazione del rischio che questi si verifichino dolo eventuale . Secondo la quinta sezione della Cassazione, infatti, in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso ai sensi dell’articolo 40, comma 2, c.p., dell'amministratore di diritto nel reato commesso dall'amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto che come dolo eventuale. Invero, a ciò deve aggiungersi che la valenza di tale principio cede ove consti che l’amministratore apparente sia rimasto estraneo alle vicende societarie, di fatto gestite da altri.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 marzo - 5 giugno 2013, numero 24493 Presidente Zecca – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15-12-2011 Corte d'Appello di Reggio Calabria, confermando la decisione assunta dal Giudice dell'udienza preliminare del locale Tribunale, ha riconosciuto M.A. responsabile del reato di bancarotta patrimoniale commesso quale titolare dell'impresa individuale Motor Car, dichiarata fallita il omissis nonché M.A. e B.A. responsabili, in concorso fra loro, del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale post-fallimentare per avere distratto i beni della Best Auto Service, di cui B. era titolare formale e M. il gestore di fatto, avviata dopo il fallimento della Motor Car e in prosecuzione dell'attività di quest'ultima, senza autorizzazione del giudice delegato. In particolare è contestato - a M. , di aver distratto ricavi, autovetture, l'importo di un finanziamento ed un immobile della Motor Car - a M. e B. , di aver distratto tutti i beni aziendali e di aver trattenuto per sé i ricavi della nuova attività, ammontanti ad Euro 754.017 per il 2007 e ad Euro 69.583 per il 2008, nonostante superassero ampiamente le necessità di mantenimento della famiglia del fallito bancarotta post-fallimentare . Insieme alla condanna è stata disposta la confisca delle somme depositate su c/c intestato alla B. e di un immobile oggetto di vendita simulata a favore di M.D. , sorella dell'imputato. La condotta distrattiva è stata accertata sulla base delle risultanze delle indagini espletate dalla Guardia di Finanza e dei contenuti della relazione del curatore fallimentare della ditta Motor Car. 2. Hanno proposto ricorso per cassazione M.A. e B.A. , per il tramite del difensore, deducendo, con un unico motivo, l'erronea applicazione della legge penale e l'illogicità della motivazione. M.A. deduce, in relazione al fallimento della Motor Car, l'insussistenza della condotta distrattiva addebitatagli, poiché la somma di Euro 100.000, risultata mancante all'attivo, gli sarebbe stata carpita con l'inganno da soggetti terzi le autovetture erano state acquistate col denaro dei clienti i guadagni erano stati esigui. In relazione alla bancarotta post-fallimentare, deduce che le somme contestategli rappresentano i ricavi dell'attività e non i guadagni della stessa, che furono appena sufficienti ad assicurare il mantenimento suo e della famiglia. B.A. deduce di essere stata titolare solo formale della ditta Best Auto Service e di essere stata all'oscuro delle manovre del marito, anche perché dipendente a tempo pieno, dal 2001 al 2008, di altra società. Considerato in diritto Il ricorso merita accoglimento nei limiti di seguito esposti. 1. È Infondato il motivo di ricorso concernente la bancarotta pre-fallimentare, addebitata a M.A. . La sentenza impugnata, con motivazione immune da vizi logici e corretta in diritto, resa all'esito di un approfondito esame delle risultanze istruttorie, ha messo in evidenza che gli incassi accertati per il 2003 e il 2004 rispettivamente, per Euro 256.614 ed Euro 23.524 , sebbene risultanti dalle scritture contabili, non sono stati consegnati al curatore e non è stata dimostrata la loro destinazione a scopi sociali che tredici autoveicoli, sebbene acquistati dall'impresa e risultanti dal registro IVA, non sono stati rinvenuti e non è stato consegnato il ricavato al curatore che nessuna giustificazione plausibile è stata fornita intorno alla destinazione della somma di Euro 77.500, acquisita dal Banco Ambrosiano Veneto nel 2002 che una unità immobiliare di proprietà della società è stata ceduta nel 2003 a M.D. , sorella dell'imputato, senza che sia stata data prova del pagamento del prezzo e senza che sia stato dimostrato l'utilizzo di un corrispettivo per fini sociali. Tali fatti sono senz'altro idonei, per come ritenuto dai giudici di merito, ad integrare la bancarotta patrimoniale, poiché compete all'imprenditore fallito, una volta accertata la presenza, in un determinato momento della vita della società, di beni all'interno di questa, dar conto della destinazione dei beni stessi al soddisfacimento di bisogni sociali con la conseguenza che, ove una prova siffatta non sia data, e non vengano addotti motivi plausibili, in base a cui poter ragionevolmente presumere che la prova è divenuta impossibile per motivi non dipendenti dalla volontà dell'imprenditore, deve ritenersi realizzata la fattispecie incriminatrice ex multis, Cass. Sez. 5, 4/6/2010, numero 35828 Cass., sez. 5, 13/10/2009, numero 43036 . Nel caso di specie né la prova della destinazione dei beni a scopi sociali, né la prova della impossibilità di fornirla - come messo in evidenza nella sentenza impugnata - è stata data, poiché l'imputato si è trincerato dietro giustificazioni formali l'incompletezza della documentazione, che era, peraltro, suo obbligo tenere o ha fornito spiegazioni inverosimili una truffa, di cui non ha specificato le modalità e gli autori o meramente assertive l'acquisto degli autoveicoli col denaro anticipato dagli acquirenti . Oppure, come nel caso dei tredici autoveicoli risultanti dal registro IVA, non li ha proprio preso in considerazione nelle sue difese. Alla stregua di tanto non merita, allora, censura sul punto la decisione impugnata, giacché il complesso motivazionale in esame si segnala per sufficienza argomentativa e relativa completezza del suo tessuto motivazionale. 2. È fondato, invece, il motivo di ricorso relativo alla bancarotta post-fallimentare, giacché a M. e B. è contestato, in questo caso, di aver distratto gli incassi conseguiti dalla vendita degli autoveicoli della Best Auto Service, costituita dopo il fallimento della Motor Car e in prosecuzione dell'attività di quest'ultima. Tali somme, secondo i giudici di primo e secondo grado, sono da ritenere distratte perché, superando ampiamente le necessità di mantenimento della famiglia del fallito, sarebbero dovute confluire nel fallimento di quest'ultimo, ai sensi degli articolo 42 e 44 della L.F Il ragionamento è corretto solo in patte. Il reato di bancarotta post-fallimentare si concreta nella distrazione delle somme pervenute al fallito per l'attività esercitata successivamente alla dichiarazione di fallimento, qualora dette somme superino i limiti determinati dal giudice delegato in relazione a quanto occorre per il mantenimento dell'imprenditore fallito e della famiglia, ai sensi dell'articolo 46 comma 1 numero 2, ed ultimo comma L.F. Occorre por mente, però, al fatto che, per quanto riguarda i beni, sono appresi al fallimento quelli che pervengono al fallito durante il fallimento, dedotte le passività incontrate per l'acquisto e la conservazione dei beni articolo 42, comma 2. L.F. mentre, per quel che riguarda le somme di denaro, sono appresi i guadagni ciò che il fallito guadagna eccedenti le necessità di mantenimento dell'imprenditore e della sua famiglia articolo 46, comma 1, numero 2, cit. . Da questo complesso di norme, e dalla ratio ad esse sottesa, si evince che nel fallimento non vanno riversati i ricavi dell'attività esercitata dal fallito dopo il fallimento, ma i guadagni da lui conseguiti con la conseguenza che, per stabilire se ed in quale misura il fallito abbia sottratto beni alla massa fallimentare, occorre tener conto dei costi da lui incontrati nella gestione dell'attività, dovendosi per l'effetto considerare distratte le somme che rappresentano il guadagno effettivo ed eccedente i limiti stabiliti dal giudice delegato. Occorre anche considerare che ad integrare il delitto non è sufficiente che il fallito abbia utilizzati i proventi senza aver chiesto od ottenuto un preventivo provvedimento dal giudice delegato circa le somme che aveva il diritto di trattenere, in quanto la materialità del fatto di bancarotta richiede la concreta sottrazione di somme superanti il limite massimo previsto dalla disciplina sul fallimento Cassazione penale, sez. V, 13/12/1978 . Con la conseguenza che, in assenza di determinazione, da parte del giudice delegato, delle somme che il fallito è autorizzato a trattenere, dovrà essere il giudice penale ad effettuare, incidentalmente, la valutazione richiesta dall'articolo 46 cit., avendo mente alle esigenze del fallito e della sua famiglia. La sentenza va pertanto annullata sul punto con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria per nuovo esame, tenendo conto che è onere del fallito dare la prova, anche per via induttiva, dei costi sostenuti nell'esercizio della nuova impresa. 3. L'annullamento della sentenza in relazione al capo B , che riguarda sia M.A. che B.A. , preclude l'esame del terzo motivo di ricorso, concernente la responsabilità di B.A. nella gestione della Best Auto Service. L'esame di questo motivo presuppone risolta in senso affermativo, infatti, la problematica dell'esistenza del reato di bancarotta post-fallimentare, alla stregua dei criteri enunciati al punto precedente. Fin da ora è possibile stabilire, però, i criteri cui il giudice del rinvio dovrà attenersi nella valutazione della posizione di B. , ove risolva positivamente la problematica afferente l'esistenza del reato di bancarotta post-fallimentare. Il principio da tener presente è che la bancarotta per distrazione non può essere sempre addebitata, sic et simpliciter, all'amministratore di diritto, dal momento che la pur consapevole accettazione del ruolo di amministratore apparente non implica necessariamente la consapevolezza di disegni criminosi nutriti dall'amministratore di fatto, ma a condizione che non vi sia stata ingerenza dell'amministratore di diritto nella gestione dell'impresa e non vi sia la prova della consapevolezza, da parte sua, delle azioni delittuose poste in essere dall'amministratore effettivo, né dell'accettazione, da parte sua, del rischio di siffatte azioni Cassazione penale, sez. V, 19/02/2010, numero 19049 . Questo perché, com'è stato specificato sotto il profilo soggettivo Cassazione penale, sez. V, 24/03/2011, numero 17670 , in tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso ex articolo 40 c.p., comma 2, dell'amministratore o gestore di diritto nel reato commesso dall'amministratore o gestore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l'elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale Cassazione penale, sez. V, 24/03/2011, numero 17670 . P.Q.M. Annulla le statuizioni della impugnata sentenza relative al capo B della imputazione, con rinvio alla Corte d'appello di Reggio Calabria sul punto. Rigetta nel resto.