Ricaduta per i postumi dell’infortunio sul lavoro, ma l’assenza è da malattia comune: licenziato

Legittimo, e indennizzato dall’Inail, il primo periodo ‘ai box’. Fatale, invece, il secondo lungo periodo di non operatività del dipendente. Non accolta la tesi difensiva degli effetti ‘a scoppio ritardato’ dell’infortunio subito al lavoro.

Prima un serio infortunio sul lavoro, poi, di conseguenza, una lunga assenza – con relativo indennizzo versato dall’Inail –, in seguito ancora il ritorno all’opera come dipendente, infine il nuovo periodo di riposo forzato per ragioni di salute. Tutto legato, secondo il dipendente, ai postumi provocati dall’incidente. Ma tale visione è smentita in maniera clamorosa, paradossalmente proprio dal lavoratore, che ha motivato, originariamente, i primi giorni del secondo periodo ‘ai box’ come «assenza per malattia comune» di conseguenza, il nuovo, lungo periodo di assenze è valutabile come a sé stante, e, siccome superiore al «periodo di comporto» previsto dal contratto, giustifica il licenziamento adottato dall’azienda. Decisiva anche la comunicazione dell’Inail all’azienda, legittimamente non trasmessa al dipendente. Cassazione, sentenza numero 12563, sez. Lavoro, depositata oggi Assenza. Piani differenti, visioni diverse il primo periodo di assenza del dipendente – 28 marzo-28 dicembre – è frutto dell’«infortunio sul lavoro», come testimoniato anche dall’indennizzo versato dall’Inail il secondo periodo di assenza, invece, è valutabile come «malattia comune». E poiché tale seconda prolungata assenza è superiore al «periodo di comporto», è legittima, sanciscono i giudici della Corte d’Appello, la decisione dell’azienda – ‘Poste Italiane spa’ – di licenziare il dipendente. Corretta, quindi, la decisione dell’azienda di imputare le «assenze» ulteriori, rispetto allo ‘stop’ forzato a seguito dell’infortunio, a «malattia comune». Soprattutto tenendo presente che proprio l’Inail «aveva comunicato che la richiesta di riconoscimento, da parte del lavoratore, della ricaduta connessa al precedente infortunio era stata respinta e che, pertanto, le assenze dal lavoro non erano ricollegabili a detto evento lavorativo». Licenziato. E la visione negativa, per il lavoratore, viene ‘sigillata’ dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, condividono le valutazioni compiute in Corte d’Appello non in discussione, quindi, il licenziamento. Elemento acclarato, per i giudici, difatti, è la «consapevolezza, da parte del lavoratore, della qualificazione dell’assenza, non riconducibile al pregresso infortunio» a sostegno di questa tesi «circostanze significative, quali l’invio di certificati di assenza per malattia comune, la sottoposizione» del lavoratore «a visite di controllo al proprio domicilio da parte dei medici incaricati del servizio, la mancata percezione dell’indennità temporanea erogata dall’Inail e la constatazione che il periodo di assenza era, pertanto, in carico all’Inps». E rispetto a questo quadro, viene valutato come irrilevante il richiamo alla «mancata comunicazione, da parte del datore di lavoro» al dipendente «della determinazione dell’Inail in ordine al mancato riconoscimento della riconducibilità dell’assenza per malattia all’infortunio». Secondo i giudici, in sostanza, è impensabile «opporsi al licenziamento» sostenendo la tesi della «violazione, da parte del datore di lavoro, dell’obbligo contrattuale di correttezza e buonafede, in relazione alla circostanza» che l’azienda «resa edotta del mutamento del titolo di assenza, per comunicazione ricevuta dall’Inail, non abbia formulato un preventivo invito» al dipendente «a riprendere la prestazione lavorativa, pena il recesso».

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 14 aprile – 4 giugno 2014, numero 12563 Presidente Roselli – Relatore Arienzo Svolgimento del processo Con sentenza del 30.12.2010, la Corte di appello di Firenze, in accoglimento dei gravame proposto della s.p.a. Poste Italiane, ritenuto assorbito quello proposto da B.G., rigettava le domande di quest'ultimo anche nei confronti dell'INAIL, domande intese ad ottenere la reintegrazione nel posto di lavoro sul presupposto che il licenziamento era stato intimato il 6 aprile 2004 senza che il periodo di comporto fosse stato superato, per essere le assenze dal lavoro successive al 28.12.2002 conseguenza del subito infortunio sul lavoro. Rilevava la Corte del merito che il 27 marzo 2002 il B. aveva subito un infortunio sul lavoro, a seguito del quale era rimasto continuativamente assente dal lavoro dal 28.3.2002 al 28.12.2002, in tale periodo venendo indennizzato dall'INAIL, che in data 29 dicembre 2002 era ritornato a lavoro rimanendo in servizio fino al 19 gennaio 2003 e che, dal 20 al 25 gennaio 2003, si era assentato per malattia comune, rientrando in servizio i giorni 26 - 28 gennaio ed assentandosi nuovamente in maniera continuativa dal 29 gennaio 2003, con trasmissione alla datrice di lavoro di certificati del proprio medico curante, dai quali emergeva che l'assenza era da collegarsi al pregresso infortunio. Aggiungeva che la società Poste Italiane aveva imputato tali assenze, in mancanza di un riconoscimento dell'ulteriore periodo di inabilità temporanea dal 28.12.2002, a malattia comune e che, peraltro, con nota dell'11.11.2003, l'istituto, su interpello della datrice di lavoro, aveva comunicato che la richiesta di riconoscimento da parte del lavoratore della ricaduta connessa al precedente infortunio sul lavoro del 27.3.2002 era stata respinta e che pertanto le assenze dal lavoro successive al 28.12.2002 non erano ricollegabili al detto evento lavorativo. Precisava che, dopo la chiusura dell'infortunio, a seguito di opposizione del B. al diniego del periodo di ricaduta successivo al 28.12.2002, erano stati riconosciuti, all'esito di visita collegiale, postumi in misura indennizzabile del 6% e che, in data 2 dicembre 2003, l'INAIL aveva informato il B. che il periodo di ricaduta non poteva essere riconosciuto in quanto non riconducibile all'evento infortunistico già indennizzato. Tale comunicazione, secondo il giudice del gravame, poteva presumersi pervenuta a conoscenza dell'appellante, in mancanza di smentite plausibili da parte del destinatario, sicchè correttamente Poste Italiane avevano intimato, il 6 aprile 2004, il licenziamento per superamento del periodo di comporto di 365 giorni previsto dal c.c.numero l Se corretta doveva ritenersi pertanto l'imputazione a malattia comune dell'assenza dal lavoro successiva al 28.12.2002, doveva ritenersi la legittimità del licenziamento, non avendo Poste alcun obbligo di informare il dipendente che l'assenza successiva alla chiusura dell'infortunio da parte dell'INAIL era dalla datrice ricondotta a malattia comune, di competenza dell'INPS, e discendendo tale qualificazione, all'evidenza, dal mancato riconoscimento dell'ulteriore periodo di ricaduta da parte dell'istituto assicurativo, in assenza del potere della società di qualificare autonomamente e diversamente l'assenza del dipendente. Né l'imputazione soggettiva del B., che aveva trasmesso certificati del medico curante, poteva avere - secondo il giudice del gravame - alcun valore qualificatorio dell'assenza. Il ricorrente avrebbe, inoltre, potuto agire giudizialmente avverso il mancato riconoscimento da parte dell'INAIL del periodo di ricaduta e non avendolo fatto, né avendo in sede giudiziale richiesto di accertare a mezzo c.t.u. medico legale la riconducibilità causale delle assenze, doveva subire le conseguenze giuridiche di tale condotta. Non poteva, poi, neanche ritenersi che Poste avessero violato l'obbligo di buona fede nell'esecuzione del contratto, non essendo tenuto il datore a comunicare al dipendente l'approssimarsi della maturazione del periodo di comporto oppure la possibilità di usufruire del periodo di aspettativa non retribuita prevista dal c.c.numero l. Secondo la Corte di Firenze, confortavano il convincimento del datore in merito alla conoscenza da parte del lavoratore del mancato riconoscimento della ricaduta da parte dell'INAIL il fatto che il dipendente, al rientro dal periodo di infortunio, avesse inizialmente inviato certificati di assenza per malattia, la circostanza che lo stesso era stato sottoposto ad alcune visite di controllo al proprio domicilio da parte dei medici incaricati dei servizio e la mancata percezione dell'indennità temporanea erogata dall'INAIL per il periodo successivo al 28.12.2002. Osservava ulteriormente la Corte territoriale che il preteso mancato ricevimento della comunicazione INAIL del 2.12.2003, relativa al mancato riconoscimento della ricaduta successiva al 28.1.2003, al di là della sua scarsa plausibilità, non legittimava in ogni caso l'assicurato a considerare l'assenza come dovuta ad infortunio senza che la ricaduta venisse accertata dall'istituto e che il fatto che l'INAIL aveva, dopo visita collegiale, riconosciuti postumi del 6% doveva indurre, semmai, l'assicurato a ritenere che i disturbi all'occhio sinistro non erano che i postumi ormai stabilizzati dell'infortunio chiuso il 28.12.2002 e non già un prolungamento del periodo di invalidità temporanea. Né alcuna responsabilità era ravvisabile in capo all'INAIL, il cui comportamento era stato del tutto regolare. Per la cassazione di tale decisione ricorre il B., affidando l'impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la società. L'INAIL è rimato intimato. Motivi della decisione Con il primo motivo, il B. denunzia omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione su punti della controversia decisivi ai fini del giudizio, rilevando come la Corte abbia in modo non condivisibile ritenuto presunto il ricevimento della lettera del 2.12.2003 prodotta dall'INAIL e sostenendo l'illogicità della motivazione secondo la quale esso lavoratore non aveva dato smentite plausibili della circostanza. Assume di avere sempre negato di avere ricevuto il documento sin dal primo grado, a prescindere dai rilievi sulla compilazione della lettera e sulle date in essa riportate, incongruenti con la ricostruzione del fatto. Con il secondo motivo, lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti controversi e decisivi ai fini del giudizio, assumendo che la Corte del merito non ha tenuto conto dei rilievi e dubbi avanzati sull'autenticità del documento INAIL. Con il terzo motivo, si duole della violazione dell'articolo 48 del c.c.numero l. Poste 2001 e degli articolo 52 e 53 del d.P.R. 1124/65, nonché dell'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ritenendo sufficiente l'invio di certificazione medica attestante la ricaduta a causa di infortunio precedente, alla stregua di quanto disposto dagli articolo 52 e 53 dei d.P.R. 1124/65, che prevedono solo l'obbligo di comunicare al datore lo stato di salute a mezzo certificazione medica, ed argomentando che la possibilità dell'INAIL di negare la prosecuzione avviene su richiesta specifica del datore di lavoro, sicché, sino all'avvenuto accertamento da parte dell'istituto, non è ipotizzabile considerare diversamente l'assenza. Rileva che il fatto che il B., dopo l'iniziale rientro dall'infortunio, avesse inizialmente inviato certificati medici per malattia comune dimostrava unicamente che in prima battuta lo stato morboso era stato erroneamente riferito dal medico ad eventi diversi dall'infortunio e non elideva la valutazione successiva del referente sanitario e che anche le visite sanitarie erano legate alla specifica certificazione inizialmente inviata, così come irrilevante era da considerarsi il mancato pagamento dell'indennità INAIL, non essendo rinvenibile nelle buste paga alcuna indicazione in merito alle modalità di corresponsione della retribuzione nei periodi di assenza. Ugualmente non significativa è, secondo il ricorrente, la chiusura dell'infortunio con il riconoscimento di una maggiore percentuale di invalidità, in quanto il fatto non esclude una ricaduta, poichè la maggiore percentuale confermerebbe, semmai, la evidente gravità dell'infortunio. Con il quarto motivo, ascrive alla sentenza impugnata vizio motivazionale connesso alla mancata considerazione del'omissione di ogni comunicazione ad esso ricorrente, che si trovava in una situazione del tutto particolare, della determinazione dell'INAIL, pervenuta, su richiesta dello stesso datore, solo a quest'ultimo. Il ricorso è infondato. Con riguardo al primo motivo, deve rilevarsi che la dedotta illogicità della ricostruzione fattuale operata dalla Corte di Firenze, con riferimento in particolare alla affermazione di quest'ultima della inesistenza di ogni giustificazione plausibile, da parte del lavoratore, in ordine al mancato ricevimento della comunicazione di reiezione della istanza di riconoscimento dell'ulteriore periodo di ricaduta nella malattia connessa all'originario infortunio sul lavoro, è priva di idoneo fondamento giuridico, ove si osservi che le argomentazioni addotte per escludere che il prolungamento dell'assenza fosse riconducibile all'infortunio sono molteplici e non tutte oggetto di censura in questa sede. Al riguardo deve essere richiamato il principio reiteratamente espresso da questa Corte in forza del quale il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice dei merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all'articolo 360, comma primo, numero 5 , cod. proc. civ. risolvendosi, in caso contrario, questo motivo di ricorso, in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione cfr. Cass. 20 aprile 2006 numero 9233, Cass. 2 febbraio 2007 numero 2272, Cass. 6 luglio 2007 numero 15264 . Peraltro, deve rilevarsi che la sentenza impugnata, per essere motivata congruamente, priva di salti logici e per essere rispettosa dei principi enunciati da Cass., sez. unumero , 8 agosto 2011 numero 17076, Cass. 9803/2012 e Cass. 9153/2012, si sottrae a tutte le censure che contro di essa sono state mosse, osservandosi che il convincimento in ordine alla consapevolezza da parte del lavoratore della qualificazione dell'assenza - non riconducibile al pregresso infortunio - era stato desunto anche da ulteriori significative circostanze, quali l'invio, da parte del predetto, di certificati di assenza per malattia comune, la sottoposizione del B. a visite di controllo al proprio domicilio da parte dei medici incaricati del servizio, la mancata percezione dell'indennità temporanea erogata dall'INAIL e la constatazione che il periodo di assenza era pertanto in carico all'INPS. La censura volta a ribadire la omessa considerazione dei rilievi attinenti alla autenticità del documento INAIL risulta poi genericamente formulata, senza precisare il carattere decisivo attribuibile a specifici elementi e circostanze idonee ad inficiarne il valore probatorio e senza che la comunicazione risulti depositata, pur attenendo la doglianza all'interpretazione dei suo contenuto. Al riguardo deve osservarsi che, in tema di giudizio per cassazione, l'onere del ricorrente, di cui all'articolo 369, secondo comma, numero 4, cod. proc. civ., così come modificato dall'articolo 7 del d.lgs. 2 febbraio 2006, numero 40, di produrre, a pena di improcedibilità del ricorso, gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda è soddisfatto, sulla base dei principio di strumentalità delle forme processuali, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo di parte, anche mediante la produzione del fascicolo nel quale essi siano contenuti e, quanto agli atti e ai documenti contenuti nel fascicolo d'ufficio, mediante il deposito della richiesta di trasmissione di detto fascicolo presentata alla cancelleria del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata e restituita al richiedente munita di visto ai sensi dell'articolo 369, terzo comma, cod. proc. civ., ferma, in ogni caso, l'esigenza di specifica indicazione, a pena di inammissibilità ex articolo 366, numero 6, cod. proc. civ., degli atti, dei documenti e dei dati necessari al reperimento degli stessi. cfr. Cass., s. u. 3.11.2011 numero 22726 . Nella specie il documento non risulta depositato, né se ne indica la sede di produzione nelle fasi del merito. Inoltre, la censura, per come formulata in funzione dell'asserita erroneità della valutazione del materiale probatorio, mira nella sostanza a sollecitare una rivisitazione del merito, non consentita nella presente sede di legittimità, posto che il ricorso per cassazione, con il quale si facciano valere vizi di motivazione della sentenza, impugnata a norma dell'articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., deve contenere - in ossequio al disposto dell'articolo 366 numero 4 cod. proc. civ., che per ogni tipo di motivo pone il requisito della specificità sanzionandone il difetto - la precisa indicazione di carenze o lacune nelle argomentazioni sulle quali si basano la decisione o il capo di essa censurato, ovvero la specificazione d'illogicità, consistenti nell'attribuire agli elementi di giudizio considerati un significato fuori dal senso comune, od ancora la mancanza di coerenza fra le varie ragioni esposte, quindi l'assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e l'insanabile contrasto degli stessi. Ond'è che risulta inidoneo allo scopo il far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito all'opinione che di essi abbia la parte ed, in particolare, il prospettare un soggettivo preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell'iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della norma in esame. Diversamente, si risolverebbe il motivo di ricorso per cassazione ex articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni effettuate ed, in base ad esse, delle conclusioni raggiunte dal giudice del merito cui, per le medesime considerazioni, neppure può imputarsi d'aver omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte e/o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio ritenuti non significativi, giacchè nè l'una nè l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento risulti da un esame logico e coerente di quelle, tra le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, che siano state ritenute di per sè sole idonee e sufficienti a giustificarlo in tali termini, cfr. Cass. 23 maggio 2007 numero 120520 . Nella specie non risulta che la doglianza abbia evidenziato i profili di omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione nei termini consentiti nella presente sede, indicati dalla pronunzia di legittimità richiamata, avendo il giudice del gravame valutato, come già detto, un coacervo di elementi indicativi della consapevolezza, da parte del ricorrente, della esatta qualificazione della propria assenza nel periodo in contestazione. Analoghe considerazioni possono essere svolte con riguardo al terzo motivo, nel quale il B. pone richiamo a circostanze che, a dire dello stesso, indurrebbero a conclusioni opposte a quelle cui è pervenuto il giudice del gravame, senza considerare che alla deduzione della violazione dell'articolo 48 c.c.numero l. del 2001 doveva fare seguito il deposito del testo integrale del contratto invocato, che non risulta, invece, effettuato. Infine, priva di rilievo giuridico è la censura con la quale nella sostanza si contesta l'omessa valutazione, da parte della Corte d'appello di Firenze, di circostanze, quali la mancata comunicazione al ricorrente, da parte del datore di lavoro, della determinazione dell'INAIL in ordine al mancato riconoscimento della riconducibilità dell'assenza per malattia all'infortunio del 2002, posto che al riguardo la Corte territoriale ha argomentato in modo esaustivo in ordine ai doveri di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto incombenti sullo stesso datore di lavoro. Sullo stesso, non grava alcun onere di comunicazione nei sensi indicati, non potendo questo desumersi dagli articolo 52 e 53 T.U. 1124/65 - che attengono alla comunicazione iniziale dell'infortunio da parte dell'assicurato al datore di lavoro ed alla denunzia da parte di quest'ultimo all'INAIL - né l'obbligo di avvertire il lavoratore dell'imminenza della scadenza del periodo di comporto, ovvero di sollecitare lo stesso a fruire del periodo di aspettativa consentito dalla normativa contrattuale collettiva applicabile. Ed invero, il lavoratore il quale, dopo un periodo di inabilità temporanea assoluta conseguente ad infortunio, abbia acquisito la consapevolezza che l'Inail considera cessato lo stato di inabilità, per essergli stata sospesa l'erogazione della relativa indennità, e tuttavia dopo la cessazione dello stato patologico dovuto ad infortunio, continui ad assentarsi dal lavoro, per la sopravvenienza di una malattia comune, sino a superare in relazione a quest'ultima il periodo di comporto, ove venga licenziato per il detto superamento, non può invocare per opporsi al licenziamento la violazione da parte del datore di lavoro dell'obbligo contrattuale di correttezza e buona fede in relazione alla circostanza che questi reso edotto del mutamento del titolo di assenza per comunicazione ricevutane dall'Inail non abbia formulato un preventivo invito a riprendere la prestazione lavorativa pena il recesso, non potendo il lavoratore pretendere di utilizzare a proprio vantaggio la mancata informazione del datore sulle reali cause dell'assenza, in una situazione di acquisita consapevolezza della mancanza di un titolo per astenersi dal lavoro che potesse impedire la maturazione del periodo di comporto Cfr. Cass. 15.9.1997 numero 9175 Sotto altro versante, deve osservarsi che nel rapporto di lavoro, poichè i principi di correttezza e buone fede rilevano come norme di relazione con funzione di fonti integrative del contratto articolo 1374 cod. civ. , ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad ,obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di autonomia privata, in assenza di qualsiasi obbligo previsto dalla contrattazione collettiva, il datore di lavoro non ha l'onere di avvertire preventivamente il lavoratore della imminente scadenza del periodo di comporto per malattia al fine di permettere al lavoratore di esercitare eventualmente la facoltà di chiedere tempestivamente un periodo di aspettativa, come previsto dal contratto collettivo stesso cfr., tra le tante, Cass. 10.4.1996 numero 3351, Cass. 21.5.1998 numero 5091, Cass. 7.7.1999 numero 7082, Cass. 29.3.2000 numero 3840 . Conclusivamente, il ricorso deve essere respinto e le spese del presente giudizio sostenute dalla società, per il principio della soccombenza, cedono a carico del B. nella misura indicata in dispositivo, mentre nei confronti dell'INAIL possono ragionevolmente essere compensate, posto che nessuno dei motivi di impugnazione del B. giustificava una specifica attività difensiva da parte del predetto Istituto. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, in favore della società, liquidate in euro 100,00 per esborsi ed in euro 3500,00 pr compensi professionali, oltre accessori come per legge. Compensa le spese nei confronti dell'INAIL.