In tema di riparazione per l’ingiusta detenzione, per essere ostativa al riconoscimento dell’indennizzo, la condotta gravemente colposa deve avere in sé la potenzialità di indurre in errore l’A.G. in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di reità specificamente per il reato che ha fondato il vincolo cautelare.
Questa la statuizione dalla sez. V Sezione della Cassazione penale sentenza numero 33830/15 depositata il 31 luglio in tema di riparazione per ingiusta detenzione. Il caso di specie prima detenuto poi assolto. L’odierno ricorrente, sottoposto a custodia cautelare in carcere per quasi un anno e mezzo con l’accusa di aver partecipato ad una associazione dedita al traffico di stupefacenti, viene prosciolto in sede di merito. Attraverso il proprio difensore egli avanza, dunque, ai sensi dell’articolo 314 c.p.p., istanza per ottenere un equo indennizzo per il periodo di detenzione ingiustamente patito. Sulla richiesta del prevenuto si abbatte tuttavia implacabile la mannaia della Corte di appello che individua una condotta gravemente colposa del ricorrente, che avrebbe dato causa alla emissione della ordinanza di custodia cautelare a suo carico. Nel dettaglio, secondo la Corte di appello, il ricorrente aveva avuto ambigue frequentazioni e specificamente aveva frequentato due fratelli, noti esponenti di una famiglia camorristica, mettendo, come si evinceva da un’unica, ma eloquente captazione telefonica, a loro disposizione i propri servigi. A tale condotta si aggiungeva il rilievo che, in sede di interrogatorio di garanzia, l’allora detenuto non aveva chiarito in modo esauriente il proprio atteggiamento e la condotta serbata. Il campo di operatività della riparazione. La decisione sul ricorso proposto dall’interessato avverso l’ordinanza reiettiva della Corte di appello impone, preliminarmente, alla Corte di Cassazione di soffermarsi a chiarire il campo di operatività della riparazione per ingiusta detenzione. Ricorda, infatti, la Corte che l’articolo 314 c.p.p. prevede due ben distinte ipotesi di riparazione per ingiusta detenzione. La prima si delinea allorché l’interessato si dolga di aver patito un periodo di custodia carceraria o domiciliare e successivamente sia stato prosciolto in modo definitivo dalla accusa che lo aveva portato in carcere. In tale caso il diritto all’indennizzo è subordinato all’assenza di una condotta gravemente colposa o dolosa del soggetto, che abbia dato luogo alla incriminazione da cui è scaturita l’ordinanza applicativa della misura. La seconda ipotesi, invece, tratteggiata nel comma 2, riguarda il caso di custodia cautelare patita in forza di un’ordinanza che successivamente sia stata, con decisione irrevocabile, dichiarata disposta in violazione del dettato degli articolo 273 e 280 c.p.p In tale caso, si noti bene, a nulla rileva l’esito del processo. Anche in tale ipotesi, per contro, come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, occorre verificare se il soggetto, con dolo o colpa grave, abbia dato causa o concorso a dare causa alla misura cautelare poi applicata. Sempre che l’annullamento definitivo dell’ordinanza applicativa non sia avvenuto sulla base di quel medesimo materiale istruttorio utilizzato per l’ordinanza originaria, in tale caso, infatti, vi è la prova che nessuna incidenza ha avuto la condotta gravemente colposa o dolosa del diretto interessato. Verso la soluzione del caso di specie. La trasposizione di tali principi nella vicenda specifica sottoposta al vaglio degli Ermellini porta i giudici della Cassazione ad affermare come sia di tutta evidenza che il caso attenzionato non riguardasse l’affermazione in via definitiva della illegittimità ab origine dell’ordinanza di custodia cautelare, bensì un successivo proscioglimento nel merito. Orbene anche in tale caso, tuttavia, come sopra ricordato, occorre valutare l’incidenza sulla custodia patita di eventuali condotte dolose o gravemente colpose serbate all’epoca dei fatti dal ricorrente, non essendo nel caso de quo , comunque l’assoluzione intervenuta sulla base dell’identico materiale probatorio che aveva portato alla emissione della ordinanza impositiva la custodia cautelare. Nel caso di specie, infatti, secondo i giudici di merito la circostanza che il ricorrente avesse frequentato e si fosse messo a disposizione di due fratelli, noti esponenti di una famiglia camorristica, integrava quella colpa grave ostativa a ogni tipo di indennizzo. Evidenzia, tuttavia, la Cassazione che la custodia cautelare era stata imposta per il solo delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti e mai per l’associazione di stampo mafioso. Ed allora, concludono gli ermellini, non si vede quale nesso causale possa esservi tra una condotta indice di una qualche vicinanza con personaggi legati ad una associazione di stampo camorristico con la gravità indiziaria relativa al delitto di associazione, non di stampo mafioso, ma finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. Una condotta colposa causalmente orientata. Al fine, dunque, di escludere il diritto al riconoscimento della riparazione per ingiusta detenzione non è sufficiente la dimostrazione di una condotta gravemente colposa o dolosa che induca in errore la A.G. circa la sussistenza di un qualsiasi reato, ma occorre che detta condotta abbia indotto in errore la A.G. sulla sussistenza della gravità indiziaria di quello specifico reato per cui in concreto è stata applicata la misura custodiale in quel procedimento penale. Occorre, dunque, che vi sia un ben preciso nesso causale tra la condotta posta in essere con dolo o colpa grave del soggetto e l’attribuzione di responsabilità al medesimo proprio per quel reato per cui solo o in concorso con altri venne applicata la custodia in carcere. Orbene, poiché nel caso di specie era sì ravvisabile una condotta gravemente colposa, ma solo in relazione al delitto di cui all’articolo 416 bis c.p. per cui mai era stata applicata misura custodiale e non anche in relazione al delitto di cui all’articolo 74 d.P.R. numero 309/1990 per cui solo, invero, era stata applicata la custodia carceraria la Cassazione annulla con rinvio l’impugnato provvedimento, accogliendo dunque il ricorso proposto.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 aprile – 31 luglio 2015, numero 33830 Presidente Bianchi – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. D.L., a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, con la quale è stata rigettata la sua istanza di riparazione per l'ingiusta detenzione subita dal 27.2.2009 al 12.8.2010, in relazione al delitto di cui all'articolo 74 T.U. Stup, per il quale era stato assolto con sentenza passata in giudicato il 10.4.2012. La Corte territoriale ha ravvisato l'insussistenza dei presupposti dei diritto alla riparazione di cui all'articolo 314, 10 comma, cod. proc. penumero , in quanto il comportamento dei D. aveva dato corso all'ordinanza di custodia cautelare, individuando gli estremi della colpa grave, preclusiva al riconoscimento dell'indennizzo richiesto. E ciò in quanto il D. aveva avuto ambigue frequentazioni, tali da poter essere interpretate come indizi di complicità infatti, egli aveva avuto frequentazioni con i fratelli Silenzio, soggetti di sicuro spessore criminale e camorristico noto al D., dando la disponibilità dei propri servizi in relazione ad attività illecite di loro interesse. Inoltre il D. in sede di interrogatorio di garanzia e anche successivamente aveva omesso di chiarire il proprio atteggiamento. 2. II ricorrente ha chiesto l'annullamento dell'ordinanza impugnata per violazione dell'articolo 314 cod. proc. penumero , rilevando che - la Corte di Appello ha erroneamente esteso all'ipotesi di cui al secondo comma dell'articolo 314 cod. proc. penumero la rilevanza della colpa ostativa causalmente efficiente rispetto all'adozione della misura cautelare ed ha erroneamente attribuito a tale nozione un'ampiezza che la fa coincidere con la gravità indiziaria - la Corte di Appello ha omesso di spiegare perché il mancato controllo che pur era doveroso per il D. integrasse colpa grave ostativa, erroneamente affermando che la condotta del medesimo integrava il reato di cui all'articolo 416bis cod. penumero , mai causa della cautela - la decisione assolutoria si basa sul medesimo materiale esaminato dal giudice della cautela in sede di emissione dei provvedimento cautelare, posto che né i coimputati né i collaboratori di giustizia dichiaranti hanno mai riferito in merito al D., chiamato in causa sulla scorta di un'unica conversazione oggetto di captazione 22.12.2007 . Considerato in diritto 3. II ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 3.1. L'esponente evoca la superfluità dell'indagine in ordine all'assenza di colpa ostativa quando l'istante prospetti l'ingiusta detenzione secondo la previsione di cui all'articolo 314, co. 2 cod. proc. penumero L'assunto é errato. Com'è noto, l'articolo 314 cod. proc. penumero prende in considerazione due distinte ipotesi una prima, delineata dal comma 1 dell'articolo 31-4 cod. proc. penumero , è quella di una custodia cautelare custodia carceraria come custodia domiciliare , la cui ingiustizia deriva dal semplice dato postumo del definitivo proscioglimento del soggetto con una delle ampie formule in facto o in iure previste. Il riconoscimento del diritto è esplicitamente subordinato alla condizione della inesistenza di una condotta dolosa o gravemente colposa del soggetto causativa o concausativa della custodia stessa cd. ingiustizia sostanziale . La seconda ipotesi, riconosciuta dal secondo comma dell'articolo, è quella di una custodia cautelare, la cui applicazione sia stata accertata, con decisione irrevocabile, non conforme alle previsioni di cui agli articolo 273 e 280 cod. proc. penumero cd. ingiustizia formale . E ciò indipendentemente dall'esito finale del processo di merito. Per tale ipotesi la giurisprudenza di legittimità ha affermato che deve comunque essere valutato se ricorra o meno la circostanza dell'aver dato o concorso a dare causa alla custodia cautelare per dolo o colpa grave opera, siccome condizione ostativa al riconoscimento dei diritto all'equa riparazione per ingiusta detenzione che opera anche in relazione alle misure disposte in difetto delle condizioni di applicabilità previste dagli articolo 273 e 280 cod. proc. penumero cfr. Sez. U, numero 32383 del 27/05/2010 - dep. 30/08/2010, D'Ambrosio, Rv. 247663 . Con l'avvertenza, tuttavia, che quella condizione ostativa non può concretamente operare nel caso in cui l'accertamento dell'insussistenza ab origine delle condizioni di applicabilità della misura avvenga sulla base dei medesimi elementi trasmessi al giudice che ha adottato il provvedimento cautelare, in quanto in tal caso è preclusa la possibilità di valutare l'incidenza della condotta dolosa o colposa dell'imputato, essendo il giudice oggettivamente nelle condizioni di negare o revocare la misura, sicché nessuna efficienza causale in ordine alla sua determinazione può attribuirsi al soggetto passivo Sez. 4, numero 13559 del 02/12/2011 - dep. 11/04/2012, Borselli, Rv. 253319 analogamente Sez. 4, numero 8021 del 28/01/2014 - dep. 19/02/2014, Gennusa, Rv. 258621 . Nel caso di specie non risulta che sia stata accertata definitivamente l'insussistenza ab origine dei gravi indizi di reità in relazione al reato di cui all'articolo 74 d.p.r. numero 309/90 . E peraltro la Corte di Appello ha espressamente affermato Si premette che la decisione assolutoria non si basa sul medesimo materiale esaminato dal giudice della cautela in sede di emissione, essendo stato il materiale implementato dalle dichiarazioni dei numerosi imputati in sede di interrogatorio ex articolo 294 c.p.p. . Pertanto, da un canto, non viene nè rappresentato né documentato che sia stata affermata in via definitiva l'illegittimità ab origine dell'ordinanza cautelare dall'altro, l'asserzione dell'istante circa la fissità del materiale probatorio é in aperto contrasto con quanto si legge nell'ordinanza impugnata e il ricorrente non ha nemmeno contestato quell'affermazione con adeguato corredo documentale . Quanto al secondo profilo del motivo, giova puntualizzare che colpa ostativa e gravità indiziaria sono concetti tra loro non correlati, nel senso che il giudizio in tema di riparazione richiede l'accertamento di una condotta colposa, la quale deve essere fondata su elementi certi ma può persino mancare di qualsiasi connotazione di rilievo penale quel che importa, infatti, non é se essa vale a sostenere l'effetto penale, bensì se vale a giustificare l'intervento solidaristico definito dall'articolo 314 cod. proc. penumero La colpa ostativa, quindi, abbraccia un arco di condotte ben più ampio di quello coincidente con i soli comportamenti di possibile rilevanza penale e a fortiori di quello comprendente i soli comportamenti in grado di determinare l'adozione di una misura cautelare. Se la censura difensiva - invero non esattamente di chiara fattura - intende alludere ad un automatismo operato dalla Corte territoriale, tale per cui la colpa ostativa ricorre solo che sia stata ritenuta la gravità indiziaria, non si può che convenire sulla critica alla decisione che quell'automatismo applichi. Ma nel caso di specie ciò non si può registrare, perché il provvedimento impugnato identifica in autonomia gli estremi della condotta gravemente colposa, anche di seguito descritta. 4. L'ordinanza impugnata si intrattiene sul fatto che il D. aveva avuto una frequentazione non occasionale con ì fratelli Silenzio, nella piena consapevolezza del ruolo dagli stessi interpretato nel panorama criminale dell'area di insistenza che tale frequentazione, emergente dalla conversazione intercettata in ambientale il 22.12.2007, era stata tale da condurre il D. a conoscere in modo non superficiale o generico gli interessi degli stessi e a porsi a loro disposizione per cooperare in funzione di tali interessi. Ed in effetti appare chiaro che la Corte di Appello abbia ritenuto che le frequentazioni ambigue dei D. ed è corretto parlare di `frequentazioni' anche in presenza di una sola conversazione, atteso la capacità di questa di illuminare anche i pregressi rapporti, secondo quanto ritenuto dalla Corte distrettuale siano di per sé stesse nucleo di una colpa ostativa all'indennizzo. Senonchè, così ritenendo, la relazione causale che deve correre tra la condotta dell'interessato e l'adozione della misura cautelare finisce per essere evanescente. Deve considerarsi che la misura è applicata per uno specifico titolo di reato sicchè la stessa condotta enfatizzata dal giudizio per la riparazione dell'ingiusta detenzione deve avere in sé la potenzialità di indurre in errore l'A.G. circa la sussistenza di gravi indizi di reità specificamente per il reato che ha fondato il vincolo cautelare. Né ciò si pone in contraddizione con la possibilità che il comportamento gravemente colposo non attinga il piano della rilevanza penale, secondo quanto sopra rammentato. Infatti, si tratta di piani distinti d'altronde anche il comportamento macroscopicamente imprudente deve esprimere quella efficienza causale che si è dinanzi precisata. Il principio di diritto qui posto può quindi essere formulato nei seguenti termini in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione, per essere ostativa al riconoscimento dell'indennizzo, la condotta gravemente colposa deve avere in sé la potenzialità di indurre in errore l'A.G. in ordine alla sussistenza di gravi indizi di reità specificamente per il reato che ha fondato il vincolo cautelare . 5. Nel caso che occupa il provvedimento impugnato non evidenzia elementi che permettano di porre in correlazione il comportamento del D. alla partecipazione non già ad'associazione per delinquere di stampo mafioso ma ad un'organizzazione finalizzata alla commissione di un numero indeterminato di reati in materia di stupefacenti, sia pure connessa ma in qual modo? all'esistenza di un sodalizio camorristico. Quanto rimarcato dalla Corte di Appello rimanda ad una manifestata disponibilità del D. commerciante a rendere servigi ai fratelli Silenzio sia pure, come non tace la Corte distrettuale, per ingraziarsi gli stessi sì da poter continuare ad operare in quella zona da cui era stato costretto a fuggire °, secondo quanto affermato dalla sentenza assolutoria, dal clan avverso ai Silenzio, quello dei Mazzarella , senza che però venga indicato in ragione di quali elementi si é potuto ritenere che tali servigi potessero essere intesi dall'autorità giudiziaria come collegati allo svolgimento in forma organizzata di traffici di droga piuttosto che come espressivi di una generica manifestazione di disponibilità a favore dell'associazione camorristica. Puntualizzazione essenziale, come correttamente rimarca il ricorrente, dal momento che il provvedimento cautelare trovava ragione unicamente nel reato di cui all'articolo 74 T.U. Stup. e non, come talvolta sembra intendere il giudice territoriale, anche al delitto di cui all'articolo 416bis cod. penumero In conclusione, la Corte di Appello ha omesso di spiegare quale comportamento dei D. integrasse colpa grave ostativa, tale da giustificare il sia pur errato intervento dell'A.G. per il reato di cui all'articolo 74 T.U. Stup. 6. L'ordinanza impugnata merita quindi di essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Napoli, la quale dovrà procedere a nuove esame tenendo conto di quanto sopra evidenziato. P.Q.M. Annulla l'impugnato provvedimento e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Napoli.