I figli non possono essere rimpatriati dal padre se il genitore ha un’insana passione per le armi unita ad una depressione.

In caso di sottrazione di minore, il rimpatrio può essere negato se il bambino corre il rischio di essere esposto a pericoli fisici o psichici a causa della situazione del genitore che se ne dovrebbe occupare.

Così ha stabilito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 16904, depositata il 19 agosto 2015. Il caso. Il PM presso il Tribunale dei Minorenni chiedeva l'accoglimento della domanda avanzata da un padre di restituzione dei figli minori, indebitamente sottratti dalla madre. Il Tribunale adito respingeva il ricorso, ritenendo che i minori non avessero la residenza abituale, intesa come centro dei loro riferimenti affettivi e culturali, nella località estera dalla quale erano stati trasferiti in Italia, e che sussistessero fondati rischi per i minori di essere esposti a pericoli fisici e psichici in caso di rimpatrio, in ragione delle condizioni piscofisiche del padre, in cura psichiatrica, e della “inquietante” passione per le armi da fuoco dimostrata dal genitore. Ricorreva dunque per Cassazione il genitore cui erano stati sottratti i figli. La residenza abituale. La Corte di Cassazione non ha ritenuto legittimo il provvedimento impugnato nella parte in cui non ha riconosciuto nella località estera ove il nucleo famigliare viveva stabilmente, prima dell'allontanamento della madre con i figli, la residenza abituale dei minori ai sensi dell'articolo 4 della Convenzione dell'Aja del 25/10/1980, resa esecutiva in Italia con la legge 64/1984. E' stata infatti ritenuta sufficiente la prova, raggiunta, della residenza abituale e della frequentazione della scuola materna per integrare il concetto di residenza abituale indicato dalla Convenzione, non ravvisando il Supremo Collegio l'individuazione di ulteriori criteri di accertamento dell'habitat domestico, rispetto a quelli indicati. Trasferimento illecito e rischi del rimpatrio. Di esito diametralmente opposto è stato invece l'esame della Suprema Corte della questione relativa all'opportunità del rimpatrio dei minori a fronte del trasferimento ad opera della madre. Infatti, a norma dell'articolo 3 della Convenzione dell'Aja, si può ritenere illecito il trasferimento del minore, nel caso di genitori regolarmente coniugati e conviventi, allorché uno dei genitori, contro la volontà dell'altro, conduca il figlio minore fuori dallo Stato di residenza dello stesso. L'articolo 13, comma 1, lett. B, della Convenzione, stabilisce altresì che l'autorità giudiziaria o amministrativa dello Stato richiesto non sia tenuta ad ordinare il ritorno del minore nel Paese dal quale è stato sottratto, qualora la persona, l'istituzione, o l'ente che si oppone al rientro dimostri che sussiste un fondato rischio, per il minore, di essere esposto, per il fatto del suo ritorno, a pericoli fisici o psichici, o comunque di trovarsi in una situazione intollerabile. L'accertamento di tali elementi, costituendo indagine di fatto, è sottratta al controllo di legittimità, laddove il ragionamento del Giudice del merito sia sorretto da una motivazione immune da vizi logici e giuridici. Nel caso di specie, la Cassazione ha ritenuto legittimamente motivato il ragionamento del Tribunale dei Minori laddove ha escluso il rimpatrio, ritenendo il padre non idoneo ad accudire i figli a causa dello stato depressivo in cui si trovava sottoposto a cura psichiatrica, anche farmacologica , alla sua passione per le armi da fuoco, sfociata in un incidente nel quale lo stesso genitore è rimasto vittima, nonché alla mancanza di un progetto concreto per l'accoglienza dei figli di cui avrebbe dovuto occuparsi da solo, stante l'avvenuta separazione dei coniugi .