Capacità lavorativa ridotta è uguale a pregiudizio economico? Bisogna provarlo

In tema di risarcimento del danno alla persona, il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa c.d. perdita di chance , risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. A tal fine, occorre una dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico e la prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento.

È quanto affermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza numero 7524 del 1° aprile 2014. Il fatto. Un uomo conveniva in giudizio una società di assicurazioni e l’autore del sinistro stradale che lo aveva coinvolto per farli condannare al risarcimento dei danni. A seguito del giudizio di primo grado, all’esito del quale la domanda veniva accolta, l’attore proponeva appello, lamentando il mancato riconoscimento del danno per effetto della riduzione della capacità lavorativa specifica che avrebbe reso maggiormente usurante le prestazioni svolte. La Corte d’Appello di Catanzaro confermava la sentenza di primo grado, condannando, altresì, i convenuti al pagamento di una somma pari a oltre duemila euro. L’uomo ricorre per cassazione, lamentando il mancato riconoscimento a suo favore del risarcimento da perdita di reddito, posto che la perdita di chance va intesa come deminutio spei. Risarcimento del danno alla persona. La censura è infondata in tema di risarcimento del danno alla persona, il danno patrimoniale può essere risarcito soltanto qualora sia riscontrata la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito. Invece, il danno da lesione della “cenestesi lavorativa”, che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell’attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa c.d. perdita di chance , risolvendosi in una compromissione biologica dell’essenza dell’individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute Occorre una prova concreta. Ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, il soggetto che chiede il risarcimento è gravato dall’onere di provare concretamente, anche in via presuntiva, che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico L’attività può essere svolta, anche se con maggior sforzo. Nel caso oggetto d’esame, l’invalidità riscontrata non è tale da impedire lo svolgimento dell’attività di medico chirurgo, seppur con maggior sforzo e usura, considerando anche che trattasi di un lavoro – esercizio di uno studio ortopedico, come libero professionista – che non necessita di un rilevante impegno fisico. Proprio perché, quindi, si tratta semplicemente di postumi permanenti di lieve entità, il ricorso va rigettato.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 22 gennaio – 1° aprile 2014, numero 7524 Presidente Russo – Relatore Carleo Svolgimento del processo Con citazione ritualmente notificata I.E. conveniva in giudizio la S.I.A.D. Assicurazioni Spa ed A.R. per fare accertare l'esclusiva responsabilità dei convenuti in ordine alla causazione di un sinistro stradale nel quale era stato coinvolto e per farli condannare al risarcimento dei danni subiti. Esponeva che, in data omissis , mentre percorreva il centro abitato di omissis , a bordo della propria moto Honda 600, era stato investito dalla Fiat Panda condotta dal Romeo, che aveva invaso l'opposta corsia di marcia e lo aveva colpito alla gamba sinistra facendolo cadere dalla moto. In esito al giudizio in cui si costituiva la compagnia assicurativa il Tribunale adito condannava i convenuti al pagamento della somma di Euro 93.773,05 oltre interessi legali sino al soddisfo. Avverso tale decisione lo I. proponeva appello lamentando tra l'altro il mancato riconoscimento del danno per effetto della riduzione della capacità lavorativa specifica perché, anche se aveva continuato a percepire la retribuzione quale assistente medico di ortopedia, era presumibile il carattere maggiormente usurante delle prestazioni svolte. In esito al giudizio, in cui si costituiva la Aurora Assicurazioni, già Siad e Meie Aurora, la Corte di Appello di Catanzaro con sentenza depositata in data 18 giugno 2009 condannava i convenuti in solido al pagamento della somma di Euro 2.169,11 con rivalutazione dalla data del 10.10.1990 ed interessi graduali sul capitale via via rivalutato sino alla data della decisione e ulteriori interessi sino al soddisfo dichiarava che sulla somma liquidata in primo grado pari a 2.592,48 per danni al mezzo andava riconosciuta la rivalutazione dalla data di deposito dell'ATP sino alla data della decisione di primo grado e interessi graduali sul capitale devalutato alla data del sinistro e rivalutato sino alla data della prima decisione condannando i convenuti al relativo pagamento, confermava nel resto la sentenza di primo grado e compensava le spese del grado di appello. Avverso la detta sentenza lo I. ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resiste l'Aurora Assicurazioni con controricorso. Motivi della decisione Con la prima doglianza, deducendo la violazione e/o falsa applicazione degli articolo 2043, 2056 cc, 115, 116 cpc, l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione alle prove dedotte, l'insufficiente motivazione sul punto della non liquidazione del danno da capacità lavorativa specifica, il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello errato in quanto, in corrispondenza della presenza documentata di una riduzione della capacità lavorativa specifica nella misura del 15 % e del provato svolgimento di lavoro autonomo oltre quello dipendente, avrebbe dovuto riconoscere al danneggiato il diritto al risarcimento da perdita di reddito, posto che la perdita di chance non va intesa come deminutio patrimonii ma come deminutio spei. Peraltro, la motivazione della Corte ai fini dell'esclusione del danno da riduzione specifica della capacità lavorativa sarebbe stata altresì inadeguata in relazione alle risultanze peritali che avevano accertato l'impossibilità di accovacciamento del danneggiato. La censura è infondata. Invero, costituisce principio giurisprudenziale ormai consolidato quello, secondo cui in tema di risarcimento del danno alla persona, sussiste la risarcibilità del danno patrimoniale soltanto qualora sia riscontrabile la eliminazione o la riduzione della capacità del danneggiato di produrre reddito, mentre il danno da lesione della cenestesi lavorativa , che consiste nella maggiore usura, fatica e difficoltà incontrate nello svolgimento dell'attività lavorativa, non incidente neanche sotto il profilo delle opportunità sul reddito della persona offesa c.d. perdita di chance , risolvendosi in una compromissione biologica dell'essenza dell'individuo, va liquidato onnicomprensivamente come danno alla salute. Cass. numero 5840/2004 . Ai fini della risarcibilità di un siffatto danno patrimoniale, occorre quindi la concreta dimostrazione che la riduzione della capacità lavorativa si sia tradotta in un effettivo pregiudizio economico Cass. numero 3290/2013, numero 4493/2011 e la prova del danno grava sul soggetto che chiede il risarcimento. Invero, anche se tale prova può essere anche presuntiva, la riduzione della capacità di guadagno deve essere dimostrata in termini di sufficiente certezza ed il danneggiato ha l'onere di provare come ed in quale misura la menomazione fisica abbia inciso ed incida sulla capacità di guadagno. Nel caso di specie, la Corte di merito ha statuito che l'invalidità riscontrata non era di entità tale da consentire di ritenere, anche in via presuntiva, che il Dott. I. non potesse continuare a svolgere l'attività di medico chirurgo, lavorando in sala operatoria o in sala gessi, seppure con maggiore sforzo ed usura. Senza trascurare che essa appariva di nessun rilievo nell'ambito dell'esercizio di uno studio ortopedico, come libero professionista, attività che di per sé non necessita di rilevante impegno fisico. Ed è appena il caso di evidenziare come la motivazione, riportata nella sua essenzialità, che costituisce espressione di un giudizio di mero fatto, in quanto tale, sottratto al sindacato di legittimità, sia in linea con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, se è possibile presumere che la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura, occorre necessariamente che la riduzione della capacità di lavoro specifica sia di una certa entità e non rientri tra i postumi permanenti di piccola entità Cass. numero 2644/2013 . Ne deriva il rigetto della doglianza in esame. È invece inammissibile la seconda censura, articolata sotto il profilo della violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 8 dpr numero 115/2002 e degli articolo 90 e ss cpc nonché della motivazione omessa, con cui il ricorrente ha lamentato che la Corte territoriale non avrebbe tenuto conto di tutte le attività svolte in primo grado ed avrebbe disatteso arbitrariamente la specifica depositata. L'inammissibilità deriva dal rilievo che il motivo non è accompagnato da alcun quesito di diritto. Ed invero, ai sensi dell'articolo 366 bis cod. proc. civ., introdotto dal D.Lgs. numero 40 del 2006, articolo 6, applicabile alle sentenze pubblicate dal 2 marzo 2006, i motivi del ricorso per cassazione, nei casi previsti dall'articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 1 , 2 , 3 , 4 c.p.c., devono essere accompagnati, a pena di inammissibilità - giusta la previsione dell'articolo 375 cpc numero 5 - dalla formulazione di un esplicito quesito di diritto, che si risolva, secondo l'insegnamento delle Sezioni Unite, in una chiara sintesi logico-giuridica della questione sottoposta al vaglio del giudice di legittimità, formulata in termini tali per cui dalla risposta - negativa od affermativa - che ad esso si dia, discenda in modo univoco l'accoglimento od il rigetto del gravame Sez.Unumero numero 23732/07 . Considerato che la sentenza impugnata appare esente dalle censure dedotte, ne consegue che il ricorso per cassazione in esame deve essere rigettato. Segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, alla stregua dei soli parametri di cui al D.M. numero 140/2012 sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi Euro 3.200,00 di cui Euro 3.000,00 per compensi, oltre accessori di legge, ed Euro 200,00 per esborsi.