Avvocato e dipendente pubblico: le Sezioni Unite precisano limiti e possibilità

Lo svolgimento delle funzioni di commissario liquidatore delle disciolte Unità Sanitarie Locali da parte dei Direttori Generali delle Aziende Sanitarie Locali, dopo la riforma degli anni 1992-1995, comporta per costoro la possibilità di valersi degli uffici e delle strutture amministrative delle Aziende cui erano assegnati.

Le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 5588 del 10 marzo 2014, si sono occupate dello ius postulandi degli avvocati dipendenti di enti pubblici. Va precisato che l’intervento delle Sezioni Unite è stato sollecitato in ragione, tra l’altro, delle censure proposte dal ricorrente principale proprio in punto di ius postulandi degli avvocati dipendenti dagli enti pubblici, per cui esisteva contrasto nell'ambito della giurisprudenza di legittimità. Il caso l’incarico all’avvocato dipendente di una USL. Un avvocato, già dipendente di una USL della Provincia di Palermo e transitata, a seguito della soppressione di questa alle dipendenze di una Azienda USL di Palermo, veniva incaricata dal Direttore generale dell'Azienda, commissario liquidatore della disciolta USL, dell'incarico di definire in via transattiva le controversie per il ritardo nei pagamenti delle prestazioni farmaceutiche pendenti tra le unità sanitarie locali della Provincia ed i soggetti fornitori. Definito il contenzioso con accordo transattivo, nell'anno 2000 la Gestione liquidatoria deliberò il compenso professionale in favore dell’avvocato. Il mancato pagamento e il conseguente contenzioso. Non essendo intervenuto il pagamento, l’avvocato propose ricorso per decreto ingiuntivo al Giudice del lavoro di Palermo per ottenere il pagamento di una somma pari a quella già liquidata a titolo di compenso. Concesso il decreto nei confronti del Commissario liquidatore per il pagamento di circa € 65.000,00, proponevano opposizione lo stesso Commissario e l'Assessore alla Sanità della Regione. Sosteneva l'opponente Assessorato che la richiedente, quale dipendente dell'Azienda sanitaria, a termini di contratto collettivo non aveva diritto ad alcun trattamento economico aggiuntivo, salvo l'attribuzione pro quota delle spese legali recuperate. Il Tribunale rigetta la pretesa dell’avvocato. Il Tribunale rilevava che l'incarico de quo era stato conferito dal Commissario liquidatore dell'USL di provenienza, ovvero da un soggetto diverso dall'ente datore di lavoro, il che escludeva che la ricorrente avesse lo ius postulandi, atteso che la controversia era al di fuori di quelle per le quali era abilitata all'esercizio professionale. Riteneva, invece, che, se la prestazione professionale fosse stata svolta per conto dell'Azienda sanitaria subentrante, il richiesto compenso non sarebbe spettato, dato che il contratto collettivo prevedeva l'attribuzione delle sole spese recuperate. Considerato che l'avvocato non era iscritta all'Albo degli Avvocati, ma solo nell'Elenco speciale annesso riservato agli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici, riteneva nulla l'attività professionale espletata e, accolta l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo. Anche in appello le richieste dell’avvocato vengono disattese. L’appello veniva respinto secondo la Corte gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono abilitati al patrocinio unicamente delle cause e gli affari propri dell'ente dal quale dipendono e non anche degli enti dotati di distinta soggettività. Rilevava che l'Azienda USL e la Gestione liquidatoria delle USL soppresse erano soggetti diversi, di modo che l’avvocato, dipendente dell'Azienda USL e iscritta nell'elenco speciale annesso all'albo professionale, ex art. 3, u. c., lett. b , r.d.l. n. 1578/1933 non poteva patrocinare le cause della Gestione liquidatoria. Pertanto, non essendo il predetto difensore iscritta all'Albo degli Avvocati, l'incarico conferitogli era nullo ai sensi dell'art. 2231 c.comma e la prestazione eseguita non dava diritto a compenso. L’avvocato proponeva quindi ricorso per cassazione. Il ricorrente ha dedotto la violazione dell'art. 3 r.d.l. n. 1578/1933 e dell'art. 2, comma 14, l. n. 549/1995. In forza di detto art. 2, comma 14, i direttori generali delle Aziende USL, investiti delle funzioni di commissari liquidatori delle disciolte UU.SS.LL., per l'esercizio delle loro funzioni debbono ragionevolmente avvalersi degli uffici della propria Azienda USL, in ragione dell'assunzione come propri da parte di quest'ultima degli affari della gestione liquidatoria. Tale realtà organizzativa - validata da una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri - deve essere considerata dall'interprete dell'art. 3 r.d.l. n. 1578, il quale dovrà prendere atto che lo ius postulandi degli avvocati degli uffici legali delle AUSL deve estendersi anche agli affari dagli stessi trattati per le Gestioni liquidatorie delle UU.SS.LL. Nessun nullità era quindi ipotizzabile. L’opinione delle Sezioni Unite un primo orientamento interpretativo. La giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che lo ius postulandi degli avvocati dipendenti da enti pubblici, inseriti in autonomi uffici legali istituiti presso gli enti in questione ed iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo, è limitato alle cause ed agli affari propri dell'ente presso il quale gli iscritti prestano la loro opera. Essendo quella dell'art. 3, comma 4,. r.d.l. n. 1578/1933 norma di stretta interpretazione, detta giurisprudenza esclude che l'espletamento di affari di soggetto pubblico diverso da quello di appartenenza costituisca condizione sufficiente a legittimare il legittimo esercizio dell'attività professionale. Un altro filone interpretativo. Con riferimento alla fattispecie puntuale del patrocinio degli affari propri della Gestione liquidatoria da parte di avvocato dipendente da Azienda sanitaria al cui direttore generale la regione abbia attribuito le funzioni di commissario liquidatore, altra giurisprudenza di legittimità ritiene permanere il diritto di esercizio professionale ove detto direttore generale si avvalga per l'esercizio di tali funzioni e quindi per la trattazione degli affari della disciolta unità sanitaria locale , delle strutture operative dell'Azienda di appartenenza. In questo caso, infatti, gli avvocati interni di questa Azienda possono esercitare lo ius postulandi anche per conto della gestione liquidatoria, nel quadro di un fenomeno - non sconosciuto al diritto amministrativo - di utilizzazione da parte di un ente dell'ufficio di un altro ente. Due interpretazioni invero non discordanti dipende dai concreti poteri attribuiti ai Commissari Liquidatori. Fulcro di tale procedimento interpretativo è il riscontro del contenuto dei poteri concretamente attribuiti dalla legge regionale ai commissari liquidatori. Proprio quella della verifica dei poteri conferiti al commissari liquidatori, da ultimo seguita, è la via per risolvere il contrasto tra queste due apparentemente diverse impostazioni. Il quadro normativo. La L. n. 549/1995, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, nell'ambito della generale revisione della disciplina della materia sanitaria nazionale avviata con il d.lgs. n. 502/1992 e la 1. n. 724/1994, al fine del contenimento dei costi delle strutture relative, prevede che, per l'accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le Regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali ricomprese nell'ambito territoriale delle rispettive aziende e che I commissari entro il termine di tre mesi provvedono all'accertamento della situazione debitoria e presentano le risultanze ai competenti organi regionali . La Regione Sicilia ha dato attuazione alla riforma attuata con le disposizioni del d.lgs. n. 502 con la legge regionale n. 30/1993, con le integrazioni derivanti dalle prerogative dello Statuto speciale, ed a tale scopo sostituì le originarie unità sanitarie locali con nove unità sanitarie corrispondenti all'ambito territoriale di ciascuna provincia regionale. Contestualmente ha statuito che con provvedimento del presidente della regione fosse nominato un commissario straordinario per l'attivazione delle aziende unità sanitarie locali, al quale erano altresì assegnate le funzioni di amministratore straordinario delle preesistenti unità sanitarie locali il cui territorio fosse confluito nell'azienda unità sanitaria locale per la cui attivazione egli era stato nominato. Inoltre, con decreto 28.04.95 dell'Assessore regionale alla Sanità, emanato in attuazione della detta legge n. 30/1993 le Aziende U.S.L. sono subentrate in tutti i procedimenti amministrativi in corso e nei rapporti giuridici posti in essere dalle USL. Lo stesso decreto ha previsto che presso ogni azienda USL ed ospedaliera fosse istituito, per la durata di un anno, decorrente dalla data di attivazione delle stesse, un ufficio stralcio per la gestione dei rapporti posti in essere dalle soppresse USL, posto sotto la responsabilità del direttore generale dell'azienda, che assumeva le funzioni di commissario liquidatore. A questo decreto hanno fatto seguito il decreto Presidente della Regione n. 189/1995, che ha costituito le Aziende Sanitarie e nominato i direttori generali, ed i decreti dell'Assessore regionale alla Sanità del 12.07.95 recanti il n. da 16281 al n. 16305 del 12 luglio 1995 che hanno istituito le gestioni stralcio ricomprese nell'ambito delle rispettive aziende. Su questo articolato panorama normativo regionale si è inserito l'art. 2, comma 14, della già richiamata legge n. 459/1995. I poteri dei Commissari liquidatori nel caso specifico. Per la Cassazione , deve ritenersi che lo svolgimento delle funzioni di commissario liquidatore delle disciolte unità sanitarie locali da parte dei direttori generali delle Aziende sanitarie locali, dopo la riforma degli anni 1992-1995, comportava che costoro potessero valersi degli uffici e delle strutture amministrative delle Aziende cui erano assegnati. A tale conclusione può pervenirsi nonostante nella legislazione regionale manchi una esplicita formulazione del principio che i direttori generali si avvalgono per lo svolgimento della funzione liquidatoria delle strutture operative dell'azienda, atteso che non è previsto che essi possano valersi di diverso comparto amministrativo o possano creare al riguardo una struttura apposita. Tali affermazioni comportano la fondatezza della tesi sostenuta dal ricorrente, nel senso che l'attività svolta per incarico del Direttore generale/Commissario liquidatore nell'interesse dell'Azienda sanitaria di Palermo era strettamente riconnessa alla sua qualità di avvocato dipendente dell'Azienda stessa, come tale abilitata all'esercizio professionale in ragione dell'iscrizione nell'Elenco speciale annesso, ai sensi dell'art. 3, comma 4, r.d.l. n. 1578/1933. Ma un inghippo processuale è infine determinante per il rigetto del ricorso. La circostanza che l'attività professionale fosse ricollegata alla qualità di dipendente dell'Azienda impone, tuttavia, di rilevare che circa la spettanza del richiesto compenso si era già pronunziato il giudice di primo grado. La sentenza del Tribunale, infatti, aveva affermato che ove la prestazione professionale fosse rientrata tra le attività officiose svolte per conto dell'Azienda sanitaria dal ricorrente, il richiesto compenso non sarebbe spettato, dato che il contratto collettivo nella specie applicabile prevedeva che al professionista potessero essere attribuite solo le spese recuperate dalla controparte , e non anche che potessero essere corrisposti compensi aggiuntivi al normale trattamento economico - quand'anche essi fossero ricollegati a specifici incarichi da espletare nell'ambito del rapporto di servizio. Ai fini della pronunzia sulla richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, il giudice aveva logicamente anteposto la ritenuta e ora rivelatasi insussistente mancanza di ius postulandi e con questa motivazione aveva rigettato la domanda di corresponsione del compenso. Dato che l'appello dell’avvocato è stato interamente indirizzato a contestare l'affermata nullità dell'attività professionale svolta, tralasciando la ratio decidendi subordinata, deve ritenersi avvenuta la formazione del giudicato interno sulla diversa questione della non spettanza del richiesto compenso, per avere questa formato oggetto di una pronuncia espressa e non impugnata. Essendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, deve essere corretta la motivazione nel senso da ultimo evidenziato ed il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 14 gennaio – 10 marzo 2014, n. 5488 Presidente Rovelli – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- L'avv. B.E. , già dipendente della USL n. della Provincia di Palermo e transitata, a seguito della soppressione di questa alle dipendenze della Azienda USL n. X di Palermo, fu investita dal Direttore generale dell'Azienda, commissario liquidatore della disciolta USL, dell'incarico di definire in via transattiva le controversie per il ritardo nei pagamenti delle prestazioni farmaceutiche pendenti tra le unità sanitarie locali della Provincia ed i soggetti fornitori. Definito il contenzioso con accordo transattivo, nell'anno 2000 la Gestione liquidatoria deliberò il compenso professionale in favore dell'avv. B. . 2.- Non essendo intervenuto il pagamento, quest'ultima propose ricorso per decreto ingiuntivo al Giudice del lavoro di Palermo per ottenere il pagamento di una somma pari a quella già liquidata a titolo di compenso. Concesso il decreto nei confronti del Commissario liquidatore per il pagamento di Euro 65.627,78, proponevano opposizione lo stesso Commissario e l'Assessore alla Sanità della Regione. 3.- Sosteneva l'opponente Assessorato che la richiedente, quale dipendente dell'Azienda sanitaria, a' termini di contratto collettivo non aveva diritto ad alcun trattamento economico aggiuntivo, salvo l'attribuzione pro quota delle spese legali recuperate. Il Tribunale rilevava che l'incarico de quo era stato conferito dal Commissario liquidatore dell'U.S.L. di provenienza, ovvero da un soggetto diverso dall'ente datore di lavoro, il che escludeva che la ricorrente avesse lo ius postulandi, atteso che la controversia era al di fuori di quelle per le quali era abilitata all'esercizio professionale. Riteneva, invece, che, se la prestazione professionale fosse stata svolta per conto dell'Azienda sanitaria subentrante, il richiesto compenso non sarebbe spettato, dato che il contratto collettivo prevedeva l'attribuzione delle sole spese recuperate. Considerato che l'avv. B. non era iscritta all'Albo degli Avvocati, ma solo nell'Elenco speciale annesso riservato agli avvocati degli uffici legali degli enti pubblici, riteneva nulla l'attività professionale espletata e, accolta l'opposizione, revocava il decreto ingiuntivo. 4.- Proposto appello dall'avv. B. , la Corte d'appello di Palermo con sentenza 1.04.09, affermate la propria giurisdizione e la legittimazione passiva dei soggetti opponenti, rigettava l'impugnazione. Premetteva la Corte che gli avvocati dipendenti di enti pubblici sono abilitati al patrocinio unicamente delle cause e gli affari propri dell'ente dal quale dipendono e non anche degli enti dotati di distinta soggettività. Rilevava che l'Azienda USL n. e la Gestione liquidatoria delle USL soppresse erano soggetti diversi, di modo che l'avvocatessa, dipendente dell'Azienda USL n. X e iscritta nell'elenco speciale annesso all'albo professionale, ex art. 3, u.c., lett. b , del r.d.l. 27.11.33 n. 1578 non poteva patrocinare le cause della Gestione liquidatoria. Pertanto, non essendo la predetta iscritta all'Albo degli Avvocati, l'incarico conferitole era nullo ai sensi dell'art. 2231 c.comma e la prestazione eseguita non dava diritto a compenso. 4.- Contro questa sentenza l'avv. B. proponeva ricorso per cassazione. Si difendevano con unico patrocinio, con controricorso e ricorso incidentale condizionato, l'Assessore alla Sanità della Regione Sicilia ed il Commissario liquidatore, a loro volta contrastali da controricorso della ricorrente principale. 5.- Chiamato il ricorso dinanzi alla Sezione Lavoro, il Collegio giudicante rilevava che il ricorso incidentale proponeva questioni inerenti la giurisdizione e che, contemporaneamente, sulle censure proposte dalla ricorrente principale in punto di ius postulandi degli avvocati dipendenti dagli enti pubblici esisteva contrasto nell'ambito della giurisprudenza di legittimità. Lo stesso Collegio disponeva, pertanto, la trasmissione del atti al Primo Presidente per l'investitura delle Sezioni unite. Motivi della decisione 6.- L'avv. B. con unico mezzo di gravame deduce violazione dell'art. 3 del r.d.l. 27.11.33 n. 1578 e dell'art. 2, e. 14, della L. 28.12.95 n. 549. In forza di detto art. 2, e. 14, i direttori generali delle Aziende USL, investiti delle funzioni di commissari liquidatori delle disciolte UU.SS.LL., per l'esercizio delle loro funzioni debbono ragionevolmente avvalersi degli uffici della propria Azienda USL, in ragione dell'assunzione come propri da parte di quest'ultima degli affari della gestione liquidatoria. Tale realtà organizzativa — validata da una circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri — deve essere considerata dall'interprete dell'art. 3 del r.d.l. n. 1578, il quale dovrà prendere atto che lo ius postulandi degli avvocati degli uffici legali delle AUSL deve estendersi anche agli affari dagli stessi trattati per le Gestioni liquidatorie delle UU.SS.LL. Esclusa la nullità ravvisata dalla Corte d'appello, pertanto, la causa dovrà essere rimessa a detto giudice, il quale dovrà esaminare le obiezioni di merito formulate dalla difesa dell'Amministrazione. 7.- Con il ricorso incidentale condizionato i controricorrenti deducono due motivi di ricorso. 7.1.- Ove fosse corretta la ricostruzione in diritto sostenuta dalla ricorrente, sussisterebbe la giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la B. agirebbe per pretese correlate ad un rapporto di pubblico impiego per attività poste in essere negli anni 1996-1997 e, quindi, prima del 30.06.98, il che comporterebbe che in forza della norma transitoria dell'art. 69, comma 7, del d.lgs. 30.03.01 n. 165 - per la quale le controversie dei pubblici dipendenti privatizzati sono attribuite al giudice ordinario solo se relative a questioni attinenti a periodo del rapporto di lavoro successivo al 30.06.98 — la giurisdizione dovrebbe essere assegnata al giudice amministrativo. 7.2.- Accolta la censura di cui al primo motivo e affermato che, in ragione della natura del rapporto della B. da qualificare come impiego pubblico, la giurisdizione apparterrebbe al giudice amministrativo essendo la domanda riferita a questioni attinenti al periodo di lavoro antecedente al 30.06.98, dovrebbe farsi applicazione della decadenza comminata dallo stesso art. 69, e. 7, del d.lgs. 30.03.01 n. 165, essendo la domanda relativa a controversia promossa dopo il 15.09.00. 8.- Il giudice di appello da per scontate alcune circostanze di fatto che non sono messe in dubbio né dalla ricorrente principale né dai ricorrenti incidentali, e cioè che l'Avv. B. fosse dipendente della Azienda USL n. X di Palermo e che, quale addetta all'ufficio legale, fosse iscritta nell'Elenco speciale annesso all'Albo professionale, ai sensi dell'art. 3, comma 4, lett. del r.d.l. 27.11.33 n. 1578, recante l'ordinamento della professione di avvocato e procuratore. Rileva, tuttavia, lo stesso giudice che, pur essendo l'incarico cui è riconnessa la richiesta di pagamento del compenso conferito dal Direttore generale della Azienda sanitaria di cui la predetta era dipendente, nella specie la predetta aveva operato in carenza di ius postulandi , atteso che il Direttore generale aveva conferito l'incarico nella qualità di Commissario della gestione liquidatoria di una soppressa Unità sanitaria locale e, quindi, in forza di una soggettività diversa da quello di organo rappresentativo dell'AUSL di cui la B. era dipendente. Tale diversa soggettività e la non riferibilità dell'attività professionale posta in essere all'Azienda datrice di lavoro comportava, pertanto, che la professionista aveva operato in carenza di abilitazione professionale e che l'attività prestata era affetta da nullità assoluta. 9.- La giurisprudenza di legittimità è orientata nel senso che lo ius postulandi degli avvocati dipendenti da enti pubblici, inseriti in autonomi uffici legali istituiti presso gli enti in questione ed iscritti nell'elenco speciale annesso all'albo, è limitato alle cause ed agli affari propri dell'ente presso il quale gli iscritti prestano la loro opera. Essendo quella dell'art. 3, comma 4, lett. del r.d.l. 27.11.33 n. 1578 norma di stretta interpretazione, detta giurisprudenza esclude che l'espletamento di affari di soggetto pubblico diverso da quello di appartenenza costituisca condizione sufficiente a legittimare il legittimo esercizio dell'attività professionale v. sentenze 6.07.05 n. 14213, 16.09.04 n. 18686 e 8.09.04 n. 18090 . 10.- Con riferimento alla fattispecie puntuale del patrocinio degli affari propri della Gestione liquidatoria da parte di avvocato dipendente da Azienda sanitaria al cui direttore generale la regione abbia attribuito le funzioni di commissario liquidatore, altra giurisprudenza di legittimità ritiene permanere il diritto di esercizio professionale ove detto direttore generale si avvalga per l'esercizio di tali funzioni e quindi per la trattazione degli affari della disciolta unità sanitaria locale , delle strutture operative dell'Azienda di appartenenza. In questo caso, infatti, gli avvocati interni di questa Azienda possono esercitare lo ius postulandi anche per conto della gestione liquidatoria, nel quadro di un fenomeno - non sconosciuto al diritto amministrativo - di utilizzazione da parte di un ente dell'ufficio di un altro ente sentenze 16.01.09 n. 975,16.05.08 n. 12402 e 12.08.00 n. 10778 . Fulcro di tale procedimento interpretativo è il riscontro del contenuto dei poteri concretamente attribuiti dalla legge regionale ai commissari liquidatori. Proprio quella della verifica dei poteri conferiti al commissari liquidatori, da ultimo seguita, è la via per risolvere il contrasto tra queste due apparentemente diverse impostazioni. 11.- La L. 28.12.95 n. 549, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, nell'ambito della generale revisione della disciplina della materia sanitaria nazionale avviata con il d.lgs. 30.12.92 n. 502 e la L. 23.12.94 n. 724, al fine del contenimento dei costi delle strutture relative, prevede che, per l'accertamento della situazione debitoria delle unità sanitarie locali e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994, le regioni attribuiscono ai direttori generali delle istituite aziende unità sanitarie locali le funzioni di commissari liquidatori delle soppresse unità sanitarie locali ricomprese nell'ambito territoriale delle rispettive aziende e che I commissari entro il termine di tre mesi provvedono all'accertamento della situazione debitoria e presentano le risultanze ai competenti organi regionali art. 2, comma 14 . La Regione Sicilia dette attuazione alla riforma attuata con le disposizioni del d.lgs. n. 502 con la legge regionale 3.11.93 n. 30, con le integrazioni derivanti dalle prerogative dello Statuto speciale, ed a tale scopo sostituì le originarie unità sanitarie locali con nove unità sanitarie corrispondenti all'ambito territoriale di ciascuna provincia regionale artt. 1 comma 6 . Contestualmente statuì che con provvedimento del presidente della regione fosse nominato un commissario straordinario per l'attivazione delle aziende unità sanitarie locali, al quale erano altresì assegnate le funzioni di amministratore straordinario delle preesistenti unità sanitarie locali il cui territorio fosse confluito nell'azienda unità sanitaria locale per la cui attivazione egli era stato nominato art. 55 . Per quanto qui interessa circa l'ulteriore sviluppo delle fonti regionali primarie e secondarie, deve rilevarsi che con decreto 28.04.95 dell'Assessore regionale alla Sanità, emanato in attuazione della detta legge n. 30 del 1993 le Aziende U.S.L. sono subentrate in tutti i procedimenti amministrativi in corso e nei rapporti giuridici posti in essere dalle USL. Lo stesso decreto ha previsto che presso ogni azienda USL ed ospedaliera fosse istituito, per la durata di un anno, decorrente dalla data di attivazione delle stesse, un ufficio stralcio per la gestione dei rapporti posti in essere dalle soppresse USL, posto sotto la responsabilità del direttore generale dell'azienda, che assumeva le funzioni di commissario liquidatore . A questo decreto hanno fatto seguito il decreto Presidente della Regione 7.07.95 n. 189, che ha costituito le Aziende Sanitarie e nominato i direttori generali, ed i decreti dell'Assessore regionale alla Sanità del 12.07.95 recanti il n. da 16281 al n. 16305 del 12 luglio 1995 che hanno istituito le gestioni stralcio ricomprese nell'ambito delle rispettive aziende. Su questo articolato panorama normativo regionale si è inserito l'art. 2, comma 14, della già richiamata legge n. 459 del 1995 n. 459. 12.- All'esito di questa disamina dell'ordinamento regionale in tema di sanità, conoscibile dal giudice di legittimità in forza del principio iura novit curia , deve ritenersi che lo svolgimento delle funzioni di commissario liquidatore delle disciolte unità sanitarie locali da parte dei direttori generali delle Aziende sanitarie locali, dopo la riforma degli anni 1992-1995, comportava che costoro potessero valersi degli uffici e delle strutture amministrative delle Aziende cui erano assegnati. A tale conclusione può pervenirsi nonostante nella legislazione regionale manchi una esplicita formulazione del principio che i direttori generali si avvalgono per lo svolgimento della funzione liquidatoria delle strutture operative dell'azienda, atteso che non è previsto che essi possano valersi di diverso comparto amministrativo o possano creare al riguardo una struttura apposita. 13.- Tali affermazioni comportano la fondatezza della tesi sostenuta dall'avv. B. , nel senso che l'attività svolta per incarico del Direttore generale/Commissario liquidatore nell'interesse dell'Azienda sanitaria Palermo n. X era strettamente riconnessa alla sua qualità di avvocato dipendente dell'Azienda stessa, come tale abilitata all'esercizio professionale in ragione dell'iscrizione nell'Elenco speciale annesso, ai sensi dell'art. 3, comma 4, lett. del r.d.l. 27.11.33 n. 1578. 14.- La circostanza che l'attività professionale fosse ricollegata alla qualità di dipendente dell'Azienda impone, tuttavia, al Collegio di rilevare che circa la spettanza del richiesto compenso si era già pronunziato il giudice di primo grado. La sentenza del Tribunale, infatti, aveva affermato che ove la prestazione professionale fosse rientrata tra le attività officiose svolte per conto dell'Azienda sanitaria dalla ricorrente, il richiesto compenso non sarebbe spettato, dato che il contratto collettivo nella specie applicabile prevedeva che al professionista potessero essere attribuite solo le spese recuperate dalla controparte , e non anche che potessero essere corrisposti compensi aggiuntivi al normale trattamento economico — quand'anche essi fossero ricollegati a specifici incarichi da espletare nell'ambito del rapporto di servizio. Ai fini della pronunzia sulla richiesta di revoca del decreto ingiuntivo, il giudice aveva logicamente anteposto la ritenuta e ora rivelatasi insussistente mancanza di ius postulandi e con questa motivazione aveva rigettato la domanda di corresponsione del compenso. Dato che l'appello dell'avv. B. è stato interamente indirizzato a contestare l'affermata nullità dell'attività professionale svolta, tralasciando la ratio decidendi subordinata, deve ritenersi avvenuta la formazione del giudicato interno sulla diversa questione della non spettanza del richiesto compenso, per avere questa formato oggetto di una pronuncia espressa e non impugnata. 15.- Essendo il dispositivo della sentenza impugnata conforme a diritto, deve essere corretta la motivazione nel senso da ultimo evidenziato ed il ricorso principale deve essere rigettato, con assorbimento del ricorso incidentale. 16.- Le spese del giudizio di legittimità debbono essere compensate tra le parti. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale, compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.