Bene extracomunitario sdoganato in Paese membro a regime fiscale agevolato: le successive cessioni in Italia costituiscono abuso del diritto?

La scelta di un qualunque Paese membro nel quale introdurre il bene extracomunitario, ancorché esclusivamente determinata dall’intento di ottenere un risparmio fiscale, non costituisce abuso del diritto di libera circolazione delle merci e dei capitali, idoneo alla ricorrenza dei reati di contrabbando per evasione dell’IVA all’importazione quanto alle successive cessioni del bene in territorio italiano.

Lo ha stabilito la III sez. Penale della Corte di Cassazione con la sentenza 13039, depositata il 20 marzo 2014. Aereo statunitense sdoganato in Danimarca, a regime IVA zero. Nel caso di specie, in seguito alla vendita di un velivolo conclusa tra l’azienda produttrice statunitense, un finto intermediario di una società austriaca operante in Danimarca e una società italiana acquirente finale , il gip ha emesso, su richiesta della Procura, ordinanza di sequestro preventivo del mezzo, rilevata la fattispecie di reato di cui all’articolo 292 del D.P.R. numero 43/1973, in relazione all’articolo 70 del D.P.R. numero 633/1972 per avere i paciscenti immesso in consumo in Italia un bene di fattura extracomunitaria, sottraendolo all’imposta sul valore aggiunto all’importazione per un ammontare di quasi 100 mila euro. Operazione economica mirata al risparmio di imposta. Il Tribunale del riesame, adito dalla società italiana per ottenere la revoca del sequestro, ha confermato il provvedimento cautelare, disattendendo le censure mosse dal ricorrente. Secondo i giudici del riesame, infatti, non si sarebbe trattato di una semplice cessione intracomunitaria dalla Danimarca all’Italia, bensì di un’operazione evasiva di imposta, orchestrata dal management dell’impresa nostrana, alle cui direttive l’intermediario austriaco ebbe ad adeguarsi nella consapevolezza di voler aggirare la, più gravosa, barriera fiscale che insisteva sul territorio italiano. In dettaglio, la decisione confermativa resa all’esito del sindacato sulla legittimità della misura cautelare è stata motivata sul presupposto della natura abusiva delle collegate vicende negoziali in tal senso ricorrevano, giustappunto, i tre requisiti indicati dalla giurisprudenza per l’operativa dell’abuso del diritto, ed in particolare l’elemento intenzionale il fine abusivo esclusivo , quello strutturale le vicende negoziali risultando prive di valida giustificazione economica se non quella elusiva del tributo , ed in ultimo, quello teleologico ossia il fine del risparmio di imposta . Il perimetro applicativo dell’abuso del diritto. Le censure sopra tratteggiate sono state reiterate innanzi ai giudici di legittimità, cui è stato chiesto l’annullamento della decisione resa dal Tribunale. La ricorrente ha, dunque, perseverato nel rimarcare l’insussistenza del reato contestato, essendo stato il velivolo dapprima importato in Danimarca – paradiso fiscale ad “iva zero” – per poi essere successivamente ceduto in Italia, in ottemperanza alla normativa europea, id est senza che potesse contestarsi l’evasione dell’imposta italiana poiché in radice non dovuta. Ricapitolate le coordinate interpretative in materia di operazioni abusive, in specie quelle dettate dalla Corte di Giustizia Europea, i giudici romani hanno apprezzato gli argomenti di difesa della società ricorrente, per l’effetto annullando la sentenza gravata e facendo venir meno il disposto sequestro. Siffatto approdo è motivato sull’assunto, ribadito in tempi recenti, secondo cui, alla stregua del diritto europeo, l’importazione di un bene in un Paese membro in cui vige un sistema fiscale più favorevole non vale, di per sé, a ritenere consumata un’evasione di imposta, laddove lo stesso bene, in tempi successivi, sia trasferito in altro Paese membro ove è vigente un sistema fiscale più oneroso. In altri termini, una volta rispettati gli oneri fiscali relativi all’importazione dazi e imposta sul valore aggiunto vigenti nel Paese europeo di “primo approdo”, le successive cessioni intracomunitarie debbono ritenersi sottratte ad ulteriori aggravi fiscali per importazione, pena la violazione del principio di libera circolazione delle merci nel territorio dell’Unione. Lo stesso articolo 67, del D.P.R. numero 633/1972 - hanno sottolineato gli Ermellini – precisa come ricorra «importazione» nei soli limiti in cui i beni del caso siano originari di Paesi o territori «non compresi nel territorio della Comunità» o, comunque, non siano «già stati immessi in libera pratica» in altro Paese dell’Unione. A riprova della correttezza del ragionamento, la Suprema Corte ha, da ultimo, ricordato come la giurisprudenza europea da tempo qualifichi l’IVA all’importazione quale tributo interno, donde la compatibilità dell’imposta alla legislazione sovranazionale e al relativo principio di neutralità fiscale può assumersi a condizione che la merce importata non sia gravata da doppia imposizione cioè prima nel Paese di approdo e, successivamente, nel Paese di successiva destinazione e sempre che l’infrazione relativa all’IVA all’importazione non sia sanzionata in misura più severa rispetto a quanto accade per gli scambi interni. Sdoganamento elusivo non penalmente rilevante. Sulla scorta delle argomentazioni che precedono si è, dunque, affermato come la scelta di un qualunque Stato membro ove introdurre un bene proveniente da territorio extraeuropeo, ancorché esclusivamente determinata dal fatto che in detto Stato vi sia un regime fiscale più favorevole, non costituisce abuso del diritto di libera circolazione delle merci e dei capitali conseguentemente, in ipotesi come queste, è da escludere la ricorrenza dei reati di contrabbando per evasione dell’IVA all’importazione, fatta salva la possibilità di insinuare una presunzione in ordine all’intento elusivo in campo tributario ove - diversamente da quanto accade in ambito penale - la necessità di apprestare ogni strumento di contrasto all’evasione legittima il ricorso a strumenti probatori anche semplificati.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 gennaio – 20 marzo 2014, numero 13039 Presidente Teresi – Relatore Di Nicola Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale del riesame di Cagliari, con ordinanza emessa in data 13 giugno 2013, confermava il decreto di sequestro preventivo adottato dal Gip presso il Tribunale della medesima città con il quale era stato disposto il sequestro preventivo dell'aeromobile Cirrus SR22, sigla , con riferimento al reato, attribuito a E.G. ed a C.S. , di cui agli articolo 110 cod. penumero e 292 d.P.R. del 23 gennaio 1973, numero 43 in relazione all'articolo 70 d.P.R. 26 ottobre 1973 numero 633 per avere, in concorso tra loro, il primo quale acquirente, il C. quale legale rappresentante della ditta austriaca intermediaria, Orion Handetsgesellscaft intermediazione in realtà fittizia e volta a realizzare i presupposti dell'evasione contestata immesso in consumo in Italia, in data 30 ottobre 2009 per fini privati, il velivolo Cirrus SR22 di produzione statunitense ed immatricolato negli USA con sigla sottraendolo al pagamento dell'IVA all'importazione per Dollari 142.570,00, pari ad Euro 96.331,08. Nel pervenire a tale conclusione il Tribunale territoriale rigettava tutte le eccezioni violazione del principio della domanda, omessa trasmissione degli atti al Tribunale del riesame ed i rilievi assenza del requisito dell'importazione del bene con conseguente violazione dei principi del diritto comunitario sulla libera circolazione dei beni impossibilità di configurare sanzioni, come la confisca, più gravi rispetto alle violazioni del mancato assolvimento dell'IVA interna estraneità dell'Airama s.r.l. al reato e sussistenza della buona fede avanzati dalla società ricorrente, terza interessata ed acquirente del velivolo in sequestro. 2. Per l'annullamento dell'ordinanza impugnata, ricorre per cassazione, tramite il difensore di fiducia, il legale rappresentante della Airama s.r.l. affidando il gravame a quattro articolati motivi. 2.1. Con il primo motivo si lamenta violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b e c , cod. proc. penumero per inosservanza ed erronea applicazione degli articolo 324 e 321 cod. proc. penumero in relazione all'articolo 240 cod. penumero . Si deduce che il Tribunale del riesame non ha erroneamente rilevato il vizio di ultrapetizione del provvedimento impugnato, per violazione del principio di correlazione tra richiesta e pronuncia cautelare, avendo il Gip disposto un sequestro preventivo impeditivo in difetto di domanda cautelare in tal senso, avendogli il pubblico ministero chiesto un provvedimento coercitivo reale finalizzato alla confisca ed essendo altresì viziata la pronuncia del Tribunale che ha, a sua volta, ritenuto legittimo il decreto individuando il periculum in mora nella confiscabilità del bene. 2.2. Con il secondo motivo si lamenta violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. c , cod. proc. penumero per inosservanza dell'articolo 324 cod. proc. penale avendo il Tribunale del riesame confermato il provvedimento impugnato nonostante non fossero stati trasmessi gli atti, espressamente richiesti dalla difesa nel corso dell'incidente cautelare, sui quali fondava la domanda di sequestro. 2.3. Con il terzo motivo si lamenta violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero per erronea applicazione dell'articolo 321 cod. proc. penumero e articolo 240 cod. penumero in relazione agli articolo 301 d.P.R. numero 43 del 1973 e 70 d.P.R. numero 633 del 1972 non sussistendo alcuna violazione del regime IVA nell'importazione del bene in costanza di una cessione intracomunitaria ed avuto riguardo alle pronunce emesse in tal senso dalla Corte di Giustizia. 2.4. Con il quarto motivo si lamenta violazione dell'articolo 606, comma 1, lett. b , cod. proc. penumero per erronea applicazione degli articolo 301 d.P.R. numero 43 del 1973 e 70 d.P.R. numero 633 del 1972 per impossibilità di disporre la confisca ed il sequestro a fini di confisca nei confronti di soggetto estraneo al reato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato sulla base del terzo motivo di gravame nei limiti e sulla base delle considerazioni che seguono. 2. Il primo motivo è infondato. Il pubblico ministero ha esercitato l'azione cautelare ravvisando il periculum in mora nella confiscabilità del bene. A ragione dunque la ricorrente società si duole del vizio di ultrapetizione del provvedimento del Gip, che ha ravvisato la sussistenza anche delle esigenze cautelari impeditive in assenza di apposita domanda in tal senso da parte del pubblico ministero. Va tuttavia precisato che il Gip ha disposto il sequestro preventivo anche per fini di confisca, avendo testualmente dato atto nel decreto come per il reato configurato fosse “prevista la confisca obbligatoria”. Rettificata perciò la motivazione adottata dal Tribunale ai sensi dell'articolo 619, comma 1, cod. proc. penumero , ne consegue l'infondatezza del motivo. 3. Anche il secondo motivo di gravame è infondato. Con esso si deduce la nullità dell'ordinanza impugnata sostenendosi che la pronuncia del Tribunale del riesame sia stata emessa senza che al Collegio cautelare fossero stati trasmessi gli atti posti dal pubblico ministero a fondamento della domanda cautelare. Tuttavia il Tribunale ha rigettato la doglianza sul rilievo dell'assenza di prova circa il fatto che gli atti, dei quali la difesa denunciava la mancata trasmissione, fossero stati inoltrati al Gip con l'esercizio dell'azione cautelare. La critica mossa dal ricorrente è, sul punto, del tutto generica, non essendovi nel gravame alcuna indicazione, né allegazione, degli atti asseritamente trasmessi dal pubblico ministero al Gip ed invece non tramessi per la delibazione dell'incidente cautelare al tribunale del riesame, che ne avrebbe perciò omesso lo scrutinio. Va peraltro precisato che, in tema di riesame cautelare reale, l'autorità giudiziaria procedente, a differenza del procedimento di riesame personale articolo 309, comma 5, cod. proc. penumero . , non ha l'obbligo di trasmettere al tribunale tutti gli atti posti a fondamento della richiesta cautelare, ma esclusivamente quelli su cui si fonda il provvedimento oggetto del riesame articolo 324, comma 3, cod. proc. penumero , con la conseguenza che solo con riferimento a detti atti, la cui trasmissione sia stata, per ipotesi, omessa a seguito della proposizione dell'istanza di riesame, è onere del Tribunale, su richiesta della parte interessata o d'ufficio, procedere alla relativa acquisizione, anche frazionata, decorrendo il termine perentorio per la pronuncia dalla completa trasmissione di essi mentre, qualora la parte interessata voglia sottoporre altri atti, la cui esistenza si desuma dal compendio processuale, al controllo del Tribunale, è suo onere farne richiesta al pubblico ministero e depositarli nel corso dell'incidente cautelare o nel corso dell'udienza di discussione. 4. Il terzo motivo è fondato. 4.1. La ratio decidendi dell'ordinanza impugnata fonda sul rilievo che l'aeromobile in questione, per come risultato dagli atti di indagine, era stato immatricolato nel 2009 e quindi venduto ad una società trust statunitense per essere poi trasferito in Canada era stato introdotto nel territorio dello Stato italiano il 30 ottobre 2009 il 19 ottobre 2009 E.G. , dante causa della AIRAMA, aveva concluso un contratto d'assicurazione del velivolo da allora l'aereo si trovava stabilmente in Italia, dopo essere stato sdoganato in Danimarca. Alla luce di tali risultanze, il tribunale ha ritenuto provato che l'aeromobile fosse destinato ad essere fin dall'inizio importato in Italia, nel pieno godimento e disponibilità dell'E. , il quale aveva verosimilmente pagato con mezzi personali il prezzo d'acquisto, senza che, tuttavia, lo stesso ne risultasse importatore, né intestatario formale, in modo da eludere il pagamento dell'IVA all'importazione e da rendere problematica la riconducibilità a lui dell'intera operazione. Il Collegio cautelare ha tuttavia premesso che la scelta dello Stato membro dell'Unione nel quale introdurre il bene extraeuropeo nella Comunità costituisce esercizio del diritto di libera circolazione delle merci e dei capitali articolo 23 e 56 del Trattato CE , anche laddove ciò comporti il vantaggio di un trattamento fiscale più favorevole rispetto a quello previsto in altri Stati. Nondimeno, nella peculiare fattispecie, il tribunale ha ritenuto che l'esercizio di tale diritto sia avvenuto oltre i limiti ed in contrasto con gli scopi per i quali il diritto stesso è stato riconosciuto e protetto dall'ordinamento giuridico, avendo ravvisato tutti gli indici e le manifestazioni sintomatiche tipiche dell'abuso del diritto, desumibile dall'elemento intenzionale il fine abusivo esclusivo , da quello strutturale l'architettura complessiva non lineare delle operazioni negoziali sottostanti, prive di giustificazione economica diversa dal risparmio del tributo e da quello teleologia il risparmio indebito d'imposta . Nella specie, quindi, non vi era stato, secondo il tribunale, il legittimo esercizio di un diritto, ma una condotta connotata da profili di frode, intenzionalmente posta in essere al solo scopo di consumare un'evasione fiscale, altrimenti irrealizzabile e di dissimulare la realtà dei rapporti giuridici sottostanti, con la conseguenza che la fattispecie doveva essere ricostruita come una diretta importazione del bene in Italia dagli Stati Uniti con omesso pagamento dell'IVA all'importazione e, pertanto, sussunta nell'articolo 70 del d.P.R. numero 633 del 1972. 4.2. Deduce invece la ricorrente come il velivolo sia stato regolarmente importato nella comunità Europea, con la corresponsione dei previsti dazi doganali. Sottolinea quindi come l'IVA non sia stata evasa, in quanto assolta nel paese comunitario ove il velivolo era stato importato sicché, se in tale paese comunitario in questo caso la Danimarca si applica un'aliquota IVA pari a zero, ciò non significa che, al momento dell'importazione, sia stata evasa l'IVA, avendo la Corte Europea più volte chiarito che è contraria ai principi della CE qualsiasi norma nazionale che non riconosca valido l'assolvimento degli oneri tributari avvenuto in altro paese comunitario, secondo le norme di tale paese, con la conseguenza che, nel momento in cui è regolare sia dal punto di vista dei dazi doganali e sia dal punto di vista dell'IVA l'ingresso del bene nella Comunità Europea, il successivo passaggio intra-comunitario tra Danimarca ed Italia non può in alcun modo essere contestato come evasione dell'IVA all'importazione, se non ponendosi in aperto contrasto con i principi della legislazione comunitaria. Peraltro, secondo l'articolo 67 d.P.R. numero 633 del 1972 esiste importazione solo ove si tratti di beni originari da Paesi o territori non compresi nel territorio della Comunità e che non siano già stati immessi in libera pratica in altro Paese membro della Comunità . Nel caso di specie l'immissione in libera pratica era pacificamente avvenuta in Danimarca, motivo per cui, anche secondo la normativa nazionale la fattispecie non sarebbe sussumibile nella previsione dell'articolo 70 d.P.R. numero 633 del 1972 con conseguente inapplicabilità, neppure per estensione, delle sanzioni in tema di contrabbando. 4.3. I rilevi posti nei confronti dell'impugnata ordinanza sono fondati per le ragioni di seguito indicate. Nel caso di specie, va preliminarmente chiarito come il tribunale del riesame non abbia affatto ignorato la problematica concernente l'importazione di mercé intracomunitaria ma ha superato la questione circa la configurabilità o meno del reato di evasione dell'IVA cosiddetta interna ricostruendo la fattispecie, in presenza di un ritenuto e conclamato abuso del diritto, come sussumibile nell'ambito dell'importazione di mercé extracomunitaria, ossia di bene direttamente proveniente dagli Stati Uniti all'Italia, pervenendo alla conclusione di ritenere integrata la fattispecie di reato contestata. 4.4. Va poi precisato che la fattispecie incriminatrice, pur in presenza di una certa ambiguità della contestazione cautelare, non è stata costruita in relazione alla violazione dei diritti di confine e cioè come un'ipotesi di contrabbando doganale e tanto in conformità, seppure inespressa, alla più recente e prevalente giurisprudenza di questa Corte orientata nel senso di qualificare l'IVA all'importazione quale tributo interno a ciascuno Stato. A sostegno di tale orientamento milita la circostanza che l'IVA all'importazione ha natura di tributo interno con conseguente inapplicabilità della violazione contenuta nel d.P.R. numero 43 del 1973, con specifico riferimento alla fattispecie incriminatrice ex articolo 292, d.P.R. numero 43 del 1973, tanto sul rilievo che il rinvio, dall'articolo 70, d.P.R. numero 633 del 1972 alle leggi doganali, è operato solo quaod poenam da ultimo, Sez. 3, numero 34256 del 12/07/2012, Pierino, Rv. 253661 . Per la giurisprudenza comunitaria sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee del 25 febbraio 1988, causa Drexl C-299/86 , l'IVA all'importazione, richiesta dallo Stato italiano, ha natura di tributo interno, e può considerarsi compatibile con l'ordinamento comunitario e con il principio di neutralità fiscale soltanto alla duplice condizione che a la mercé importata non sia soggetta a doppia imposizione nel Paese d'esportazione ed in quello d'importazione b l'infrazione relativa all'IVA all'importazione non sia sanzionata più severamente di quella relativa agli scambi interni. 5. L'ipotesi di reato ritenuta fonda, avuto riguardo alla pronosticata condotta elusiva, sulla violazione dell'articolo 70 d.P.R. numero 633 del 1972 sotto il profilo dell'omesso pagamento di un tributo interno IVA . Quanto infatti al ravvisato abuso del diritto ed ai riflessi di esso sulla configurabilità della fattispecie contestata, questa Sezione ha affermato che la scelta di un qualunque Stato, nel quale introdurre il bene nella Comunità, ancorché determinata esclusivamente dal fatto che in detto Stato vi sia un regime fiscale più favorevole, non costituisce abuso del diritto di libera circolazione delle merci articolo 23 Trattato CE e dei capitali articolo 56 Trattato CE , con la conseguenza che, in tema di reati finanziari e tributari, la figura del cosiddetto abuso del diritto, qualificata dall'adozione al fine di ottenere un vantaggio fiscale di una forma giuridica non corrispondente alla realtà economica, non ha valore probatorio perché implica una presunzione incompatibile con l'accertamento penale, ed è invece utilizzabile in campo tributario come strumento di accertamento semplificato nel contrasto all'evasione fiscale Sez. 3, numero 14486 del 26/11/2008 dep. 02/04/2009 , Rusca, Rv. 244071 . Peraltro - pur avendo il tribunale costruito la fattispecie come una importazione extracomunitaria ossia da paese terzo, rispetto alla Comunità Europea nella specie, Stati Uniti , all'Italia - l'articolo 67 del d.P.R. numero 633 del 1972 richiede due presupposti affinché il bene introdotto nel territorio dello stato italiano, come fondatamente lamenta il ricorrente, costituisca una importazione suscettibile di radicare l'obbligo del versamento dell'IVA all'importazione, la cui omissione possa essere penalmente sanzionata dall'articolo 70 d.P.R. numero 633 del 1973. È necessario cioè che i beni siano originari da Paesi o territori non compresi in quelli della Comunità e che essi non siano stati immessi in libera pratica in altro Paese membro della Comunità stessa. L'immissione in libera pratica comporta il pagamento dei dazi doganali, unici per tutto il territorio dell'Unione, costituenti una risorsa autonoma della Comunità. Risulta pacifico e non controverso che il velivolo sia stato sdoganato in Danimarca, ivi immesso in libera pratica e solo successivamente introdotto in consumo in Italia. L'ordinanza impugnata va pertanto annullata senza rinvio, conseguendo da ciò l'annullamento anche del titolo cautelare e la restituzione dei beni in sequestro in favore degli aventi diritto. P.Q.M. Annulla senza rinvio l'ordinanza impugnata nonché il decreto di sequestro preventivo emesso dal Gip del Tribunale di Cagliari in data 14.05.2013 numero 3536/2013 R. Gip e ordina la restituzione di quanto in sequestro in favore dell'avente diritto. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all'articolo 626 cod. proc. penumero .