RASSEGNA DELLA SEZIONE LAVORO DELLA CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO 3 DICEMBRE 2013, N. 27055 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DONNE – MATRIMONIO. Divieto di licenziamento - Presunzione ex art. 1, terzo comma, della legge 7/1963 - Licenziamento deciso nel periodo indicato dalla legge - Operatività - Attuazione successiva a tale periodo - Irrilevanza. La presunzione concernente l’avvenuta intimazione per causa di matrimonio del licenziamento della lavoratrice, disposto nel periodo compreso tra la data della richiesta delle pubblicazioni e l’anno successivo alla celebrazione delle nozze, riguarda ogni recesso che sia stato deciso” nell’arco temporale indicato per legge, indipendentemente dal momento in cui la decisione” di recesso sia stata attuata, con conseguente irrilevanza del periodo di preavviso con scadenza posteriore. Per Cassazione 17612/2009, il divieto di licenziamento attuato a causa di matrimonio opera, in forza della presunzione legale di cui all’art. 1, terzo comma, della legge 7/1963, allorché il licenziamento sia stato intimato, senza che ricorressero i presupposti di una delle ipotesi di legittimo recesso datoriale, contemplate nell’ultimo comma dello stesso art. 1, nel periodo intercorrente tra la richiesta delle pubblicazioni ed un anno dalla celebrazione, senza che possa attribuirsi rilievo ad atti prodromici alla richiesta di pubblicazione. Sul tema si veda Cassazione 10817/2011 per la quale la disposizione di cui all’art. 2 della legge 7/1963 - che prevede, in caso di nullità del licenziamento della lavoratrice perché intimato a causa di matrimonio, l’obbligo del datore di lavoro di corrispondere alla lavoratrice medesima la retribuzione globale di fatto fino al giorno della riassunzione in servizio, stante la dipendenza della mancata prestazione lavorativa dall’illegittimo rifiuto di quest’ultimo di riceverla - non si riferisce sia per il suo tenore letterale, sia per la diversità della fattispecie anche all’ipotesi della nullità delle dimissioni dalla lavoratrice rassegnate - senza conferma all’ufficio del lavoro - nel periodo di interdizione di cui all’art. 1 della medesima legge ossia dal giorno della richiesta delle pubblicazioni di matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso . Pertanto, l’obbligo della retribuzione con la mora credendi” relativa del datore di lavoro sorge soltanto nel momento in cui la lavoratrice, facendo valere la nullità del proprio recesso e la perdurante validità del rapporto di lavoro, offra nuovamente la propria prestazione. SEZIONE LAVORO 15 GENNAIO 2014 N. 688 LAVORO - LAVORO SUBORDINATO - DIRITTI ED OBBLIGHI DEL DATORE E DEL PRESTATORE DI LAVORO - IN GENERE. Permessi giornalieri ex art. 33, comma 3, della legge n. 104 del 1992 - Retribuibilità - Nel settore privato e in quello pubblico - Fondamento - Conseguenze - Compenso incentivante ex art. 18, legge n. 88 del 1989 - Spettanza. In tema di permessi giornalieri per i lavoratori, ai sensi dell'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, per l'assistenza a persone portatrici di grave handicap, la norma di interpretazione autentica contenuta nell'art. 2, comma 3 ter, del d.l. 27 agosto 1993, n. 324, conv. in legge 27 ottobre 1993, n. 423, ha chiarito che tanto nel settore privato, quanto in quello pubblico, i permessi devono intendersi retribuiti, sicché anche nei giorni di fruizione spetta la corresponsione del compenso incentivante previsto dall'art. 18 della legge 9 marzo 1989, n. 88. I permessi retribuiti, di cui all' art. 33 legge n. 104 del 1992, spettano anche quando i genitori non siano entrambi lavoratori, senza che occorra che l'altro genitore, convivente e non lavoratore, sia impossibilitato a provvedere a tale assistenza, rimanendo lo scopo perseguito dalla legge frustrato, qualora il genitore non lavoratore dovesse da solo provvedere all'incombenza di assistere convenientemente il figlio minore gravemente handicappato così Cassazione 16460/2012. Per i profili processuali in materia si veda Cassazione 4623/2010 per la quale nel giudizio avente ad oggetto il riconoscimento del diritto a fruire dei permessi previsti dall'art. 33 della legge n. 104 del 1992 in favore dei genitori di bambini portatori di handicap grave, la legittimazione passiva spetta all'INPS, riferendosi la domanda ad un provvedimento dell'ente previdenziale che si sostanzia nell'autorizzazione preventiva al datore di lavoro o nel suo diniego a compensare le somme eventualmente corrisposte a tale titolo con i contributi obbligatori dovuti all'INPS, a carico del quale è posto l'onere finanziario del beneficio. In materia di assistenza alle persone handicappate, infine, per Sezioni Unite 16102/2009, alla luce di una interpretazione dell'art. 33, comma 5, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, orientata alla complessiva considerazione dei principi e dei valori costituzionali coinvolti come delineati, in particolare, dalla Corte cost. con le sentenze n. 406 del 1992 e n. 325 del 1996 , il diritto del genitore o del familiare lavoratore, con rapporto di lavoro pubblico o privato, che assista con continuità un parente od un affine entro il terzo grado handicappato, di non essere trasferito senza il suo consenso ad altra sede, se, da un lato, non può subire limitazioni in caso di mobilità connessa ad ordinarie esigenze tecnico-produttive dell'azienda ovvero della P.A., non è, invece, attuabile ove sia accertata - in base ad una verifica rigorosa anche in sede giurisdizionale - l'incompatibilità della permanenza del lavoratore nella sede di lavoro.