Piantine troppo leggere? Coltivatore sfortunato, ma punibile

E’ punibile chi coltiva piante di marijuana, anche se per uso strettamente personale, a prescindere dalla quantità di principio attivo presente.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 9885, depositata il 28 febbraio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Catania confermava la sentenza di primo grado, che condannava due coniugi, imputati di concorso in illecita coltivazione di 12 piante di marijuana. Gli imputati ricorrevano in Cassazione, denunciando erronea applicazione dell’articolo 73 d.P.R. numero 309/1990, relativo alla produzione ed alla detenzione di sostanze stupefacenti. I ricorrenti lamentavano la mancata verifica della concreta offensività della loro condotta, cioè la coltivazione di un numero esiguo di piante, dalle quali, soltanto potenzialmente, può ritenersi ricavabile un modesto ed irrilevante principio attivo. Piantine innocue. A loro giudizio, ci sarebbe una distinzione tra la coltivazione in senso tecnico-agrario, penalmente rilevante, ed una piccola coltivazione domestica, priva di reale offensività, specialmente quando non risulta, neanche, esaurito il processo di coltivazione e, dallo stesso, non sia stata ricavata alcuna sostanza realmente efficace ed utilizzabile per effetti droganti. Analizzando la domanda, la Cassazione si basava sulla Corte Cost., sent. numero 360/1995, la quale non configurava come non punibile la coltivazione di piante destinate al consumo personale, bensì poneva l’accento sulla verifica dell’offensività specifica della singola condotta in concreto accertata e dell’effettiva idoneità a vulnerare il bene giuridico protetto, in questo caso il contrasto al consumo di droghe. Solo in assenza di tale idoneità, la condotta non è riconducibile alla norma incriminatrice. Non ci sono differenze. Riguardo alla distinzione tra i vari tipi di coltivazione, i giudici di legittimità chiarivano che integra una condotta penalmente rilevante ogni attività non autorizzata di coltivazione, anche se poste in essere in funzione di un uso soltanto personale. Per quanto riguarda, invece, la specificità del fatto materiale di coltivazione, non può aversi riguardo allo stadio accertato del processo produttivo, poiché l’offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltura a produrre la sostanza per il consumo. L’offensività si valuta a monte. Di conseguenza, non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza dell’accertamento, ma la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente. Perciò, il basso coefficiente di principio attivo, riscontrato nel caso di specie, non produceva alcun effetto sulla punibilità. Per questi motivi, la Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 15 ottobre 2013 – 28 febbraio 2014, numero 9885 Presidente Milo – Relatore Paoloni Motivi della decisione 1. Per mezzo del comune difensore gli imputati F.V. e C.I. ricorrono per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Catania che ha confermato la decisione resa all'esito di giudizio ordinario dal Tribunale di Siracusa sezione di Avola, con la quale sono stati riconosciuti colpevoli di concorso nel reato di illecita coltivazione di dodici piante di marijuana e per l'effetto condannati, concessa la attenuante di cui all'articolo 73 co. 5 L.S., alla pena sospesa di un anno e due mesi di reclusione ed Euro 5.000 di multa ciascuno. Condotta criminosa emersa a seguito di intervento domiciliare dei carabinieri di Avola, che il 22.5.2006 rinvengono e sequestrano sul terrazzo dell'appartamento occupato dai due imputati e da essi soltanto dodici piante di marijuana cannabis indica e materiale utilizzabile per l'innesto di nuove piante dello stesso tipo. Piante che le successive analisi di laboratorio confermeranno essere idonee a produrre marijuana, sostanza con efficacia drogante già presente in misura significativa nelle infiorescenze delle piante con percentuale di thc pari al 2%. In particolare la Corte di Appello ha disatteso la tesi difensiva degli imputati, imperniata sui sequenziali profili della non punibilità della coltivazione funzionale ad un uso personale degli agenti e dell'inefficacia drogante e, per ciò, della inoffensività della condotta della sostanza ricavabile dalle piante sottoposte a sequestro. Alla luce della congiunta lettura delle due conformi decisioni di merito, che si integrano vicendevolmente dando origine ad enunciati valutativi organici e inseparabili, il Tribunale e la Corte territoriale hanno evidenziato, per un verso, che dopo la nota decisione delle Sezioni Unite della S.C. numero 28605 del 2008, rie. Di Salvia la coltivazione abusiva di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti è in ogni caso punibile anche quando il prodotto della coltivazione sia destinato all'uso personale dell'agente. Per altro verso i giudici di merito hanno rilevato la concreta offensività della concorrente condotta criminosa degli imputati, avuto riguardo agli esiti delle analisi indicanti la presenza del principio attivo della cannabis nelle piante sequestrate ai prevenuti. 2. Con ricorsi di omologo contenuto gli imputati denunciano erronea applicazione dell'articolo 73 L.S. e mancanza e manifesta illogicità della motivazione in riferimento alla apprezzabilità penale dell'accertata coltivazione delle dodici piante di canapa indiana. Muovendo dalla sentenza della Corte Costituzionale numero 360/1995, che a loro avviso estenderebbe la non punibilità della detenzione di stupefacenti per uso personale alla coltivazione di piante idonee a fornire sostanze droganti, i ricorrenti lamentano l'omessa verifica della concreta offensività del fatto loro contestato, osservando come lo stesso concerna la coltivazione di poche piantine, dalle quali soltanto potenzialmente può ritenersi ricavabile un modesto e in pratica irrilevante principio attivo. In ogni caso un equilibrato criterio selettivo delle condotte punibili, in quanto corrispondenti al fatto reato tipizzato dall'articolo 73 L.S. ma prive di offensività, è offerto dalla giurisprudenza di legittimità che distingue tra coltivazione in senso tecnico-agrario considerata dagli articolo 26 e 28 L.S. , penalmente rilevante, e una piccola e insignificante coltivazione domestica autocoltivazione priva di reale offensività, specialmente quando come nel caso di specie neppure risulta esaurito il processo di coltivazione e dallo stesso non sia stata ancora ricavata alcuna sostanza realmente efficace e utilizzabile in chiave drogante. Con il ricorso dell'imputata C. si censura altresì l'erronea applicazione degli articolo 110 e 40 co. 2 c.p., atteso che la Corte etnea non ha offerto appagante risposta al dedotto rilievo del difetto di prova del concorso criminoso della donna, non essendo a tal fine sufficiente la sua presenza al fianco del convivente, senza che sia individuato un suo concreto contributo causale all'illecita condotta di coltivazione delle piante di canapa riferibile al F. il solo [suo] comportamento omissivo, anche e soprattutto alla luce del vincolo affettivo, non costituisce segno univoco di partecipazione morale . 3. Entrambi i ricorsi vanno rigettati per l'infondatezza dei motivi di doglianza rispettivamente prospettati. 3.1. L'assunto difensivo dell'imputata C. focalizzato su un suo contegno di mera connivenza non punibile rispetto alla condotta di coltivazione attuata e curata dal convivente coimputato F. non ha pregio. La sentenza di primo grado, richiamata dalla impugnata decisione di appello, affronta la problematica, correttamente risolvendola in termini di pieno e consapevole concorso criminoso dell'imputata. La donna ha ammesso di essere a conoscenza della presenza delle piante sul terrazzo della sua abitazione occupata soltanto da lei e dal coimputato e la tesi di averne ignorato la reale natura è contraddetta in tutta evidenza, come rileva la sentenza del Tribunale, sia dalla particolare cura della coltivazione delle piante accudite con cura e dal ritrovamento di materiale e cose destinate ad implementare la stessa coltivazione, sia soprattutto dalla tenace resistenza opposta da entrambi gli imputati all'accesso dei carabinieri nel loro appartamento. Contegno tenuto anche dalla C. e non altrimenti giustificabile se non con la sua piena contezza del commesso reato e della sua partecipazione allo stesso, che non lascia spazio ad ipotesi di semplice passiva connivenza della donna. Come affermato da questa S.C., costituiscono affidabili indici di positivo contributo partecipativo all'altrui condotta criminosa anche contegni volti ad agevolare l'occultamento e la conservazione della droga, sottraendola ai controlli di p.g. cfr. Sez. 4, 22.1.2010 numero 4948, Porcheddu, rv. 246649 Sez. 6,18.2.2010 numero 14606, lemma, rv. 247127 Sez. 1,26.9.2012 numero 40248, P.G. in proc. Mazzotta, rv. 254735 . 3.2. Destituiti di fondamento sono i rilievi, comuni ad entrambi i ricorrenti, sulla asserita irrilevanza penale della coltivazione di piante produttive di sostanze droganti per il personale uso degli imputati e in subordine dell'inoffensivita concreta dell'accertato fatto di coltivazione di dodici piante di canapa contestato ai due prevenuti. Premesso sul piano storico – processuale che i giudici di merito hanno segnalato come sia il F. che la C. hanno sostenuto di non fare alcun uso di sostanze stupefacenti, la sentenza numero 360/1995 della Corte Costituzionale manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli articolo 73 e 75 L.S. nella parte in cui prevedono l'illiceità penale della coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti univocamente destinate all'uso personale degli agenti non ha, al contrario di quanto adducono i ricorrenti, configurato come non punibile la coltivazione di piante suscettibili di produrre sostanze stupefacenti destinate al consumo personale dei coltivatori , ma ha unicamente posto l'accento sulla pur sempre necessaria verifica, alla stregua di un giudizio di merito, della offensività specifica della singola condotta in concreto accertata e della sua effettiva idoneità a vulnerare il bene giuridico protetto contrasto al consumo di droghe , in difetto della quale la condotta diviene priva della tipicità e non più riconducibile alla norma incriminatrice Corte Cost. nel caso della coltivazione manca il nesso di immediatezza con l'uso personale e ciò giustifica un possibile atteggiamento di maggior rigore, rientrando nella discrezionalità del legislatore anche la scelta di non agevolare comportamenti propedeutici all'approvvigionamento di sostanze stupefacenti per uso personale la coltivazione è esterna all'area contigua al consumo e ciò già di per sé rende ragione sufficiente di una disciplina differenziata . La decisione del giudice delle leggi è stata tenuta ben presente dalle Sezioni Unite di questa S.C. che con la menzionata decisione del 2008, richiamata da entrambe le sentenze di merito oggetto dei due ricorsi S.U., 24.4.2008 numero 28605, Di Salvia, rv. 239920 , ha sgombrato il campo dall'indirizzo giurisprudenziale valorizzato dai ricorrenti e basato sulla distinzione tra coltivazione tecnico-agraria e coltivazione domestica, definitivamente chiarendo che integra una condotta penalmente rilevante ogni attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui siano estraibili sostanze stupefacenti, anche quando sia posta in essere in funzione di un uso soltanto personale del prodotto della coltivazione così anche, ex plurimis Sez. 6,13.10.2009 numero 49528, P.M. in proc. Lanzo, rv. 245648 Sez. 6, 9.12.2009 numero 49523, Cammarota, rv. 245661 . Chiarito quindi che, come affermano le Sezioni Unite, qualsiasi tipo di coltivazione è caratterizzato da un dato essenziale e distintivo rispetto alla fattispecie di detenzione di sostanze droganti, che è quello di contribuire ad accrescere in qualunque entità, pur se mirata a soddisfare esigenze di natura personale, la quantità di sostanza stupefacente esistente la coltivazione presenta la peculiarità di dar luogo ad un processo di produttivo astrattamente capace di autoalimentarsi attraverso la riproduzione dei vegetali” , l'attenzione nel caso dei due ricorrenti si sposta sulla verifica di offensività della condotta criminosa, proprio alla luce del dictum della Sezioni Unite sintonico con la ricordata decisione numero 360/1995 della Corte Costituzionale, sì che l'offensività non ricorre soltanto se la sostanza ricavabile dalla coltivazione non è idonea a produrre un effetto stupefacente in concreto rilevabile cfr., ex multis Sez. 6, 10.12.2012 numero 12616/13, Floriano, rv. 254891 Sez 6 2 5 2013 numero 22110, P.M. in proc. Capuano, rv. 255732 . Ed in proposito conviene puntualizzare, come pure stabilito da recente decisione di questa S.C., che in relazione alla specificità del fatto materiale di coltivazione non può aversi riguardo allo stadio iniziale, in corso, avanzato, esaurito del processo produttivo accertato ciò che equivarrebbe a dare ingresso ad un improprio criterio di punibilità differenziata , poiché l'offensività della condotta si radica nella sola idoneità della coltivazione a produrre la sostanza per il consumo. Con l'ovvia conseguenza che non rileva la quantità di principio attivo ricavabile nella immediatezza dell'accertamento, ma la conformità delle piante al tipo botanico previsto e la loro attitudine anche per modalità e cura di coltivazione a giungere a maturazione e a produrre la sostanza stupefacente utilizzabile per il consumo Sez. 6,15.3.2013 numero 22459, Cangemi, rv. 255732 . Ora nel caso per cui è ricorso non è revocabile in dubbio che la ridetta idoneità produttiva di sostanza drogante sia stata concretamente verificata nel giudizio di merito in base alle analisi effettuate nelle indagini preliminari. Sicché, a fronte della conclamata presenza del principio attivo thc nelle infiorescenze delle dodici piante in sequestro non hanno pregio le critiche dei ricorrenti in riferimento al non elevato coefficiente 2/o di tale principio attivo riferibile allo stadio produttivo coevo all'accertata condotta di abusiva coltivazione dei due ricorrenti. Al rigetto dei ricorsi segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.