Non sono dovuti i contributi previdenziali e, se corrisposti dal datore all’ente previdenziale, sono ripetibili, per il periodo che va dalla reintegrazione giudiziale del lavoratore licenziato alla sentenza che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento. Ciò vale anche quando in detto periodo, il lavoratore non abbia reso la prestazione, pur avendola offerta, in quanto il datore di lavoro non l’ha riammesso in servizio, a fronte della regolare corresponsione della retribuzione.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza 12124/2015, depositata l’11 giugno 2015. Diverse interpretazioni di un unico licenziamento Il caso sottoposto all’attenzione della Corte di Cassazione riguarda un licenziamento individuale, intimato nell’ambito della tutela reale. I giudici di merito avevano accertato l’illegittimità del licenziamento, ordinando, quindi, la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Il lavoratore si rendeva disponibile a riprendere il servizio, ma di fatto non prestava alcuna attività lavorativa, poiché il datore di lavoro si rifiutava di riammetterlo in azienda, a fronte della regolare corresponsione della retribuzione. Il giudizio relativo alla legittimità del licenziamento giungeva sino alla Corte di Cassazione, che dichiarava la legittimità del licenziamento. Se cade la reintegrazione, cadono retribuzione e contribuzione. La questione posta alla Corte di Cassazione, nella sentenza in commento, riguarda la sorte dei contributi previdenziali versati nel periodo intercorrente tra la reintegrazione giudiziale del licenziato e la sentenza di legittimità che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento. Posto che i contributi sono stati regolarmente versati e che la causa giustificatrice del versamento reintegrazione è venuta meno, bisogna capire se essi siano ripetibili. Il dubbio sorge dalla peculiarità del caso di specie, ove non vi è stata propriamente una prestazione lavorativa su pagamento di somme di natura retributiva, ma solo una parziale esecuzione da parte del datore di lavoro di un provvedimento giudiziale non definitivo . In altri termini, il datore di lavoro ha pagato somme – a titolo di retribuzione – senza ricevere la prestazione lavorativa. È dubbia, quindi, l’applicazione della norma generale di cui all’articolo 2126 c.c., secondo cui la nullità e l’annullamento del contratto di lavoro fa salve le retribuzioni percepite durante il periodo di esecuzione della prestazione lavorativa, a meno che che la nullità derivi da illiceità della causa o dell’oggetto. La Corte di Cassazione si discosta dal precetto della norma civilistica ed afferma che la caducazione del titolo alla base della reintegrazione, comporta la caducazione delle prestazioni sia retributive che contributive. In altri termini, essendo il licenziamento legittimo, il precedente diritto/obbligo di reintegrazione viene meno e, quindi, il lavoratore avrà l’obbligo di restituire le retribuzioni medio tempore ricevute ed analogamente, il datore di lavoro avrà diritto a chiedere la ripetizione all’INPS dei contributi versati. Una volta dichiarato legittimo il licenziamento, il versamento dei contributi costituisce un indebito per l’Istituto di previdenza. In sostanza, così come non compete al lavoratore il diritto alla retribuzione, non sorge in capo al datore di lavoro l’onere contributivo, essendo la retribuzione il presupposto giuridico per la contribuzione articolo 6 d.l. numero 636/1939. Le somme erogate dopo la reintegrazione hanno natura risarcitoria e non retributiva. La decisione in commento è in linea con i consolidati orientamenti della Cassazione che aveva già specificato come tutti gli importi erogati dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di detta decisione, costituisco ai sensi dell’articolo 18 Statuto dei Lavoratori un risarcimento del danno e non una retribuzione! , pertanto, in quanto tali sono interamente ripetibili quando la sentenza del grado superiore escluda l’illegittimità del licenziamento intimato. Ecco perché non si applica l’articolo 2126 c.c. al caso di specie le somme corrisposte dal datore di lavoro al lavoratore dopo la reintegrazione fittizia non hanno natura retributiva, ma sono versate a titolo di risarcimento del danno, cagionato da un licenziamento ritenuto – inizialmente - illegittimo. A seguito della sentenza definitiva della Corte di Cassazione, che ha ritenuto il licenziamento legittimo, è venuto meno l’illecito e le somme percepite a titolo di risarcimento costituisco un indebito, suscettibile, in quanto tale, di ripetizione.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 3 marzo – 11 giugno 2015, numero 12124 Presidente Macioce – Relatore Buffa Svolgimento del processo Il lavoratore, licenziato il 28/7/97, ripreso il rapporto con pagamento della retribuzione, ma senza prestazione di lavoro, nonostante l'offerta della stessa nel periodo seguente fino al 31/10/03 per effetto di reintegrazione giudiziale poi annullata dalla Cassazione, chiedeva la condanna dell'INPS al pagamento della pensione di anzianità, negatagli dall'Istituto sul presupposto dell'incapienza contributiva relativamente al periodo successivo al licenziamento, per il quale il datore di lavoro aveva chiesto di ripetere quanto versato a titolo di contributi. Con sentenza 25/10/07, la corte d'appello di Palermo, confermando la sentenza del 29/3/2005 del tribunale di Trapani, ritenuta la natura risarcitoria delle somme versate nel periodo in questione dal datore di lavoro, ha escluso la computabilità dei periodo lavorato a fini pensionistici. Avverso tale sentenza ricorre il lavoratore con due motivi, illustrati da memoria resiste la società con controricorso l'INPS è rimasto intimato, partecipando alla sola udienza di discussione. Con il primo motivo di ricorso si deduce ai sensi dell'articolo 360 numero 3 c.p.c. violazione dell'articolo 18 Stat. Lav., per avere trascurato la natura retributiva delle somme corrisposte sulla base di reintegra eseguita poi venuta meno giudizialmente, e conseguentemente la loro irripetibilità. Con il secondo motivo si lamenta ai sensi dell'articolo 360 numero 4 c.p.c. , violazione degli articolo 18 stat. Lav., 2126 e 1362 c.c., per le ragioni indicate nel motivo che precede. Motivi della decisione Le parti controvertono sulla questione se siano dovuti i contributi previdenziali per il periodo che va dalla reintegrazione giudiziale del lavoratore licenziato alla sentenza nella specie, di legittimità che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento. Occorre premettere peraltro, che, secondo quanto risulta dagli atti, nel detto periodo il lavoratore non ha reso la prestazione, pur avendola offerta, in quanto il datore di lavoro gli ha corrisposto la retribuzione senza ammetterlo al lavoro. Non vi è stata dunque prestazione lavorativa con pagamento di somme con natura retributiva ipotesi nella quale potrebbe trovare applicazione estensiva l'articolo 2126 cod. civ., con conseguente consolidamento dei contributi versati sulla posizione contributiva del lavoratore , ma solo una parziale esecuzione da parte del datore di un provvedimento giudiziale non definitivo ma provvisoriamente esecutivo , senza che ciò abbia comportato una prestazione lavorativa di fatto. Ne deriva, a giudizio del collegio, che la successiva caducazione del titolo alla base della reintegrazione importa -quale che sia la qualificazione giuridica delle somme corrisposte l'obbligo del lavoratore di restituire le retribuzioni medio tempore corrisposte. Infatti, se la valutazione della fattispecie deve operarsi in relazione a quanto accertato dall'ultima sentenza, e dunque in termini di legittimità del licenziamento, non può che restare irrilevante che la mancata prestazione di lavoro sia derivata da scelta dei datore, in quanto l'iniziale ricostruzione della fattispecie in termini di inadempimento datoriale a quello che era un originario obbligo di riammissione dei lavoratore non può che cedere il passo una volta che, ex post, il detto obbligo non e più configurabile}. Analogamente, i termini del problema non mutano anche a considerare l'eventuale adempimento medio tempore da parte del lavoratore degli obblighi accessori del rapporto derivanti dalla ricostituzione dell'impegno contrattuale esclusivo dei lavoratore verso il datore, atteso che il lavoratore che esegue la sentenza esecutiva, ma non definitiva a lui favorevole lo fa a proprio rischio e pericolo, sicché, ove sarà poi dimostrata la legittimità del recesso datoriale, eventuali effetti irreversibili derivati dalla provvisoria ricostituzione dei rapporto di lavoro resteranno a suo carico. Correlativamente, una volta affermato l'obbligo dei lavoratore di restituire le retribuzioni medio tempore corrisposte, non può che ritenersi che a decorrere dal licenziamento successivamente dichiarato legittimo viene meno altresì l'obbligo contributivo dei datore di lavoro, che si ricollega per legge articolo 6 d.l. numero 636/1939, conv. in I. numero 1272/39 al pagamento della retribuzione, nella quale ha il proprio presupposto giuridico oltre che il proprio riferimento ai fini della quantificazione dei dovuto . Il datore che abbia provveduto al pagamento dei contributi potrà ripeterli in quanto una volta che il licenziamento è dichiarato legittimo il pagamento va qualificato come indebito. Tale soluzione è in linea con la giurisprudenza di questa Corte Sez. L, Sentenza numero 11091 del 26/05/2005 che ha affermato, con specifico riferimento alla materia contributiva, che, in caso di rinuncia, in appello, agli effetti della sentenza di reintegrazione pronunciata in primo grado, il rapporto di lavoro deve ritenersi estinto dalla data dei licenziamento restando escluso qualsiasi diritto alle retribuzioni nel periodo intercorso fino alla sentenza ne consegue l'esclusione anche dell'obbligo contributivo, in conseguenza dell'estinzione del rapporto di lavoro determinato dal licenziamento, la cui efficacia è stata confermata con la rinuncia all'impugnazione. Il principio è peraltro una conseguenza indiretta della ripetibilità della retribuzione corrisposta nella descritta situazione, principio consolidato In sede di legittimità, essendosi ripetutamente affermato Sez. L, Sentenza numero 4943 dei 01/04/2003 Sez. L, Sentenza numero 1.6037 del 17/08/2004 Sez. L, Sentenza numero 8263 del 17/06/2000 Sez. L, Sentenza numero 7543 del 30/03/2006 che tutti gli importi erogati dal datore di lavoro in esecuzione della sentenza che ordina la reintegrazione del lavoratore licenziato, anche per il periodo successivo alla data di detta decisione, costituiscono, al sensi dell'articolo 18 della legge numero 300 del 1970 nel nuovo testo introdotto dalla legge numero 108 del 1990 risarcimento dei danno derivante dall'illegittimo licenziamento e come tali sono interamente ripetibili a seguito della sentenza di riforma in appello che esclude con effetto immediato l'illecito e l'obbligo di risarcimento con riferimento alla ripetibilità delle somme corrisposte in esecuzione di un provvedimento d'urgenza ante causam , emanato ai sensi dell'articolo 700 cod. proc. civ., successivamente revocato dalla sentenza di merito che accerti la legittimità dei recesso, Sez. 6 L, Ordinanza numero 15251 del 03/07/2014 nel senso, invece, che, nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo ai sensi del 'articolo 18 legge numero 300 dei 1970, il rapporto di lavoro prosegue, anche in assenza di effettive prestazioni lavorative, fino al momento della reintegra dei lavoratore licenziato ovvero fino alla transazione eventualmente intervenuta successivamente alla sentenza di reintegra che pone termine al rapporto, e nel senso che ne consegue, in tale ultima ipotesi, che il datore di lavoro è obbligato a pagare i contributi previdenziali sulla somma corrisposta al lavoratore, comunque qualificata nella sede transattiva, e fino ad un ammontare corrispondente alla misura della retribuzione dovuta in base al contratto di lavoro, Sez. L, Sentenza numero 3487 dei 07/03/2003, Rv. 560997 e Sez. L, Sentenza numero 5639 del 17/04/2001, Rv. 545976 . Può dunque affermarsi che non sono dovuti i contributi previdenziali e se corrisposti dal datore all'ente previdenziale, essi sono ripetibili per il periodo che va dalla reintegrazione giudiziale dei lavoratore licenziato alla sentenza che dichiara definitivamente legittimo il licenziamento, ove nel detto periodo il lavoratore non abbia reso la prestazione, pur avendola offerta in quanto il datore di lavoro gli ha corrisposto la retribuzione senza ammetterlo al lavoro . In presenza della scopertura contributiva relativa al periodo in questione, è pacifico che al lavoratore non competeva la prestazione previdenziale richiesta per difetto dei requisito contributivo, mentre per altro verso deve escludersi l'operatività del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, previsto per il caso in cui il datore non corrisponda i contributi, riferendosi il principio a somme omesse ma pur sempre dovute dal datore. Il ricorso deve dunque essere rigettato. Le spese di lite possono essere compensate, attesa la novità della specifica questione trattata relativamente all'obbligo contributivo datoriale. P.Q.M. rigetta il ricorso e compensa le spese.