Tutte le assunzioni alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono assoggettate all'esito positivo di un periodo di prova, e ciò avviene “ex lege” e non per effetto di patto inserito nel contratto di lavoro dall'autonomia contrattuale quest'ultima è abilitata esclusivamente alla determinazione della durata del periodo di prova. Ne deriva che in tema di pubblico impiego privatizzato, il recesso dell'amministrazione dal rapporto di lavoro per l'esito negativo del periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione.
Lo afferma la Corte di Cassazione, Sezione Lavoro con la sentenza numero 655, pubblicata il 16 gennaio 2015. Il caso impugnazione di recesso adottato per mancato superamento del periodo di prova. Un lavoratore di azienda speciale comunale ricorreva al Tribunale del lavoro, domandando venisse dichiarato illegittimo il recesso attuato dall’ente, per mancato superamento del periodo di prova. Sosteneva il ricorrente che in realtà il recesso si basava su motivazioni estranee al patto di prova, ma correlato da motivi ritorsivi e discriminatori. Il Tribunale rigettava la domanda. Analogamente la Corte d’Appello si pronunciava, rigettando il gravame proposto dal lavoratore. Osservava la Corte di merito che il recesso per mancato superamento della prova non ha carattere disciplinare e comunque non erano emersi in giudizio i comportamenti ingiuriosi e discriminatori allegati dal lavoratore. Questi ricorreva in Cassazione per la riforma della sentenza d’appello. Le assunzioni nel pubblico impiego Innanzitutto la Suprema Corte pone in evidenza la naturale diversità tra l’instaurazione di un rapporto di lavoro pubblico e privato. Il primo presuppone necessariamente l’accesso mediante pubblico concorso, come sancito dall’articolo 97 Cost Principio esteso all’accesso a qualunque pubblica amministrazione. Così come diversa è la natura, secondo il Supremo Collegio, tra il patto di prova nell’impiego pubblico da quello privato. e il patto di prova richiesto per l’instaurazione del rapporto. Tutte le assunzioni alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni sono assoggettate al positivo superamento di un periodo di prova, stabilito per legge e non inserito, come avviene nell’impiego privato, nei diversi contratti collettivi. Nell’impiego pubblico, un eventuale richiamo ai contratti collettivi, in materia di periodo di prova, riguarda unicamente la durata del periodo, diversificato in base alla natura ed alla complessità delle prestazioni richieste al lavoratore. La valutazione del mancato superamento della prova è atto discrezionale. Affermati i principi sopra illustrati, conformi all’interpretazione ripetutamente resa in precedenza, la Corte di Cassazione osserva che la diversità esistente tra patto di prova nel lavoro pubblico e privato comporta che se la contrattazione collettiva di comparto prevede l’obbligo di motivare il recesso per prova inidonea, sarà ammissibile la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto alla finalità della prova e all’effettivo andamento della prova stessa. Non potendosi tuttavia spingersi a ricomprendere la valutazione discrezionale dell’amministrazione datrice di lavoro. In sostanza, affermano i giudici di legittimità, anche nel lavoro pubblico il patto di prova deve essere tale da consentire una effettiva valutazione delle capacità del lavoratore, così da valutare la reciproca convenienza nell’instaurazione del rapporto di lavoro. Ma non può essere annullato il potere discrezionale spettante all’amministrazione pubblica nella valutazione del superamento della prova. Questo comporta infine che il datore di lavoro non sarà gravato dall’onere di provare in giudizio la prova negativa. Viceversa sarà il lavoratore ad essere gravato dell’onere di provare in giudizio che il recesso è stato adottato per motivi illeciti o discriminatori, diversi dal mancato superamento della prova. Nello specifico, il ricorrente non è stato in grado di dare la prova circa gli asseriti motivi illeciti e discriminatori il ricorso proposto è stato così rigettato.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 12 novembre 2014 – 16 gennaio 2015, numero 655 Presidente Roselli – Relatore Tria Svolgimento del processo 1.- La sentenza attualmente impugnata respinge l'appello di E.M. avverso la sentenza del Tribunale di Cremona numero 10112009, la quale, a sua volta, aveva rigettato la domanda del M. di accertamento della nullità del recesso per mancato superamento del periodo di prova, intimatogli dalla Azienda Speciale Comunale per i Servizi alla Persona Cremona Solidale d'ora in poi Azienda con lettera del 16 novembre 2006. La Corte d'appello di Brescia, per quel che qui interessa, precisa che a il primo motivo di appello - con il quale il M. si duole della mancata affermazione, da parte del Tribunale, della violazione dell'ari. 7 St. lav. - è inammissibile perché è stato proposto per la prima volta in sede di gravame, comunque esso è anche infondato in quanto le garanzie procedimentali di cui alla suddetta disposizione non si applicano al recesso durante il periodo di prova, che non ha carattere disciplinare b il secondo motivo - con il quale ci si duole della mancata considerazione del carattere ritorsivo del licenziamento - è anch'esso inammissibile per la novità della censura e, comunque, è infondato perché al M. incombeva l'onere, non assolto, di dimostrare che il recesso era imputabile a ragioni estranee al mancato superamento della prova e la approfondita istruttoria svolta in primo grado ha consentito di escludere che il ricorrente sia stato oggetto di comportamenti ingiuriosi o minacciosi da parte di colleghi o di superiori e, in particolare, risulta del tutto sfornita di prova l'affermazione, fatta nel ricorso in appello a proposito della discussione con la collega Girelli, secondo cui il recesso rappresenterebbe una violazione del principio di parità di trattamento tra uomini e donne sul posto di lavoro d infondato è pure il terzo motivo, con il quale si sostiene che la sentenza di primo grado sia fondata su elementi inconsistenti, visto che le testimonianze assunte dimostrano, in modo inconfutabile, il mancato superamento della prova e la mancata allegazione, da parte del M., di alcuna prova contraria, come era suo onere e in questa situazione è del tutto irrilevante che la relazione dell'Azienda in data 14 novembre 2006 - confermata in giudizio - non sia stata protocollata. 2.- Il ricorso di E.M. domanda la cassazione della sentenza per due motivi la Azienda non svolge attività difensiva in questa sede. Motivi della decisione I -- Sintesi dei motivi di ricorso 1.- II ricorso è articolato in due motivi. 1.1.- Con il primo motivo si denunciano a in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'articolo 2096 cod. civ. b in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione omesso esame di un punto decisivo della controversia. In primo luogo si rileva che l'attuale ricorrente ha dedotto e ampiamente provato di essere stato vittima di reiterati e gratuiti comportamenti di mobbing e di bossing cioè di atti persecutori protratti nel tempo posti in essere sia dai colleghi di lavoro sia dai superiori che gli hanno impedito, in concreto, di rendere la propria prestazione in un clima sereno e, quindi, di superare con successo il periodo di prova. Si sostiene che i Giudici del merito hanno palesemente violato l'articolo 2096 cod. civ., negando il carattere palesemente discriminatorio e persecutorio del licenziamento. In particolare, la Corte d'appello, affermando la novità della deduzione del carattere ritorsivo e comunque la mancanza di prova offerta dal M. sulla illegittimità del recesso, non ha considerato che, invece, tutto il libello introduttivo del giudizio di primo grado - e le prove ivi offerte - erano fondati sulla denuncia del carattere ritorsivo, discriminatorio e persecutorio del licenziamento e sul fatto che esso fosse dipeso da ragioni estranee al mancato superamento del periodo di prova. Del resto, lo stesso svolgimento dei fatti dimostra l'esattezza del suddetto assunto il licenziamento è stato intimato lo stesso giorno in cui il M. ha chiesto chiarimenti in merito all'ordine di servizio con il quale gli venivano concesse delle ferie mai richieste. A partire dalla storica sentenza numero 189 del 1980 della Corte costituzionale è noto che il recesso durante il periodo di prova deve considerarsi illegittimo se non consente l'effettuazione della prova o se la prova abbia avuto un durata non adeguata a valutare le capacità professionali del lavoratore. Inoltre, il patto di prova non deve contenere l'elencazione specifica delle mansioni che il dipendente deve svolgere, sicché le modalità di svolgimento del rapporto hanno un ruolo molto importante ai fini del superamento dell'esperimento. Ne consegue che avendo il M. provato che tali modalità non sono state adeguate, il recesso non poteva considerarsi legittimo. 1.2.- Con il secondo motivo si denunciano a in relazione all'ari. 360, numero 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'articolo 7 della legge numero 300 del 1970 b in relazione all'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione omesso esame di un punto decisivo della controversia Si contesta la sentenza impugnata laddove la deduzione della violazione dell'articolo 7 St. lav., è stata considerata inammissibile perché nuova e comunque infondata, data l'inapplicabilità della suddetta disposizione al recesso durante il periodo di prova, non avente carattere disciplinare. Si sostiene che tale interpretazione sarebbe eccessivamente restrittiva e non condivisibile perché 1 il M. già in primo grado ha, nella sostanza, lamentato il mancato rispetto dell'articolo 7 cit. nel prospettare la violazione delle garanzie procedimentali e del principio del contraddittorio 2 la destituzione di un pubblico impiegato - sia pure in prova - palesemente illegittima ed ontologicamente disciplinare, non può non essere assistita dalle garanzie di cui all'articolo 7 medesimo. In altri termini, come si desume dalla citata sentenza numero 189 del 1980 della Corte costituzionale, il fatto che licenziamento durante il periodo di prova sia libero non esclude che al lavoratore debbano essere riconosciute le garanzie di legge ove il recesso risulti palesemente illegittimo, come accade nella specie. III - Esame delle censure 2.- Entrambi i motivi di ricorso - da esaminare congiuntamente, data la loro intima connessione -- non sono da accogliere, per le ragioni di seguito esposte. 2.1.- In linea generale, può dirsi che, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme contenuto nell'intestazione di tutti e due i motivi, l'insieme delle censure si risolve nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata ma non per errori di logica giuridica - che sono gli unici idonei a rendere, in ipotesi, la motivazione stessa incongrua o incoerente e quindi emendabile in sede di giudizio di cassazione - bensì per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti, con l'inammissibile intento di sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito vedi, tra le tante Cass. 18 ottobre 2011, numero 21486 Cass. 20 aprile 2011, numero 9043 Cass. 13 gennaio 2011, numero 313 Cass. 3 gennaio 2011, numero 37 Cass. 3 ottobre 2007, numero 20731 Cass. 21 agosto 2006, numero 18214 Cass. 16 febbraio 2006, numero 3436 Cass. 27 aprile 2005, numero 8718 . 2.2.- Tale inammissibile mero dissenso valutativo delle risultanze probatorie di causa, che nella specie risulta supportato da motivazione congrua e logica, viene espresso, oltretutto, senza neppure considerare che la giurisprudenza di questa Corte, con indirizzi consolidati cui il Collegio intende dare continuità, ha posto l'accento su a la specialità della disciplina relativa al momento genetico del rapporto di lavoro alla dipendenze delle pubbliche amministrazioni, regolato dal principio fondamentale dell'accesso mediante pubblico concorso, enunciato dall'articolo 97, terzo comma, Cost. e del tutto estraneo alla disciplina del lavoro privato vedi, per tutte Corte cost. sentenze numero 89 del 2003, numero 309 del 1997 Cass. 13 agosto 2008, numero 21586 b l'applicabilità del medesimo regime - con la regola del pubblico concorso - per l'accesso a qualunque pubblica amministrazione, anche se disciplinato da norme regionali Corte cost. sentenze numero 134 del 2014 numero 227 del 2013, numero 62 del 2012, numero 310 e numero 299 del 2011, numero 267 del 2010 Cass. 29 luglio 2011, numero 16795 c la conseguente diversità esistente, in tema di patto di prova, tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato, derivante dal fatto che, nel rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni, l'istituto della prova è regolato da diverse, specifiche, disposizioni, secondo la salvezza formulata dall'articolo 2, comma 2, del d_lgs. 30 marzo 2001, numero 165, articolo 2, comma 2, cui e da collegare l'articolo 70, comma 13, dello stesso d.lgs., secondo cui in materia di reclutamento, le pubbliche amministrazioni applicano la disciplina prevista dal d.P.R. 9 maggio 1994, numero 487, e successive modificazioni ed integrazioni, per le parti non incompatibili con quanto previsto dagli arti. 35 e 36, salvo che la materia venga regolata, in coerenza con i principi ivi previsti, nell'ambito dei rispettivi ordinamenti Cass. 13 agosto 2008, numero 21586 cit. d in base all'articolo 17, comma 1, del richiamato d.P.R., tutte le assunzioni alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche sono assoggettate all'esito positivo di un periodo di prova, e ciò avviene ex lege e non per effetto di un patto inserito nel contratto di lavoro dall'autonomia contrattuale ovvero in base alla contrattazione collettiva, in quanto la stessa rinvia alla contrattazione collettiva solo per la determinazione della durata del periodo di prova, differenziata in ragione della complessità delle prestazioni professionali richieste Cass. 13 agosto 2008, numero 21586 cit. Cass. 16 aprile 2008, numero 9977 e la anzidetta diversità esistente, in tema di patto di prova, tra lavoro pubblico privatizzato e lavoro privato, comporta che i principi enunciati dalla sentenza numero 189 del 1980 della Corte costituzionale in tema di recesso dal rapporto di lavoro subordinato di diritto comune in prova sono applicabili anche ai rapporti di lavoro privatizzati alle dipendenze di pubblica amministrazione, salvo restando che, in tali ultimi rapporti, il recesso del datore di lavoro nel corso dei periodo di prova ha natura discrezionale e dispensa dall'onere di provarne la giustificazione diversamente da quel che accade nel recesso assoggettato alla legge numero 604 del 1966 Cass. 2 agosto 2010, numero 17970 Cass. 13 agosto 2008, numero 21586 nonché Cass. 27 giugno 2013, numero 16224 f peraltro, anche nel lavoro pubblico, l'esercizio del potere di recesso deve essere coerente con la causa del patto di prova, che consiste nel consentire alle parti del rapporto di lavoro di verificarne la reciproca convenienza, sicché, non è configurabile un esito negativo della prova ed un valido recesso qualora le modalità dell'esperimento non risultino adeguate ad accertare la capacità lavorativa del prestatore in prova, ovvero risulti il perseguimento di finalità discriminatorie o altrimenti illecite Cass. 13 agosto 2008, numero 21586 cit. g comunque è sul lavoratore che incombe l'onere di dimostrare la contraddizione tra recesso e funzione dell'esperimento o anche la sussistenza del motivo illecito del licenziamento e tale onere può essere assolto anche attraverso presunzioni, che, però. per poter assurgere al rango di prova, debbono essere gravi, precise e concordanti Cass. 15 novembre 2000, numero 14753 vedi Cass. 13 settembre 2006, numero 19558 h infine, in tema di obbligo di motivare il recesso in periodo di prova, se previsto dal contratto collettivo di comparto, con specifico riferimento al lavoro pubblico, è ammissibile la verificabilità giudiziale della coerenza delle ragioni del recesso rispetto, da un lato, alla finalità della prova e, dall'altro, all'effettivo andamento della prova stessa, ma senza che resti escluso il potere di valutazione discrezionale dell'amministrazione datrice di lavoro, non potendo omologarsi la giustificazione del recesso per mancato superamento della prova a quella della giustificazione del licenziamento per giusta causa o giustificato motivo, dovendosi, di conseguenza, escludere che l'obbligo di motivazione possa spostare l'onere della prova sul datore di lavoro Cass. 5 novembre 2007, numero 23061 Cass. 8 gennaio 2008, numero 143 . 2.3.- La sentenza attualmente impugnata si è adeguata a detti principi e comunque il ricorrente non ha contestato adeguatamente - e con il dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, in base al quale il ricorrente qualora proponga delle censure attinenti all'esame o alla valutazione di documenti o atti processuali è tenuto ad assolvere il duplice onere di cui all'articolo 366, numero 6, cod. proc. civ. e all'articolo 369, numero 4, cod. proc. civ. vedi, per tutte Cass. SU 11 aprile 2012, numero 5698 Cass. SU 3 novembre 2011, numero 22726 - le statuizioni portanti della sentenza impugnata, secondo cui 1 il M. non ha provato la imputabilità del recesso a ragioni estranee al mancato superamento della prova, mentre le testimonianze assunte hanno dimostrato, in modo inconfutabile, il mancato superamento della prova 2 la inammissibilità della deduzione della violazione dell'articolo 7 St. lav., perché proposta per la prima volta in sede di gravame, affermazione che risulta non solo assorbente sul punto ma anche del tutto conforme alla giurisprudenza consolidata di questa Corte secondo cui, nel caso in cui, nel ricorso introduttivo del giudizio di primo grado, il licenziamento sia stato impugnato sotto profili diversi dall'inosservanza della procedura garantistica di cui all'articolo 7 della legge numero 300 dei 1970, non si può dedurre in appello la questione della nullità del recesso per violazione del citato articolo 7 in quanto tale ulteriore prospettazione del petitum , comportando la deduzione di un'altra e diversa causa petendi con l'inserimento di un fatto nuovo a fondamento della pretesa e di un diverso tema di indagine e di decisione, è preclusa dall'articolo 437, comma secondo, cod. proc. civ. vedi, per tutte Cass. 2 marzo 2006, numero 4614 Cass. 20 aprile 2005, numero 8264 Cass. 12 giugno 2008, numero 15795 Cass. 9 marzo 2011, numero 5555 . IV -- Conclusioni 3.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione - liquidate nella misura indicata in dispositivo - seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei presente giudizio di cassazione, liquidate in euro 100,00 cento/O0 per esborsi, euro 3500,00 tremilacinquecento/00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.