Altra pronuncia della Corte di Cassazione sul caso Ilva e, in particolare, sul sequestro dei beni appartenenti alla famiglia Riva, per un valore di 8,1 miliardi di euro.
La fattispecie. La Cassazione, con la sentenza numero 3635 depositata il 24 gennaio 2014, sottolinea che avrebbero dovuto essere estromessi dalla misura cautelare del sequestro a cui erano stati sottoposti i beni della famiglia Riva – per un valore di 8,1 miliardi di euro - le condotte associative precedenti all'entrata in vigore della legge sulle violazioni in materia ambientale del 2011 che ha ampliato le fattispecie punibili. Da verificare se il danno ha generato un profitto. Secondo i Giudici di legittimità, non è possibile dedurre automaticamente che il danno arrecato dallo stabilimento Ilva abbia generato un profitto illecito alle aziende dei Riva. In realtà – precisano i Giudici - è necessario verificare «se quel danno si sia concretizzato anche in un vantaggio patrimoniale oggettivamente riconoscibile perché direttamente scaturente dalla commissione del reato-presupposto». Vantaggio patrimoniale? I beni mobili e immobili della famiglia Riva e delle aziende erano stati posti sotto sequestro sul presupposto che dall'omissione di interventi per limitare l'inquinamento ed i danni ambientali dello stabilimento, l'impresa abbia ricavato un vantaggio patrimoniale. Corretta la doglianza dei ricorrenti, secondo cui «non può confondersi la tassativa nozione di profitto con la quantificazione ‘prudenziale’ dei costi per l'attuazione di obblighi neppure sussistenti all'epoca della condotta». Inoltre, secondo la S.C. bisogna verificare la correlazione causale «tra le diverse violazioni in materia ambientale e le componenti del relativo profitto», che sono stati individuati nell'entità dei risparmi di spesa. In conclusione, i beni sono stati restituiti agli aventi diritto.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 dicembre 2013 – 24 gennaio 2014, numero 3635 Presidente Agrò – Relatore De Amicis