E’ possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto soltanto ove sia dimostrata la sussistenza di una serie di indici quali, in particolare, l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro.
A ribadirlo è il Tribunale di Milano, in una sentenza del 21 febbraio 2014. Il caso. Due lavoratori ricorrevano al Giudice del lavoro esponendo di avere svolto, per circa 30 anni, mansioni di «dirigenti accompagnatori» e «responsabili del servizio raccattapalle» a favore di una nota società calcistica. Tale attività veniva svolta, nella prospettazione dei ricorrenti, sotto il controllo della convenuta in occasione di ogni partita della squadra, per seguire la quale gli stessi ricorrenti prendevano ferie dalla loro ulteriore e principale occupazione. Sulla base di tali presupposti, richiedevano quindi l’accertamento della natura subordinata e part-time del rapporto intercorso, con condanna della società al pagamento di talune differenze retributive. Si costituiva in giudizio la convenuta rilevando come l’attività svolta a suo favore altro non fosse se non un mero passatempo, libero e volontario, «espressione di quella partecipazione fattiva che tipicamente caratterizza i soggetti per i quali il tifo sportivo si tramuta in passione totalizzante» e chiedendo, per l’effetto, il rigetto del ricorso. L’onere di provare la subordinazione grava sul lavoratore Ricostruzione che viene condivisa dal Tribunale il quale, affermando il principio esposto in massima, rigetta il ricorso. Ritiene infatti il Giudicante che gravi sui ricorrenti l’onere di «introdurre in giudizio elementi utili a provare l’inserimento strutturale nell’organizzazione del lavoro, la continuità della prestazione lavorativa e l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare» della convenuta. e deve essere assolto in maniera rigorosa. Onere che, nel caso di specie, non era minimamente stato assolto, in quanto i capitoli di prova formulati risultavano inidonei – già solo per la loro formulazione - a provare alcunché. Parimenti irrilevante, secondo il condivisibile avviso del Tribunale, era la – pur circostanziata – descrizione delle attività in concreto svolte, le partite in occasione delle quali sarebbero stati presenti ed il loro presunto impegno temporale atteso che, in sé e per sé considerati, tali elementi risultavano del tutto neutri al fine di individuare la natura del rapporto intercorso, in assenza della prova dell’esercizio del potere gerarchico-disciplinare da parte dell’asserito datore di lavoro. Ogni attività può essere oggetto di un rapporto sia autonomo che subordinato. A tal riguardo, rileva infatti il Giudicante che «ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo» distinguendosi i due tipi, appunto, solo per le concrete modalità di esecuzione della prestazione dedotta. Non rileva l’osservanza di regolamenti aziendali. Di particolare interesse, inoltre, è il passaggio in cui il Giudice non attribuisce particolare rilievo al - pacifico – obbligo dei ricorrenti di attenersi alle disposizioni contenute nel «regolamento per i dirigenti accompagnatori». Ed infatti, ad avviso del Tribunale «ogni particolare contesto sociale [ ] si caratterizza per delle proprie regole che sono, talvolta, il frutto di mera consuetudine trasmessa in via di fatto, mentre altre volte, il risultato di scelte e di una regolamentazione che il gruppo medesimo ha inteso darsi per garantire il corretto svolgimento delle attività di interesse». Tali regole, conclude il Tribunale, non possono quindi in alcun modo essere assunte a prova della natura subordinata di un rapporto, poiché destinate – attesa la ratio che le caratterizza – ad operare nei confronti di tutti i soggetti che intendano agire in quel determinato contesto, indipendentemente dalla natura dei rispettivi rapporti.
Tribunale di Milano, sez. Lavoro, sentenza 21 febbraio, numero 612 Giudice Colosimo Svolgimento del processo Con ricorso depositato il 26 novembre 2013, S.G. e B.F.A. convenivano in giudizio avanti al Tribunale di Milano — Sezione Lavoro — A.C. M. S.P.A., chiedendo di - accertare e dichiarare la natura subordinata, a tempo indeterminato e part-time, del rapporto di lavoro intercorso con la convenuta, rispettivamente, dal 1970 e dal 1991 al 2009 ovvero, in subordine, dal 1999 al 2009 - conseguentemente, condannare A.C. M. S.P.A. al pagamento dei seguenti importi euro 19.869,17 per IRPEF, euro 64.518,55 quale netto dovuto, euro 7.030,23 quale TFR maturato, euro 36.767,70 per contributi, in favore di ciascun ricorrente, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo - in subordine, accertata l’esistenza di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa quantomeno dal 1999 al 2009, condannare la società al pagamento di euro 5.000,00 netti annui in favore di ciascun ricorrente per retribuzione non corrisposta dal 1999 al 2008, e di euro 3.000,00 netti per ciascun ricorrente per il 2009, ovvero del diverso importo ritenuto di giustizia, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo effettivo. Con vittoria delle spese di lite. Si costituiva ritualmente in giudizio A.C. M. S.P.A. eccependo l’infondatezza in fatto e in diritto delle domande di cui al ricorso e chiedendo il rigetto delle avversarie pretese. Con vittoria delle spese di lite. Esperito inutilmente il tentativo di conciliazione e ritenuta la causa matura per la decisione senza necessità di istruzione probatoria, all’udienza del 21 febbraio 2014, il Giudice invitava le parti alla discussione all’esito della quale decideva come da dispositivo pubblicamente letto, riservando il deposito della motivazione a 15 giorni, ai sensi dell’articolo 429 c.p.comma cosi come modificato dalla Legge 133/2008. Motivi della decisione Il ricorso non può essere accolto. S.G. e B.F.A. hanno dedotto di aver prestato la propria attività lavorativa in favore della convenuta in qualità di dirigenti accompagnatori per la squadra P., prima, e B., poi e responsabili del servizio raccattapalle occupandosi, più nello specifico, dell’assistenza logistica e organizzativa del settore giovanile e dell’organizzazione del servizio raccattapalle durante le partite di calcio casalinghe del A.C. M. s.p.a. Nello svolgimento delle suddette attività, meglio specificate in ricorso, hanno affermato di essere stati assoggettati alle direttive della convenuta. Alle pretese attoree si oppone A.C. M. S.P.A. deducendo che il coinvolgimento dei ricorrenti nell’attività delle squadre giovanili e delle partite casalinghe della società di per sé ammesso altro non sarebbe che un mero passatempo, un hobby libero e volontario, espressione di quella partecipazione fattiva che tipicamente caratterizza i soggetti per i quali il tifo sportivo si tramuta in una passione totalizzante. Orbene, secondo il consolidato orientamento della Suprema Corte è possibile ritenere accertata la natura subordinata di un rapporto di lavoro soltanto ove sia dimostrata la sussistenza di una serie di indici quali, in particolare, l’assoggettamento del lavoratore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro. In via sussidiaria, ma tra loro concorrente quantomeno per una valutazione in via presuntiva, possono costituire indici sintomatici della sussistenza di un rapporto subordinato anche la collaborazione e l’inserimento continuativo del lavoratore stesso nell’impresa, il vincolo di orario, la forma della retribuzione, l’assenza di rischio cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 9 marzo 2009, numero 5645 . Era esclusivo onere delle parti ricorrenti introdurre in giudizio elementi utili a provare l’inserimento strutturale nell’organizzazione del lavoro, la continuità della propria prestazione lavorativa, e l’assoggettamento al potere direttivo, di controllo e disciplinare della convenuta. Il suddetto onere tuttavia non è stato soddisfatto, da un lato, perché i capitoli di prova formulati in ricorso non erano idonei a provare la ricorrenza dei predicati propri della subordinazione e la loro riferibilità all’odierna resistente dall’altro, perché gli stessi ricorrenti hanno reso dichiarazioni incompatibili con la pretesa azionata in giudizio. Per quel che attiene alla prima considerazione, si osserva quanto segue. Sotto il profilo delle deduzioni in fatto, S.G. e B.F.A. hanno descritto in modo senz’altro dettagliato le mansioni che avrebbero svolto nelle due qualità di dirigenti accompagnatori e responsabili del servizio raccattapalle, le partite in occasione delle quali sarebbero stati presenti e il presunto impegno temporale. I suddetti fatti, ove provati, non sarebbero sufficienti per concludere per la fondatezza del ricorso in quanto, di per sé considerati, assumono un rilievo del tutto neutro è principio consolidato, infatti quello per cui ogni attività umana economicamente rilevante può essere oggetto sia di rapporto di lavoro subordinato che di rapporto di lavoro autonomo. Peraltro, con specifico riferimento ai compiti che gli attori hanno affermato di aver dovuto svolgere in qualità di dirigenti accompagnatori, non può non osservarsi come gli stessi siano invero oggetto di obblighi propri dei singoli allenatori cfr. docomma 4, fascicolo convenuto . Ai fini del decidere sarebbe stato necessario l’accertamento delle modalità di esecuzione della prestazione, ma su tale specifico aspetto le deduzioni attoree sono risultate scarne, generiche e valutative. In ricorso si legge che “i referenti erano la citata dott.ssa A. C., R. B. e, da ultimo, F. G. pt. 11, ricorso , che veniva loro “chiesto di relazionare e di segnalare eventuali problemi, infortuni e quant’altro” pt. 12, ricorso , che durante l’attività erano tenuti a “indossare le divise fornite dalla società’ pt. 13, ricorso . I ricorrenti affermano, in sostanza, che avrebbero avuto l’obbligo di essere presenti sui campi, di rispettare il regolamento di riferimento, di relazionare sull’attività svolta, di indossare le divise, di organizzare i servizi in favore della convenuta pag. 22, ricorso . La questione inerente al rispetto del regolamento per i dirigenti accompagnatori, la cui copia è versata in atti cfr. docomma 5, fascicolo ricorrente , è stata trattata diffusamente in sede di discussione. In proposito, deve tuttavia rammentarsi che ogni particolare contesto sociale, ogni forma di aggregazione occasionata da una finalità o un interesse comune di quanti vi partecipano — quale formazione sociale propriamente intesa — si caratterizza per delle proprie regole che sono, talvolta, il frutto di mera consuetudine trasmessa in via di fatto, altre volte, il risultato di scelte e di una regolamentazione che il gruppo medesimo ha inteso darsi per garantire il corretto svolgimento delle attività di interesse cfr. Norme organizzative interne F.I.G.C. — docomma 3, fascicolo convenuto . La “regola”, d’altronde, è fenomeno sociale per eccellenza e il contesto delle attività sportive — a livello professionistico e non — si contraddistingue per la compresenza di più sistemi regolatori impositivi di comportamenti. Tali regole non possono in alcun modo essere assunte a prova della natura subordinata di un determinato rapporto in quanto sono destinate, per la ratio che ne è alla base e la funzione che le caratterizza, a operare nei confronti di tutti i soggetti che intendano interagire in quel determinato contesto e svolgere quelle specifiche attività, indipendentemente dalla natura dei rapporti che li legano gli un agli altri. Sicché, chi voglia prender parte a delle competizioni sportive, quale atleta, tecnico, amatore, tifoso o altro, sarà senz’altro obbligato a rispettare le regole che in quello specifico ambito si applicano alle diverse forme di partecipazione. Medesima riflessione vale per il cosiddetto “tesseramento” che è prassi diffusa nelle più varie forme di aggregazione complessa e che, talvolta, assolve anche a una funzione di sicurezza e tutela dell’incolumità delle persone cfr. doccomma 1, fascicolo ricorrenti Per il resto, non può non essere evidenziato che gli odierni attori hanno omesso di allegare e chiedere di provare la ricorrenza dei più indici tipici del dedotto assoggettamento al potere direttivo quali fossero le modalità imposte nell’esecuzione della prestazione, quale fosse il controllo esercitato sull’attività svolta, in che modo concreto e a chi fossero tenuti a dar conto del proprio operato. In ricorso non vi sono neppure deduzioni in ordine all’esercizio del potere di controllo del preteso datore di lavoro, non essendo stata fornita indicazione alcuna in ordine ai controlli sull’osservanza dell’orario di lavoro, alla giustificazione di eventuali assenze, all’autorizzazione di permessi/ferie, agli strumenti di controllo impiegati dalla convenuta, o alle conseguenze di eventuali ritardi/assenze ingiustificate. L’esistenza di vincoli in tal senso, d’altronde, è stata esclusa proprio dagli stessi ricorrenti in occasione dell’interrogatorio libero “non mi è mai stato detto che in caso di indisponibilità avrei dovuto portare una giustificazione, penso che sarebbe stata sufficiente una telefonata, ma comunque non sono mai mancato” interrogatorio libero S.G. “nessuno mi ha mai detto che se fossi stato assente avrei dovuto giustificare la mia assenza, nè che avrei dovuto comunicarla preventivamente. Agli inizi eravamo una persona sola per squadra, con l’era B. gli accompagnatori erano due. Non sono mai stato destinatario di rimproveri nè di sanzioni disciplinari” interrogatorio libero B.F.A. . Totalmente trascurata è altresì la questione inerente all’esercizio del potere disciplinare. Solo in occasione dell’interrogatorio libero, tardivamente, e comunque del tutto genericamente, i ricorrenti hanno dichiarato “mi davano gli ordini di accompagnare la squadra, i soldi per pagare la trasferta, mi dicevano di ritirare i cartellini, mi dicevano dove e quando bisognava giocare” interrogatorio libero S.G. “riferivo nel senso che andavo a prendere i cartellini al venerdì o al giovedì a seconda di quando era la partita, e li riportavo al lunedì. Facevo un rapportino, ossia compilavo dei moduli nei quali scrivevo tutto quello che era successo durante la partita tempi, gol, ammonizioni, i dati più significativi” interrogatorio libero B.F.A. . Deve osservarsi, da ultimo, che i ricorrenti hanno ammesso di aver avuto un’attività lavorativa principale dalla quale hanno dovuto assentarsi per ferie, chiedendone l’autorizzazione al datore di lavoro, per seguire le attività delle squadre della convenuta “ho lavorato come impiegato all’O. sino al 2007. Il mio orario di lavoro era dalle 4.00 alle 11.00/12.00 a seconda dei giorni. Per cinque/sei giorni alla settimana. Per accompagnare la squadra nei miei giorni lavorativi, prendevo ferie e andavo ad accompagnare la squadra. Questo lo facevo anche per andare via per i tornei, quando si stava via per 12/13 giorni” interrogatorio libero S.G. . B.F.A., pur avendo dichiarato di aver lavorato “fino al 1998” quale “responsabile di magazzino per diverse ditte farmaceutiche. Il mio orario di lavoro era 8.30/17.30, per cinque giorni alla settimana”, ha anch’esso confermato che “per seguire il M. prendevo giornate di ferie”. I ricorrenti hanno poi precisato “non ho mai dovuto concordare le ferie con il M., le ferie le concordavo dove lavoravo” interrogatorio libero S.G. “non ho mai dovuto concordare le ferie con il M., le concordavo con il datore di lavoro” interrogatorio libero B.F.A. . Quello che emerge, quindi, è che gli odierni attori godevano di fatto delle proprie ferie seguendo la squadra del cuore, con oneri integralmente a carico della società “in caso di trasferta le nostre spese venivano tutte pagate dal A.C. M. s.p.a.” interrogatorio libero S.G. . Non vi è dubbio che S.G. e B.F.A. abbiano dedicato una parte rilevante del proprio tempo libero partecipando attivamente a varie attività delle squadre giovanili e della prima squadra della A.C. M. S.P.A. Non vi è parimenti dubbio, tuttavia, che tale attività — di natura prettamente amatoriale — sia stata svolta in assenza di qualsivoglia vincolo od obbligo, e che sia stata parimenti scevra di qualsivoglia condizionamento diverso da quello frutto di una passione calcistica evidentemente totalizzante. E’ un rilievo, questo, che trova conferma proprio nell’interrogatorio libero dei ricorrenti “in quarant’anni non ho mai mancato una partita, non sono mai stato assente. Mi tenevo libero per il M., per fare questo servizio Mi sono sempre occupato del servizio raccattapalle al M., non sono mai mancato, facevo in modo di non mancare mai” interrogatorio libero S.G. “non sono mai mancato a nessuna partita, ho adeguato la mia vita a quella del A.C. M. s.p.a.” interrogatorio libero B.F.A. . Alla luce di quanto sin qui osservato, la domanda svolta in principale e le correlate domande di condanna debbono essere integralmente rigettate. In via subordinata, S.G. e B.F.A. hanno chiesto di accertare e dichiarare la sussistenza, dal 1999 al 2009, di un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Anche tale domanda deve essere rigettata. Presupposto della pretesa avanzata in via subordinata è la prestazione in favore della società convenuta di un’attività qualificabile in termini di collaborazione coordinata e continuativa, ossia di una prestazione a carattere non occasionale, funzionalmente connessa con le finalità aziendali e caratterizzata in via prevalente dal lavoro personale. Il tutto, in un sistema in cui la coordinazione è sinonimo di contemperamento dei tratti tipici dell’autonomia con le esigenze organizzative della parte committente. Quanto appena osservato consente di evidenziare la sostanziale contraddittorietà della domanda in esame rispetto a una prospettazione in fatto che è evidentemente strumentale a fondare la pretesa di subordinazione. In ogni caso, si osserva che gli odierni ricorrenti fondano la domanda in esame sulla contestazione dell’illegittimità dei contratti di lavoro occasionale sottoscritti nel corso del rapporto con la convenuta, in quanto utilizzati per lo svolgimento di un’attività temporalmente superiore ai limiti di legge. Come correttamente osservato da parte convenuta, tuttavia, l’argomentazione attorea si fonda su un presupposto erroneo il dedotto tempo lavoro, per come definito in atti, considera indifferentemente l’attività di dirigente accompagnatore e quella di responsabile del servizio raccattapalle, laddove i contratti versati in atti risultavano stipulati esclusivamente per la prima cfr. doccomma 2 e 2bis, fascicolo ricorrenti doccomma 6-8, fascicolo convenuto . Peraltro, non vi è deduzione alcuna che consenta di distinguere adeguatamente tra il tempo dedicato all’una e all’altra attività, e deve escludersi che la documentazione prodotta in atti possa supplire a siffatta carenza la Suprema Corte è particolarmente chiara nell’escludere — nel rito del lavoro — la sufficienza dell’indicazione della “mera allegazione” di documenti all’atto iniziale della controversia, ove questa non sia “accompagnata dalla specificazione dal loro recepimento, in tale atto, nelle parti idonee ad attestarne la rilevanza a fini decisori” cfr. Cass. Civ., Sez. Lav., 1 agosto 2008, numero 21032 . Per questi motivi, il ricorso deve essere integralmente rigettato. La condanna al pagamento delle spese di lite segue la soccombenza e, pertanto, S.G. e B.F.A. devono essere condannati — in solido tra loro — al pagamento delle stesse, nella misura liquidata in dispositivo anche tenuto conto del valore complessivo della domanda ex D.M. 140/2012. La sentenza è provvisoriamente esecutiva ex articolo 431 c.p.c. Stante la complessità della controversia, visto l’articolo 429 c.p.c., si riserva la motivazione a 15 giorni. P.Q.M. il Giudice del Lavoro, definitivamente pronunciando, rigetta il ricorso. Condanna S.G. e B.F.A. — in solido tra loro — alla rifusione delle spese di lite che liquida in complessivi euro 2.800,00 oltre I.V.A. e C.P.A. Sentenza provvisoriamente esecutiva.