V’è stata lesione del diritto di voto per il periodo di vigenza delle disposizioni di cui alla Legge numero 270/2005 e fino alla dichiarazione di incostituzionalità a seguito della sentenza dell’Alta Corte numero 1 del 13 gennaio 2014, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, nelle elezioni per la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza designato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettorali di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento.
Così precisando, la Prima Sezione Civile di Cassazione, con sentenza numero 8878, depositata il 16 aprile 2014, ha accolto il ricorso proposto dai cittadini elettori contro la cosiddetta Legge Porcellum del 2005, condannando la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’Interno al pagamento delle spese di legge dei precedenti gradi di giudizio, oltre spese generali e accessori di legge, nonché al pagamento di onorari e competenze, a favore dei medesimi ricorrenti. I fatti di causa, tra leggi elettorali e gradi di giudizio. La decisione odierna della Suprema Corte in tema di legge elettorale trae origine dal giudizio promosso da un cittadino e, in seguito, anche altri cittadini elettori ad adiuvandum , il quale, convenendo in giudizio la Presidenza del Consiglio e il Ministero dell’interno, deduceva che, nelle elezioni del 2006 e del 2008 per i membri di Camera dei Deputati e Senato della Repubblica svoltesi con la Legge numero 270/2005, egli non aveva potuto esercitare così come non avrebbe potuto esserlo in seguito il diritto di voto, in violazione dei principi di cui alla Carta Costituzionale. In particolare, non si ravvisava un voto «personale ed eguale, libero e segreto» ex articolo 48, comma 2, Cost., in quanto non era possibile esprimere la preferenza ai singoli candidati, laddove la legge de qua, attribuendo rilevanza all’ordine di inserimento dei candidati nella lista, affidava agli organi di partito la designazione di coloro che dovevano essere nominati il tutto in spregio al divieto di mandato imperativo, prescritto dall’articolo 67 Cost. a favore degli organi di partito che lo avevano prescelto. Inoltre, il principio di uguaglianza era violato sotto 2 aspetti in primo luogo, nell’attribuzione di un «premio di maggioranza» alla lista che aveva ottenuto anche solo un voto più delle altre, senza nemmeno prevedere una soglia minima in voti o seggi con l’effetto di attribuire a singoli voti un valore e un peso differenti in secondo luogo, nell’attribuzione di un altro «premio di maggioranza» per l’elezione al Senato su base regionale. Infine, lesa sarebbe stata anche la libertà di voto nella previsione dell’inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione. La Corte Costituzionale, con sentenza numero 1/2014, ha accolto le questioni proposte e dichiarato l’illegittimità costituzionale delle norme della Legge numero 20/2005 in merito ai premi di maggioranza, ut supra censurati, e al blocco delle liste elettorali, per quanto concerne la mancata possibilità di indicare una preferenza. Sulla richiesta, invece, in cui si chiede un rinvio della discussione nell’attesa dell’approvazione del disegno di legge elettorale numero 1385/2014, affetto – ad avviso della stessa – da analoghi e altri vizi di legittimità costituzionale, gli ermellini devono rigettare la richiesta, in quanto un rinvio «non sarebbe giustificabile allo scopo di attendere la pubblicazione di una nuova legge elettorale che non è possibile sapere se, quando e con quali contenuti sarà approvata dal Parlamento e che, come ricordato dalla Corte Costituzionale numero 1/2014 , potrà sempre essere approvata dal Parlamento “nel rispetto dei principi costituzionali” ed essere soggetta all’ordinario controllo di costituzionalità che, nel nostro sistema, non è preventivo». Il Porcellum era lesivo del diritto di voto. Tanto premesso, la Prima Sezione civile, con sentenza numero 8878/2014, si pronuncia sulla dedotta lesione del diritto di voto, statuendo che «in effetti, la dedotta lesione v’è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza designato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettorali di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento». Per l’effetto, i giudici di Piazza Cavour hanno accertato e dichiarato che i ricorrenti cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per le Camere e ha condannato le Amministrazioni intimate alle spese del giudizio, oltre spese generali e accessori di legge, nonché alle spese per onorari e competenze dei giudizi di merito di primo e di secondo grado.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 4 – 16 aprile 2014, numero 8878 Presidente Vitrone – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo 1.- Nel novembre 2009 il sig. B.A. , in qualità di cittadino elettore, convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno, deducendo che nelle elezioni per la Camera dei Deputati e per il Senato della Repubblica svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge numero 270/2005 e, in particolare, nelle elezioni del 2006 e 2008, egli non aveva potuto esercitare e non avrebbe potuto esercitare nel futuro il diritto di voto secondo modalità conformi a principi costituzionali del voto personale ed eguale, libero e segreto articolo 48, comma 2, Cost. e a suffragio universale e diretto articolo 56, comma 1, e 58, comma 1, Cost. . Nell'espressione del voto personale e diretto era implicito, a suo avviso, il diritto di esprimere la preferenza ai singoli candidati, possibilità esclusa dalla legge elettorale citata, la quale, attribuendo rilevanza all'ordine di inserimento dei candidati nella lista, affidava agli organi di partito la designazione di coloro che dovevano essere nominati, con conseguente creazione di un effettivo e concreto vincolo di mandato dell'eletto nei confronti degli organi di partito che lo avevano prescelto, in violazione dell'articolo 67 Cost. secondo il quale ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Inoltre il principio di uguaglianza del voto era violato dall'attribuzione di un premio di maggioranza alla lista che aveva ottenuto anche un solo voto in più delle altre, senza nemmeno la previsione di una soglia minima in voti o seggi, con l'effetto di riconoscere un valore diverso ai singoli voti e di attribuire a non significative minoranze uscite dalle urne anche ampiamente inferiori al 50% ben 340 seggi alla Camera e la maggioranza qualificata del 55% dei seggi al Senato. Il principio di uguaglianza del voto era violato anche per il peculiare premio di maggioranza attribuito per l'elezione del Senato su base regionale essendo il numero dei seggi assegnati ad ogni regione proporzionale alla popolazione residente, il voto espresso dall'elettore residente nelle regioni più popolose concorreva all'attribuzione di un premio di maggioranza ben più elevato di quello cui poteva concorrere l'elettore delle regioni meno popolose . Inoltre arbitraria era la previsione dell'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione, che aveva l'effetto di coartare la libertà del voto e di condizionare l'autonomia del Capo dello Stato nella nomina del Presidente del Consiglio di Ministri. 1.1.- L'attore chiese quindi di dichiarare che il suo diritto di voto non poteva essere esercitato in modo libero e diretto, secondo le modalità previste e garantite dalla Costituzione e dal Protocollo 1 della CEDU, nonché nel rispetto delle forme e dei limiti concernenti il potere del Presidente della Repubblica di nominare il Presidente del Consiglio di Ministri, e di conseguenza chiese di ripristinarlo secondo modalità conformi alla legalità costituzionale. A tal fine, in relazione agli articolo 1, comma 2 3 48, comma 2 e 4 56, comma 1 67 117, comma 1 138 Cost. e 3 Prot. 1 CEDU, egli eccepì, in via incidentale, l'illegittimità costituzionale, quanto all'elezione della Camera dei Deputati, degli articolo 1, comma 1 4, comma 2 59 83, commi 2, 3, 4 e 5, del d.P.R. numero 361/1957, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005 quanto all'elezione del Senato, degli articolo 14, 16, 17, 19, 27 del d. lgs. numero 533/1993, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005 inoltre, eccepì l'illegittimità costituzionale degli articolo 14 bis, comma 3, del d.P.R. numero 361/1957 e 8 del d. lgs. numero 533/1993, nel testo vigente, a causa della dedotta limitazione del potere del Presidente della Repubblica. 2.- Nel giudizio di primo grado intervennero ad adiuvandum altri cittadini elettori menzionati in epigrafe e si costituirono la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno che chiesero il rigetto delle domande. 3.- Il Tribunale di Milano, con sentenza 18 aprile 2011, rigettò le eccezioni preliminari di inammissibilità delle domande per difetto di giurisdizione e insussistenza dell'interesse ad agire, nel merito rigettò le domande giudicando manifestamente infondate le proposte eccezioni di illegittimità costituzionale. 4.- Il giudizio svoltosi dinanzi alla Corte di appello di Milano, nel quale le amministrazioni convenute reiterarono le eccezioni preliminari già proposte, fu definito con sentenza 24 aprile 2012 che rigettò l'appello, giudicando manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale. 5.- Avverso la predetta sentenza B.A. e gli altri cittadini elettori hanno proposto ricorso per cassazione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il Ministero dell'interno non hanno svolto attività difensiva. 6.- Questa Corte, con ordinanza 17 maggio 2013, sul presupposto che il giudizio principale doveva essere definito con una sentenza che accertasse la portata del diritto di voto e lo ripristinasse nella pienezza della sua espansione, per il necessario tramite dell'intervento della Corte costituzionale, ha giudicato rilevanti e non manifestamente infondate le proposte questioni di legittimità costituzionale precisate dalla corte con riferimento agli articolo 83, commi 1, numero 5, e 2, del d.P.R. numero 361/1957, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione della Camera dei Deputati, in relazione agli articolo 3 e 48, comma 2, Cost. all'articolo 17, commi 2 e 4, del d. lgs. numero 533/1993, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005, quanto al premio di maggioranza per l'elezione del Senato della Repubblica, in relazione agli articolo 3 e 48, comma 2, Cost. agli articolo 4, comma 2, e 59, comma 1, del d.P.R. numero 361/1957, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005, quanto al voto di preferenza per la Camera, in relazione agli articolo 3, 48, comma 2, 49, 56, comma 1, e 117, comma 1, Cost. all'articolo 14, comma 1, del d. lgs. numero 533/1993, nel testo risultante dalla legge numero 270/2005, quanto al voto di preferenza per il Senato, in relazione agli articolo 3, 48, comma 2, 49, 58, comma 1, e 117, comma 1, Cost. ha invece ritenuto manifestamente infondato il dubbio di costituzionalità delle norme riguardanti l'inserimento nella scheda elettorale del nome del capo di ciascuna lista o coalizione. 7.- La Corte costituzionale, con sentenza numero 1 del 13 gennaio 2014, ha accolto le questioni proposte e dichiarato l'illegittimità costituzionale delle censurate norme della legge numero 270/2005 che prevedevano l'assegnazione di un premio di maggioranza - sia per la Camera dei Deputati che per il Senato della Repubblica - alla lista o alla coalizione di liste che avessero ottenuto il maggior numero di voti e che non avessero conseguito, almeno, alla Camera, 340 seggi e, al Senato, il 55% dei seggi assegnati a ciascuna Regione la Corte ha altresì dichiarato l'illegittimità costituzionale delle norme che stabilivano la presentazione di liste elettorali bloccate , nella parte in cui non consentivano all'elettore di esprimere una preferenza. 8.- Il giudizio è stato fissato per il prosieguo all'udienza odierna. I ricorrenti hanno presentato una memoria nella quale hanno chiesto un rinvio della discussione nell'attesa dell'approvazione del disegno di legge elettorale numero 1385/2014 che, essendo affetto, a loro avviso, da analoghi e da altri gravi vizi di legittimità costituzionale, verrebbe a frustrare lo scopo ultimo del giudizio la cui utilità finale era quella di assicurare per il presente e il futuro la possibilità di esercitare il diritto di voto secondo Costituzione, cioè in modo personale ed eguale, libero e diretto. 9.- La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha presentato un atto di costituzione al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione. Motivi della decisione 1.- La preliminare richiesta dei ricorrenti, contrastata dal P.G., di rinviare la discussione del ricorso non è accoglibile, non già come ritenuto dall'Avvocatura generale dello Stato per conto della Presidenza del Consiglio dei Ministeri perché la domanda di accertamento della consistenza del diritto elettorale non possa dirigersi verso una legge diversa, sostitutiva o modificativa di quella originariamente censurata la numero 270 del 2005 , ma perché un rinvio non sarebbe giustificabile allo scopo di attendere la pubblicazione di una nuova legge elettorale che non è possibile sapere se, quando e con quali contenuti sarà approvata dal Parlamento e che, come ricordato dalla Corte Costituzionale numero 1/2014 , potrà sempre essere approvata dal Parlamento nel rispetto dei principi costituzionali ed essere soggetta all'ordinario controllo di costituzionalità che, nel nostro sistema, non è preventivo. In definitiva, il richiesto rinvio si risolverebbe in una sostanziale e inammissibile sospensione di un processo che dev'essere definito in tempi compatibili con il principio della ragionevole durata, a norma dell'articolo 111, comma 2, Cost 2.- L'Avvocatura dello Stato ha eccepito che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale numero 1 del 2014, che ha ripristinato la legalità costituzionale del sistema elettorale di voto per le elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, sarebbe cessata la materia del contendere, essendo stato soddisfatto l'interesse azionato dai ricorrenti nel giudizio. 2.1.- L'eccezione, contrastata dai ricorrenti e dal P.G., è infondata. È necessario ribadire quanto già precisato nell'ordinanza 17 maggio 2013 di rimessione alla Corte costituzionale a proposito della natura dell'azione proposta dai ricorrenti, che è di accertamento della portata del diritto di voto come configurato dalla legge elettorale numero 270 del 2005, sotto il profilo della sua compatibilità con i parametri costituzionali del voto personale, eguale, libero e diretto articolo 48, 56 e 58 Cost. . In tale azione era compresa la richiesta rivolta necessariamente al giudice dei diritti di effettuare, in prima battuta, il consueto e preliminare scrutinio di non manifesta infondatezza del dubbio di legittimità costituzionale di alcune disposizioni di quella legge elettorale indubbiamente rilevanti per la definizione del giudizio, in via strumentale all'accertamento dell'esistenza di una effettiva e concreta lesione del diritto di voto e al ripristino della legalità costituzionale violata, per il tramite della pronuncia costituzionale. Al contrario dei giudici di merito, i quali in sostanza accertarono l'insussistenza della dedotta lesione del diritto di voto come conseguenza della ritenuta manifesta infondatezza delle, pur rilevanti, questioni di legittimità costituzionale proposte , questa Corte le ha ritenute non manifestamente infondate, esprimendo un giudizio di potenziale lesione del diritto di voto esercitabile dai cittadini elettori secondo le modalità previste dalla legge numero 270 del 2005. La Corte costituzionale ha ripristinato per il futuro a partire dalla data di pubblicazione della sentenza numero 1 del 2014 la legalità costituzionale e la possibilità dei cittadini elettori di esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, ma non ha potuto accertare quali effetti abbiano avuto le disposizioni incostituzionali della legge numero 270 del 2005 sul diritto di voto dei cittadini elettori nel periodo della loro vigenza, compito questo che spetta al giudice ordinario. 3.- Deve quindi ribadirsi quanto già rilevato nell'ordinanza del 17 maggio 2013 e cioè che l'accoglimento delle proposte questioni di legittimità costituzionale non ha esaurito la tutela invocata dai ricorrenti nel giudizio principale, che si può realizzare solo a seguito e in virtù della pronuncia con la quale il giudice ordinario accerta le conseguenze della pronuncia costituzionale e, in particolare, se vi sia stata una lesione giuridicamente rilevante del diritto di voto. A tale accertamento, a cui i ricorrenti hanno diritto, deve provvedere questa Corte che, cassata la impugnata sentenza della Corte di appello di Milano, può decidere la causa nel merito, a norma dell'articolo 384, comma 2, c.p.c., non essendovi ulteriori accertamenti di fatto da svolgere. E in effetti, la dedotta lesione v'è stata per il periodo di vigenza delle disposizioni incostituzionali, poiché i cittadini elettori non hanno potuto esercitare il diritto di voto personale, eguale, libero e diretto, secondo il paradigma costituzionale, per la oggettiva e grave alterazione della rappresentanza democratica, a causa del meccanismo di traduzione dei voti in seggi, intrinsecamente alterato dal premio di maggioranza disegnato dal legislatore del 2005, e a causa della impossibilità per i cittadini elettori di scegliere i propri rappresentanti in Parlamento come ricordato dalla Corte costituzionale, al p. 5.1, in definitiva, è la circostanza che alla totalità dei parlamentari eletti, senza alcuna eccezione, manca il sostegno della indicazione personale dei cittadini, che ferisce la logica della rappresentanza consegnata nella Costituzione . 4.- A un siffatto accertamento non è di ostacolo quanto precisato dalla Corte costituzionale nella citata sentenza al p. 7 secondo cui la decisione di annullamento delle norme censurate non tocca in alcun modo gli atti posti in essere in conseguenza di quanto stabilito durante il vigore delle norme annullate, compresi gli esiti delle elezioni svoltesi e gli atti adottati dal Parlamento eletto , con la conseguenza che le elezioni che si sono svolte in applicazione anche delle norme elettorali dichiarate costituzionalmente illegittime costituiscono, in definitiva, e con ogni evidenza, un fatto concluso [ .] Del pari, non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali . Infatti tale precisazione, che si giustifica per il fondamentale principio di continuità dello Stato poiché le Camere sono organi costituzionalmente necessari ed indefettibili e non possono in alcun momento cessare di esistere o perdere la capacità di deliberare , riguarda gli effetti della sentenza costituzionale sull'operatività degli organi costituzionali e sui relativi provvedimenti, ma non attenua la incostituzionalità che è stata accertata e dichiarata dalla Corte senza altre limitazioni del resto non risultanti dal dispositivo della sentenza . 5.- La sopra ricordata precisazione della Corte costituzionale, la quale ha osservato che le elezioni svolte costituiscono un fatto concluso idoneo a giustificare che i rapporti sorti nel vigore della legge annullata rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida in quanto esauriti , dimostra che la tutela riconosciuta dall'ordinamento ai ricorrenti elettori, oltre all'accertamento per il passato della lesione subita e del diritto al rimborso delle spese sostenute per conseguire tale risultato processuale v. il successivo p. 7 , è quella, pienamente satisfattiva, della riparazione in forma specifica per effetto della sentenza costituzionale che ha ripristinato la legalità costituzionale, potendo essi, a decorrere dal 13 gennaio 2014 ed attualmente, esercitare il diritto di voto secondo i precetti costituzionali. 6.- In conclusione, cassata la sentenza impugnata, la causa è decisa nel merito nel senso indicato nel precedente p. 3 e in dispositivo. 7.- Con riguardo alle spese processuali relative ai giudizi di merito e di legittimità, non vi è ragione di derogare al principio della soccombenza. P.Q.M. La Corte cassa la sentenza impugnata e, decidendo la causa nel merito, dichiara che i ricorrenti non hanno potuto esercitare il diritto di voto nelle elezioni per la Camera dei Deputati e il Senato della Repubblica, svoltesi successivamente all'entrata in vigore della legge numero 270/2005 e sino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte costituzionale numero 1 del 2014, secondo le modalità, previste dalla Costituzione, del voto personale, eguale, libero e dirette-condanna le Amministrazioni intimate alle spese del presente giudizio in favore dei ricorrenti, liquidate in Euro 10200,00, di cui Euro 10000,00 per compensi, oltre spese generali e accessori di legge, nonché alle spese dei giudizi di merito di primo grado, liquidate in Euro 4800,00 per onorari e Euro 2000,00 per competenze, e di secondo grado, liquidate in Euro 5500,00 per onorari e Euro 2400,00 per competenze, oltre spese generali e accessori di legge.