La mancata presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio ordinario, nel quale il giudice accolga una richiesta di patteggiamento riformulata dall’imputato, non determina la revoca della costituzione di parte civile qualora le conclusioni siano state rassegnate dalla stessa parte nel corso della precedente udienza nella quale altra richiesta di patteggiamento era sta rigettata, rimanendo quelle conclusioni valide, in quanto tali, in ogni stato e grado del processo, in virtù del principio di immanenza della costituzione di parte civile.
Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 44906 del 7 novembre 2013. La parte civile e le sue spinose questioni. Che le vicende relative alla parte civile siano da sempre, e forse per sempre, un problema piuttosto spinoso per il processo penale è, per dirla alla Camilleri, “cosa cognita” ai giuristi. Agli albori dell’entrata in vigore del codice di rito, definirlo nuovo dopo un quarto di secolo dalla sua promulgazione mi pare francamente insensato, acuto commentatore Avv. Prof. Ennio Amodio in Commentario del nuovo codice di procedura penale segnalava come la normativa sull’azione civile riparatoria lasciasse scorgere «due principi animatori diversi e configgenti sicché al rafforzamento della parte civile che in uno spirito garantista sembra quasi collocata sullo stesso piano dell’imputato fa riscontro una accentuata tendenza a far rifluire la pretesa risarcitoria fuori dal processo penale». Dunque, concludeva il commentatore, convivevano nell’istituto della parte civile «garantismo e disincentivazione». Strutture all’evidenza antinomiche che dovevano la loro forzata coabitazione all’idea, peraltro anche espressa, di liberare il processo penale dalla presenza, non necessaria della parte civile e dall’incapacità di liberarsi del “peso della tradizione” Partendo da questi presupposti, pacifici per chi abbia voglia di rileggere la storia dell’istituto, il Legislatore del 1988 ha inteso costruire un sistema che, da un lato mostrava evidenti segni di rigidità rispetto ai requisiti ed alle caratteristiche che doveva possedere l’atto con il quale si dichiarava la volontà di costituirsi parte civile da parte dell’offeso o del danneggiato e, dall’altro, affidata all’elaborazione giurisprudenziale la necessaria armonizzazione della norma con gli inevitabili mutamenti del quadro sociale ed economico destinati certamente ad influire ed a riflettere i propri effetti sul e nel processo penale. Riconosciuto il ruolo della Giurisprudenza, quale parte necessaria ed insostituibile nella costruzione di un sistema giuridico capace di adattarsi “ai tempi”, il Legislatore del 1988 sognava di confrontarsi con Giudici vogliosi di riportare il processo penale nell’alveo che gli era proprio, ovvero di accettare, tutelare e promuovere, quel “doppio binario” della giurisdizione che, introdotto con l’articolo 3 del codice di rito, segnava una vera e propria rivoluzione rispetto al tradizionale principio dell’unicità del giudicato. Insomma il legislatore sognava una pronuncia penale che potesse anche porsi in contrasto con una pronuncia civile senza che ciò suscitasse scandalo alcuno. Il principio di “immanenza” della parte civile nel processo penale. Del resto se differenti sono le regole probatorie e processuali che governano i riti, ben diversi possono essere gli epiloghi cui giungono i procedimenti. Purtroppo la vicenda processuale inerente la parte civile ha, tra qualche alternanza di indirizzo e perplessità interpretativa si pensi alle vicende relative alla necessità di procura notarile, a quella inerente la sussistenza nel medesimo atto di costituzione della procura speciale, all’indicazione della procura speciale, ai requisiti richiesti per la ammissione della parte civile etc. , avuto corso differente ed a fronte della dichiarata esigenza di “confinare” la parte civile rendendone di fatto difficoltoso l’ingresso nel processo, si è giunti a pronunciare circa l’esistenza di un principio di “immanenza” della parte civile nel processo penale che ha genesi esclusivamente giurisprudenziale. Non esiste traccia della volontà del Legislatore di dichiarare immanente, ovvero sempre presente anche quando assente, la parte civile nel processo penale. Anzi, la norma pare deporre in totale senso opposto. Le formalità previste dal codice che mi pare di poter dire costituiscono una sorta di unicum codici stico segnalano semmai l’esistenza di un principio opposto o la parte civile fa espressamente e pedissequamente quanto le è imposto, ivi compreso il rassegnare le conclusioni scritte al termine della discussione, o, ex lege, essa non viene più considerata parte processuale. Francamente l’esistenza del principio enunciato, con la canonica ed ufficiale precisazione d’essere “principio di diritto” non mi pare trovi altro appiglio rispetto alle valutazioni effettuate dalla Giurisprudenza che, in punto, ha davvero stravolto non solo i principi codicistici ma anche quelli enunciati dal Legislatore con la promulgazione della Legge Delega. Oggi, alla luce del principio di diritto, sarebbe sufficiente costituirsi parte civile in una qualsiasi fase processuale, avendo cura di annotare e formulare le conclusioni nell’atto, per essere considerato parte processuale in ogni stato e grado del procedimento penale. Senza più doversi curare di seguire neppure il processo. Insomma, salita sul treno la parte civile, senza che vengano richieste particolari modalità o formalità per l’acquisto del biglietto, non ne scende più, avendo, quale unico obbligo, quello di attendere la pronuncia. Non essendo obbligata ad alcuna attività contravvenendo così anche a quel secondo antinomico presupposto che voleva la parte civile quale attiva parte processuale capace di sostenere quella che veniva, con termine davvero meraviglioso, qualificata “accusa privata”. Siamo partiti con un’idea codice accusatorio che ha partorito un codice che aveva delle evidenti discrasie rispetto all’idea originale e finiti, grazie all’opera della giurisprudenza, ad applicare norme, non scritte, che almeno in questo caso, non tengono conto né dell’una idea né dell’altro codice .
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 ottobre - 7 novembre 2013, numero 44906 Presidente Serpico – Relatore Aprile Ritenuto in fatto e considerato in diritto 1. Con la sentenza sopra indicata il Tribunale di Treviso disponeva, ai sensi dell'articolo 444 cod. proc. penumero , l'applicazione della pena di giorni venti di reclusione ed Euro 120,00 di multa nei confronti di D F. in relazione al reato contestatogli di cui all'articolo 388, commi 3 e 4, cod. penumero . Rilevava il Tribunale come nessuna statuizione dovesse essere adottata con riferimento alle spese sostenute dalla parte civile P.L. in quanto la stessa aveva formulato le sue conclusioni in una precedente udienza, nella quale altra richiesta di patteggiamento era stata rigettata per erroneo calcolo della pena, e non l'aveva reiterata nella successiva udienza fissata per il prosieguo del processo. 2. Avverso tale sentenza ha presentato ricorso la parte civile P. , con atto sottoscritto dal suo difensore e procuratore speciale avv. Flavio Tibaldo, il quale ha dedotto i seguenti tre motivi. 2.1. Violazione di legge, in relazione agli articolo 444 e 76 cod. proc. penumero , per avere il Tribunale erroneamente disatteso la richiesta di liquidazione delle spese di difesa avanzata dalla parte civile nella precedente udienza, che aveva conservato validità per il principio di immanenza della costituzione. 2.2. Abnormità della sentenza gravata, per avere il Tribunale accolto la richiesta di applicazione della pena reiterata nel corso del giudizio, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, laddove l'istanza non era ammissibile in quanto non si trattata di reiterazione di precedente richiesta rigettata dal giudice per le indagini preliminari. 2.3. Abnormità della sentenza, per avere il Tribunale ritenuto la fondatezza della richiesta di applicazione di pena benché fosse errato il calcolo della pena e la valutazione delle circostanze, anche in relazione al comportamento tenuto dall'imputato ed ai precedenti penali dello stesso. 3. Con conclusioni rassegnate per iscritto il 25/06/2013 il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Enrico Delehaye, ha chiesto l'annullamento della sentenza con rinvio limitatamente all'omessa liquidazione delle spese sostenute dalla parte civile. 4. Ritiene la Corte che il ricorso sia fondato, nei limiti di seguito precisati. 4.1. Il secondo motivo del ricorso è manifestamente infondato, in quanto, per un verso, il reato per il quale si procedeva nei riguardi dell'imputato era tale da consentire l'esercizio dell'azione penale mediante l'emissione del decreto di citazione diretta a giudizio ai sensi degli articolo 550 e segg. cod. proc. penumero , di talché la richiesta di applicazione di pena non poteva che essere formulata per la prima volta dinanzi al giudice del dibattimento ed in quanto, per altro verso, è pacifico che la richiesta di patteggiamento, laddove non abbia ricevuto il consenso del P.M. o - come nella specie è accaduto - sia stata rigettata dal giudice, ben possa essere riformulata, in termini diversi da quella della precedente istanza, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado in questo senso Sez. 6, numero 20794 del 19/01/2010, Lazhar, Rv. 247361 Sez. 3, numero 28641 del 28/05/2009, Fontana, Rv. 244581 . 4.2. Il terzo motivo del ricorso è inammissibile. Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale l'impugnazione della parte civile non può essere diretta ad ottenere una modifica delle statuizioni penali, limitando l'articolo 576 cod. proc. penumero il potere di impugnazione della stessa ai capi della sentenza di condanna riguardanti l'azione civile nonché alle sentenze di proscioglimento così, ex plurimis, Sez. 3, numero 5860/12 del 12/10/2011, C, Rv. 252120 . Alla stregua di tale regola, che risponde al principio di tassatività vigente in materia di impugnazioni, deve escludersi l'ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dalla parte civile nella parte in cui viene posta in discussione la correttezza delle statuizioni penali. 4.3. È, invece, fondato il primo motivo del ricorso. Nel sistema del codice di procedura penale vige il principio della c.d. immanenza della costituzione della parte civile, nel senso che il danneggiato che abbia esercitato l'azione civile nell'ambito del processo penale, conserva la qualità di parte in tutti gli stati e gradi del processo, senza necessità di ulteriori adempimenti ricognitivi. È considerato corollario di tale principio la regola per la quale non può essere qualificata come revoca tacita o presunta della costituzione di parte civile la mancata comparizione della stessa nel corso della fase finale del giudizio, salvo che la medesima assenza non si traduca nella mancata presentazione delle conclusioni, così come espressamente stabilito dall'articolo 82, comma 2, cod. proc. penumero Da tanto consegue che non costituisce una manifestazione tacita o presunta di revoca la mancata partecipazione della parte civile ad una mera udienza interlocutoria ovvero la mancata presentazione delle conclusioni laddove queste siano state rassegnate in una precedente fase o in un precedente grado del giudizio così, ad esempio, il giudice è tenuto a pronunciarsi sull'azione civile in sede di legittimità, se la parte civile non è comparsa, ma aveva rassegnato le sue conclusioni nei gradi precedenti in questo senso Sez. 5, numero 35096 del 04/05/2010, Lakhlifi, Rv. 248398 nel giudizio di secondo grado se la parte civile, benché assente, aveva formulato le sue conclusioni nel giudizio di primo grado così, tra le diverse, Sez. 2, numero 24063 del del 20/05/2008, Quintile e altro, Rv. 240616 nel giudizio di rinvio, a seguito di annullamento della pronuncia di appello, se la parte civile aveva presentato le sue conclusioni sempre nel giudizio di prime cure così, ex multis, Sez. 6, numero 48397 del 11/12/2008, Russo e altro, Rv. 242132 ed anche se non compare nella discussione finale nel corso del giudizio abbreviato, se la parte civile aveva accettato tale rito speciale ed aveva già formulato le sue conclusioni in precedenza in forma scritta così Sez. 3, numero 6249/11 del 22/12/2010, N., Rv. 249533 . Può essere, dunque, enunciato il principio di diritto per il quale la mancata I presentazione delle conclusioni scritte nel giudizio ordinario, nel quale il giudice accolga una richiesta di patteggiamento riformulata dall'imputato, non determina la revoca della costituzione di parte civile qualora le conclusioni siano state rassegnate dalla stessa parte nel corso della precedente udienza nella quale altra richiesta di patteggiamento era stata rigettata, rimanendo quelle conclusioni valide, in quanto tali, in ogni stato e grado del processo, in virtù del principio di immanenza della costituzione di parte civile. Alla luce di questi criteri ermeneutici va ritenuta non corretta la decisione del Giudice a quo di non pronunciarsi, con la sentenza di accoglimento della richiesta di applicazione di pena avanzata dall'imputato F. , con il consenso del P.M., sulla istanza di liquidazione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile P. , da questi avanzata nella precedente udienza. La sentenza impugnata deve essere, dunque, annullata con rinvio al Tribunale di Treviso che, in diversa composizione, deciderà sulla richiesta di liquidazione delle spese di difesa sostenute dalla parte civile. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla liquidazione delle spese in favore della parte civile e rinvia, per la decisione sul punto, al Tribunale di Treviso. Rigetta nel resto il ricorso.