Professionista “bruciato”: va in fumo anche la sua pericolosità sociale

In materia di misure cautelari personali e nel caso di concorso esterno in associazione mafiosa, il professionista “bruciato”, in quanto non più credibile a livello professionale nell’ambito giudiziario, non può ritenersi più persona socialmente pericolosa.

Nessun contributo può apportare un professionista alla permanenza in vita di un’associazione mafiosa nel caso in cui costui sia coinvolto in gravi fatti di reato a causa dei quali abbia perso qualsiasi credibilità ed affidabilità nell’ambiente ove tale contributo avrebbe dovuto essere prestato. È quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza numero 30086/14 depositata il 9 luglio. Il caso. L’indagato, originariamente attinto da una provvedimento custodiale in carcere per avere redatto relazioni e fornito consigli strumentali diretti a comprovare falsamente lo stato di incompatibilità con il regime detentivo di un appartenente ad un sodalizio criminoso, veniva rimesso in libertà dal Tribunale del riesame di Napoli che, richiamati i principi espressi dalla Cassazione nella sentenza numero 32412/2013, prendeva atto come l’indagato difficilmente avrebbe potuto compiere condotte analoghe a quella contestatagli «atteso che egli è ormai “bruciato” come medico e come consulente di parte». Il pubblico ministero proponeva ricorso per cassazione avverso il suddetto provvedimento sulla scorta dei seguenti motivi 1 il Tribunale del riesame non avrebbe esplicitato le ragioni per le quali abbia stimato preferibili i principi espressi nella decisione della Corte di Cassazione numero 32412/2013 rispetto a quelli sanciti nella pronuncia, emessa sempre in sede di legittimità, numero 8158/2010 2 il Tribunale del riesame non avrebbe valutato «in ordine al pericolo di reiterazione rilevabile dai fatti in imputazione recenti e dal comportamento pregresso». Associazione di stampo mafioso o di mero concorso esterno? La Corte di Cassazione, nella decisione summenzionata, ha rigettato il ricorso proposto dalla pubblica accusa. Nel dettaglio, i giudici di Piazza Cavour, hanno innanzitutto fatto presente come il ricorso proposto ruoti «intorno ai criteri di operatività della presunzione prevista dall’articolo 275, comma 3, c.p.p., in caso di misure cautelari da applicare all’indagato/imputato di concorso esterno in associazione mafiosa». Posto ciò, è stata evidenziata la diversa portata applicativa di questa norma giuridica a seconda se ricorre l’ipotesi di partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso o di mero concorso esterno. Difatti, secondo quanto affermato dalla Consulta nella sentenza numero 57/2013 richiamata nella pronuncia in argomento le condotte contigue ad un fenomeno criminoso, quali il semplice impiego del cosiddetto “metodo mafioso” o la finalizzazione della condotta criminosa all'agevolazione di un'associazione mafiosa, «non sono necessariamente equiparabili, ai fini della presunzione in questione, alla partecipazione all'associazione». Nello specifico, i giudici di legittimità costituzionale sono pervenuti a tale considerazione giuridica sia alla luce del criterio di proporzionalità, secondo il quale «ogni misura deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata» articolo 275, comma 2, c.p.p. , sia in virtù dell’«ampio numero dei reati-base suscettibili di rientrare nell'ambito di applicazione del regime cautelare speciale segnala la possibile diversità del “significato” di ciascuno di essi sul piano dei pericula libertatis». Di conseguenza, tale richiamo ha costituito una solida base argomentativa con cui la Corte di Cassazione ha indicato il motivo per cui è stato stimato maggiormente aderente al dettato costituzionale il filone interpretativo cristallizzato nella sentenza numero 32412 ossia quell’indirizzo interpretativo secondo cui, nel caso di concorso esterno, gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità devono consistere in quelli «diretti a sostenere l'impossibilità o l'elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca, ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l'associazione o, ancora, la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale». In effetti, applicando tale principio di diritto, la presunzione di pericolosità viene diversamente considerata «a seconda se trattasi di soggetto appartenente alla societas sceleris» «ovvero di concorrente esterno alla consorteria criminale». Di talchè, alla stregua di tali coordinate ermeneutiche, la Cassazione ha ritenuto legittima l’ordinanza impugnata ritenendo ormai irripetibile la situazione da cui è scaturita la condotta criminale del concorrente esterno «trattandosi di soggetto ha ormai perso qualunque credibilità professionale per l’indiscussa eco della vicenda che difficilmente potrà essere nominato quale perito o consulente di parte». Diverso sarebbe stato ovviamente il caso ove tale vicenda fosse risultata non vera in quanto oggetto di calunnia.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 aprile – 9 luglio 2014, numero 30086 Presidente Agrò – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. F.A. è stato sottoposto a custodia cautelare a partire dal 21 dicembre 2012, in relazione ai reati di cui agli articolo 110, 416 bis cod. pen capo Al , 110, 81 cpv., 374 bis comma 2 cod. penumero , 7 L. numero 203/1991 capo B e 110, 81 cpv., 374 bis comma 2, 61 numero 2 cod. penumero , 7 L. numero 203/1991 capo C , in quanto accusato di avere redatto relazioni e fornito consigli strumentali diretti a comprovare falsamente lo stato di incompatibilità con il regime detentivo di S.G. , componente apicale del c.d. clan dei Casalesi, così da favorirne l'evasione, e di avere così fornito un contributo apprezzabile alla vita dell'associazione. Con provvedimento del 17 gennaio 2014, il Tribunale del riesame di Napoli - in accoglimento dell'appello ai sensi dell'articolo 310 cod. proc. penumero avverso l'ordinanza con la quale il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha rigettato l'istanza di revoca o di sostituzione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di F. - ha disposto la revoca della misura cautelare, con conseguente rimessione in libertà dell'indagato. In via preliminare, il Tribunale ha rilevato come l'appello cautelare investa esclusivamente il tema della sussistenza o permanenza delle esigenze cautelari così come delineate nel provvedimento genetico, rispetto al quale l'indagato ha rinunciato a riesame. Il giudice a quo ha quindi rammentato come, con ordinanza del 3 marzo 2013, lo stesso Tribunale avesse rigettato l'appello avverso una precedente ordinanza di rigetto di revoca o sostituzione della misura ritenendo operante, per il caso di concorso esterno in associazione mafiosa, la presunzione ex articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero di idoneità della sola custodia in carcere, così come ribadito anche dalla Corte Costituzionale con la sentenza numero 57 del 2013, e come l'ordinanza del 3 marzo 2013 fosse poi annullata con rinvio dalla Corte di cassazione affermando un principio diverso. Richiamati i principi espressi dalla Corte di cassazione nella recente sentenza numero 32412 del 2013 - secondo cui, nei confronti del concorrente esterno, la pericolosità sociale può essere superata allorché sia possibile esprimere una prognosi di irripetibilità della situazione che dette luogo al contributo dell'extraneus alla vita della consorteria -, il Tribunale ha evidenziato come per F.A. - che risponde appunto di concorso esterno in associazione di stampo mafioso - difficilmente si potranno riproporre le condizioni che dettero luogo al suo contributo alla vita del sodalizio criminoso, atteso che egli è ormai bruciato come medico e come consulente di parte, vista l'indiscussa eco della vicenda che il coindagato C.G. , elemento di raccordo con S.G. , è tuttora detenuto in forza del medesimo titolo cautelare che si tratta di soggetto incensurato ad ultrasessantenne sottoposto a custodia cautelare da oltre un anno. 2. Avverso il provvedimento ha presentato ricorso il pubblico ministero presso il Tribunale di Napoli, chiedendone l'annullamento per i seguenti motivi 2.1. Inosservanza o erronea applicazione di norma processuale, in particolare dell'articolo 275 cod. proc. penumero , nonché manifesta illogicità della motivazione. Evidenzia il ricorrente come il Tribunale del riesame non abbia esplicitato le ragioni per le quali abbia ritenuto preferibile i principi affermati nella decisione della Corte di cassazione numero 32412 del 2013 a quelli espressi nella pronuncia della stessa Corte numero 8158 del 2010, coerente con la quasi totalità delle pronunce di legittimità. D'altra parte, il ricorrente rimarca che il Tribunale del riesame ha affermato che il pericolo di reiterazione criminosa non può essere fondato solamente sui fatti contestati, ma deve trovare riscontro in comportamenti espressivi di tale pericolo, ma ha poi omesso qualunque valutazione in ordine al pericolo di reiterazione rilevabile dai fatti in imputazione - peraltro relativamente recenti - e dal comportamento pregresso, in particolare ha trascurato di considerare che F. ha operato le falsificazioni delle relazioni sanitarie nel 2011, durante uno dei processi più rilevanti del panorama italiano - quello per le stragi di omissis -, nonostante il suo nome fosse ormai noto per il ruolo ricoperto nella genesi dell'evasione di S.G. , ed ha svolto un'analoga attività a favore di M.E. , componente del gruppo Iovine. A sostegno delle proprie ragioni, il ricorrente ha quindi riportato stralci delle emergenze delle indagini già posti a base del primigenio provvedimento cautelare, insistendo per l'accoglimento del ricorso. 3. Nella memoria depositata ad opponendum, gli Avv.ti Pasquale Coppola e Marco Imbimbo, difensori di fiducia di F.A. , hanno evidenziato come il Tribunale di Napoli abbia fatto corretta applicazione dei principi affermati nella recente sentenza della Corte di cassazione numero 32412 del 2013 - che ha ripreso i principi già affermati nella pronuncia numero 27685 del 2011 -, secondo cui, in caso di concorso esterno in associazione mafiosa, i parametri per superare la presunzione di pericolosità non coincidono con la rescissione definitiva del vincolo associativo, che non v'è mai stato, ma comportano una prognosi in ordine alla ripetibilità o meno della situazione che ha dato luogo al contributo dell'extraneus alla vita della consorteria. I difensori di F. hanno quindi posto in luce come il ricorso del P.G. sviluppi argomenti di merito, del tutto inammissibili in sede di legittimità. 4. In udienza, il Procuratore Generale ha chiesto che il ricorso sia rigettato, mentre i difensori di F.A. hanno richiamato gli argomenti svolti nella memoria difensiva insistendo per la declaratoria di inammissibilità o per il rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato. 1.1. Il ricorso ruota intorno ai criteri di operatività della presunzione prevista dall'articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero in caso di misure cautelari da applicare all'indagato/imputato di concorso esterno in associazione mafiosa. Giova ricordare che l'articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero prevede una doppia presunzione, l'una di carattere relativo, che impone al giudice di ritenere sussistenti le esigenze cautelari nei casi in cui sussistano gravi indizi per taluna delle fattispecie incriminatrici previste dal catalogo della norma, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari , l'altra, assoluta, riguardante la scelta della misura, che rende doverosa l'applicazione della misura di maggior rigore una volta che la presunzione relativa appena delineata non risulti vinta, con un apprezzamento legale e vincolante di adeguatezza della sola custodia carceraria a fronteggiare le esigenze presupposte, e conseguente esclusione di ogni soluzione intermedia tra questa e lo stato di piena libertà dell'imputato. A seguito di plurimi scrutini di costituzionalità, l'ambito della presunzione è stato fortemente ridotto ed, in particolare, con la sentenza numero 57 del 2013, il giudice delle leggi ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l'articolo 275, comma 3, secondo periodo, cod. proc. penumero nella parte in cui prevede una presunzione assoluta di idoneità della sola custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari, allorché sussistano gravi indizi di colpevolezza in ordine a reati aggravati ai sensi dell'articolo 7, D.L. numero 152 del 1991 aggravante del c.d. metodo mafioso o al fine di agevolare le attività delle associazioni previste dall'articolo 416-bis cod. penumero e, per tali casi, ha quindi fatto salva la possibilità per il giudice di ritenere fronteggiabili le esigenze cautelari con altre misure, sulla base di elementi specifici relativi al caso concreto. Nell'argomentare tale conclusione, la Corte Costituzionale ha posto in luce come, in una materia come quella de libertate - improntata ai criteri della individualizzazione della risposta cautelare e del minore sacrificio necessario , sì da garantire che la compressione della libertà personale sia contenuta entro i limiti minimi indispensabili a soddisfare le esigenze cautelari del caso concreto - le presunzioni risultano arbitrarie ed irrazionali se non rispondono a dati di esperienza generalizzati riassunti nella formula dell'id quod plerumque accidit, cioè se la legge scientifica trasfusa nella disposizione non sia tale da coprire ogni situazione concreta, se dunque non abbia una solida base statistica tale da giustificare, in termini percentualmente significativi, la deroga alle disposizioni di carattere generale in materia. Tanto premesso, la Corte regolatrice ha disconosciuto l'esistenza di una congrua base statistica a sostegno della presunzione censurata con riguardo all'autore dei delitti commessi avvalendosi del cosiddetto metodo mafioso o al fine di agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso, delle quali egli non faccia parte, chiarendo expressis verbis come, di contro, la presunzione delineata dall'articolo 275, comma 3, cod. proc. penumero risponda a dati di esperienza generalizzati nei casi del soggetto associato o del concorrente esterno all'associazione. 1.2. Sulla scorta dei principi affermati dalla Corte Costituzionale nella ricordata sentenza numero 57/2013, la duplice presunzione - relativa e assoluta - prevista dall'articolo 275, comma 3, del codice di rito continua ad operare tanto nel caso di partecipazione ad associazione mafiosa, quanto in quello di concorso esterno in associazione di tipo mafioso. Ne discende che, allorché sussistano gravi indizi di colpevolezza per l'una come per l'altra fattispecie, in forza della presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere, il giudice è tenuto ad applicare la misura di maggior rigore, salvo che, sulla base degli elementi acquisiti, non abbia escluso in radice la sussistenza delle esigenze cautelari. Se non che, ferma questa base comune alle due fattispecie penali, i criteri di giudizio da seguire ai fini della valutazione degli elementi dimostrativi della insussistenza della pericolosità sociale divergono a seconda se si tratti di partecipazione ad associazione mafiosa ovvero di concorso esterno nel reato associativo. Come questa Corte ha avuto modo di ribadire anche nella recente pronuncia numero 32412 del 27 giugno 2013 rie. Cosentino riprendendo i principi affermati nella precedente Sez. 6, 8 luglio 2011, numero 27685, Mancini Rv. 250360 Sez. 6, 21 ottobre 2010, numero 42922, Lo Cicero , mentre per il partecipe all'associazione di tipo mafioso la presunzione di pericolosità sociale che, a norma dell'articolo 275, comma 3, impone la misura della custodia cautelare in carcere, può essere superata soltanto quando risulti concretamente dimostrato che l'associato abbia stabilmente rescisso i suoi legami con l'organizzazione criminosa o che comunque ve ne sia allontanato, in caso di concorrente esterno nel reato associativo, gli elementi che si richiedono per superare la presunzione iuris tantum sono diversi e non possono coincidere con quelli del partecipe dal momento che non v'è un affectio societatis da rescindere. Infatti, quale che sia il tipo di relazione che lega il concorrente esterno al sodalizio, sia essa una relazione che si manifesta con condotte occasionali ovvero con contributi sintomatici di una più stretta vicinanza al gruppo, l'indagato resta estraneo all'organizzazione, per cui diversi devono essere gli elementi idonei a superare la presunzione di pericolosità. Riprendendo le considerazioni svolte nella sentenza numero 32412/2013, si tratterà di elementi diretti a sostenere l'impossibilità o l'elevata improbabilità che il concorrente esterno possa ancora fornire un contributo alla cosca, ovvero volti ad evidenziare il venir meno degli interessi comuni con l'associazione o, ancora, la perdita di quegli strumenti che assicuravano di poter contribuire alla sopravvivenza del gruppo criminale, elementi, dunque, che inducano ad esprimere una prognosi di irripetibilità della situazione che abbia dato luogo al contributo dell'extraneus alla vita della consorteria. 1.3. Contrariamente a quanto assume il ricorrente, l'orientamento ermeneutico sopra delineato - ormai stabilizzato nella giurisprudenza di questa Corte - non contravviene al dictum della Corte Costituzionale espresso nella pronuncia numero 57 del 2013, laddove si sviluppa nell'alveo dei principi tracciati dal giudice delle leggi e, mantenendo ferma la duplice presunzione di pericolosità sociale - iuris tantum - e di adeguatezza della sola custodia in carcere - iuris et de iure - per gli indagati dei delitti associativi mafiosi e per il concorso esterno in associazione mafiosa in quanto riconosciuta conforme ai parametri costituzionali, si limita a definire in modo specifico i criteri sulla base dei quali la presunzione di pericolosità sociale possa essere vinta. Criteri che appunto sono differenti a seconda se trattasi di soggetto appartenente alla societas sceleris, rispetto al quale è indispensabile verificare se sia intervenuto lo scioglimento definitivo del vincolo associativo, ovvero di concorrente esterno alla consorteria criminale, rispetto al quale - essendo in tesi esclusa l'intraneità ad essa - è necessario valutare se, sulla scorta degli elementi raccolti, si possa esprimere una prognosi di irripetibilità della situazione dante luogo al contributo dell'agente alla vita dell'associazione. 1.4. Ritiene questa Corte che il Tribunale del riesame napoletano abbia fatto buon governo dei principi espressi da questa Corte nelle citate pronunce numero 32412/2013 e numero 27685/2011 ed abbia ben argomentato, con motivazione completa e coerente, come nei confronti di F.A. - che appunto risponde, non di partecipazione, ma di concorso esterno ad associazione di stampo mafioso - possa essere formulata nell'attualità una prognosi di irripetibilità della situazione che ha dato luogo al contributo dell'extraneus alla vita della consorteria. In particolare, i giudici della cautelare hanno evidenziato sia l'irripetibilità delle condizioni che dettero luogo al suo contributo alla vita del sodalizio criminoso - trattandosi di soggetto ha ormai perso qualunque credibilità professionale per l'indiscussa eco della vicenda e che difficilmente potrà essere nominato quale perito o consulente di parte, ed essendo tuttora detenuto il coindagato C.G. , trait d'union fra l'indagato F. e l'associazione sia l'effetto deterrente dispiegato dal provvedimento custodiale cautelare, applicato per un significativo arco temporale, nei confronti di un soggetto incensurato ad ultrasessantenne. L'apparato logico argomentativo del provvedimento impugnato è dunque corretto in diritto, in quanto conforme ai principi espressi da questo giudice di legittimità in linea con le indicazioni provenienti dalla Corte Costituzionale, nonché completo e conforme a condivisibili massime d'esperienza. Risponde invero all’id quod plerumque accidit che un professionista coinvolto in così gravi fatti di reato in quanto accusato di avere redatto relazioni ideologicamente false dirette a comprovare lo stato di incompatibilità con il regime detentivo di un componente apicale di un clan camorristico difficilmente potrà essere nuovamente chiamato dal clan a svolgere attività di consulente tecnico, trattandosi di soggetto ormai privo di qualunque credibilità ed affidabilità nell'ambiente giudiziario, che nessun contributo può pertanto realisticamente assicurare alla permanenza in vita dell'associazione mafiosa. Altrettanto conforme a solide massime d'esperienza è la valutazione espressa in relazione agli ulteriori elementi fattuali, laddove sono certamente suscettibili di incidere in senso favorevole sul giudizio in punto di pericolo di reiterazione criminosa sia il tempo trascorso nello stato di custodia in carcere, che allontana lo stimolo alla commissione di altri illeciti Cass. Sez. 3, numero 744 del 23/02/1998, Massaro A., Rv. 210515 sia l'assenza di precedenti penali che - a mente del disposto dell'articolo 274, comma 1 lett. c , cod. proc. penumero - devono essere oggetto di specifico vaglio da parte del giudice in quanti illuminanti della personalità dell'indagato da sottoporre a misura cautelare sia il superamento dell'età di settanta anni, situazione rispetto alla quale lo stesso legislatore ha previsto - nell'articolo 275 comma 4, cod.proc. penumero - l'incompatibilità con il regime carcerario, senza che sia necessario accertare la sussistenza di infermità particolarmente gravi. La conclusione cui è pervenuta la Corte territoriale nel formulare una prognosi di irripetibilità della situazione che rendeva possibile il contributo dell'estraneo alla vita della consorteria risulta dunque conforme a diritto ed immune da vizi logico argomentativi. 2. Inammissibile è poi il ricorso nella parte in cui il ricorrente sottopone a questa Corte le risultanze delle investigazioni ampi stralci di intercettazioni, dichiarazioni e atti di P.G. a dimostrazione della erroneità della valutazione compiuta dal giudice del provvedimento impugnato, con ciò chiamando questo giudice ad una nuova lettura delle emergenze d'indagine e dunque ad una vantazione di merito, del tutto preclusa dalle funzioni di legittimità. P.Q.M. rigetta il ricorso.