Se il debitore dispone del suo patrimonio mediante vendita contestuale di una pluralità di beni, devono ritenersi in re ipsa l’esistenza e la consapevolezza del pregiudizio patrimoniale arrecato al creditore, mentre per i sub acquirenti la prova della scientia fraudis può essere anche presunta.
Questo il principio affermato dalla Terza sezione Civile della Suprema Corte, nella sentenza numero 18034 depositata il 25 luglio 2013, chiamata a pronunciarsi sulla legittimità dell’azione revocatoria proposta da un istituto di credito. Il caso. La questione atteneva ad una compravendita effettuata nel 1991, con la quale la nuora aveva acquistato tutto il complesso immobiliare del suocero, debitore di un istituto di credito lombardo, nei confronti del quale l’anziano aveva cumulato uno scoperto di conto corrente bancario di £. 70 milioni. Con citazione del 23 febbraio 2006 la banca aveva citato in giudizio la donna, chiedendo l’accertamento della simulazione e, comunque, la dichiarazione di inefficacia dell’atto notarile nelle more del giudizio l’istituto aveva altresì appreso che con atto del 1992 il medesimo compendio era stato rivenduto, tanto che aveva convenuto in giudizio anche i sub acquirenti. Il tribunale aveva dichiarato l’inefficacia della vendita del 1991 e di quella successiva, chiarendo che la nuora non poteva non essere a conoscenza della situazione debitoria familiare, mentre i sub acquirenti si presumevano consapevoli dello scopo della vendita di sottrarre la garanzia del creditore, in virtù della precedente cessione, fatta dal suocero soli 6 mesi prima del loro acquisto. La pronuncia era stata confermata anche dalla Corte di appello, perché i sub acquirenti avevano comprato un compendio che, fino a poco tempo prima, era appartenuto al debitore ed alla sua famiglia e ciò costituiva, in sé, circostanza idonea a far presumere la malafede di costoro. Vieppiù, la Corte di merito aveva rilevato che l’ultimo acquisto era avvenuto con due atti stipulati a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro e, al momento della trascrizione, sul bene risultava già iscritta la revocatoria dell’istituto di credito. Avverso la pronuncia di secondo grado è stato interposto gravame innanzi alla Corte di cassazione ad opera degli ultimi acquirenti, i quali hanno denunciato 1.a violazione e falsa applicazione di norme di diritto per aver erroneamente presupposto la malafede nella seconda compravendita 1.b ulteriori violazioni di legge per omesso rilievo del fatto che gli immobili rientravano in un complesso aziendale affittato ad un terzo, fatto non contestato 2 carenza di motivazione e contraddittorietà su un punto decisivo della controversia, per aver erroneamente tratto, dalla trascrizione fatta dalla banca, la presunzione di malafede dei sub acquirenti. Evidente la prova della scientia fraudis. All’esito del giudizio di legittimità, la Suprema Corte ha, tuttavia, confermato la pronuncia di secondo grado, per essersi conformata ai costanti principi di diritto in tema di azione revocatoria. Invero, i giudici supremi hanno rilevato che la vendita contestuale di tutti i beni del debitore costituisce prova della consapevolezza, sua e dei terzi, di recare pregiudizio ai creditori, ai fini dell’esercizio – da parte di questi ultimi – dell’azione pauliana. Quanto alla posizione dei sub acquirenti, la Corte ha evidenziato che la prova della scientia fraudis può essere desunta come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità, da una molteplicità di fatti noti connessi tra loro che, nel caso di specie, erano ravvisabili nell’esistenza di un vincolo familiare tra le parti e la rivendita a breve distanza di tempo. Nessun vizio logico è stato, dunque, ravvisato nell’aver ritenuto provata la scientia fraudis dei sub acquirenti, per i quali è sufficiente, a parere della Corte, la conoscenza che l’atto di cui si chiede la revoca determini per i creditori l’eventus damni, risultando, per tabulas, per il secondo acquisto. Il ricorso è stato, pertanto, respinto, con condanna al pagamento delle spese di lite.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 febbraio - 25 luglio 2013, numero 18034 Presidente Trifone – Relatore Chiarini Svolgimento del processo Con sentenza del 23 febbraio 2006 la Corte di appello di Milano ha premesso 1 con citazione del 24 marzo 1992 la Banca Provinciale Lombarda s.p.a. aveva citato in giudizio C C. , nei cui confronti vantava uno scoperto di conto corrente di L. 70 milioni, C.P. , M.R. e P. , suoi garanti, e A F. , moglie di C.P. e nuora di C.C. , acquirente, con atto notarile dell'11 settembre 1991, di tutto il complesso immobiliare del debitore e pertanto aveva chiesto di accertare la simulazione e comunque di dichiarare l’inefficacia della compravendita 2 venuta la predetta banca a conoscenza che con atto del 10 e 14 febbraio 1992 la F. aveva, rivenduto detti beni a M.L. e Li Ma. , li aveva convenuti in giudizio nel quale erano intervenuti, quali creditori, le s.r.l. Capittini e Alfa Laval Agri 3 il Tribunale aveva dichiarato l’inefficacia della vendita del settembre 1991, del 10 febbraio 1992 e del 1 febbraio 1992 con provvedimento integrativo di errore materiale per le seguenti ragioni a la nuora F. era a conoscenza della situazione debitoria della famiglia e i M. erano a conoscenza che sei mesi prima del loro acquisto la venditrice aveva acquistato tutti i beni del C. , suo suocero e padre di suo marito, garante dei debiti di costui b la vendita di tutti i beni costituiva presunzione di conoscenza per i terzi dello scopo della F. di rafforzare in tal modo la prima vendita del debitore, con l’evidente intento di sottrarre la garanzia dei creditori, mentre era indimostrata la concessione, da parte della stessa banca, di un mutuo agrario ai M. per acquistare il compendio. La Corte di merito ha confermato questa decisione perché i M. avevano acquistato tutto il compendio immobiliare pochi mesi prima appartenuto ai debitori, e questo costituiva in sé circostanza idonea a far presumere la malafede di costoro, tanto più che l’acquisto era avvenuto con due atti, distanti qualche giorno l’uno dall'altro, a sei mesi dall'acquisto della F. , all'epoca ventottenne inoltre sui beni acquistati con atto del 10 febbraio 1992, trascritto l’11 febbraio 1992, in questo stesso giorno, con numero d'ordine successivo, era stata trascritta la revocatoria della Cariplo del 6 febbraio 1992, mentre sui beni acquistati il 14 febbraio 1992 vi era già la trascrizione dell'11 febbraio 1992 della predetta Cariplo. Ricorrono M.L. e Li. cui resiste la s.p.a. Intesa San Paolo che ha altresì depositato memoria. Motivi della decisione 1.A - Con il primo motivo i ricorrenti deducono Violazione e falsa applicazione di norme di diritto articolo 360 numero 3 c.p.c. per aver i giudici di merito ritenuto la malafede dei M. per aver comprato dalla nuora del debitore e dopo sei mesi dall'acquisto da costui, ma queste circostanze non emergono dai registri immobiliari, se non l’identità di indirizzo delle parti, e neppure iscrizioni o trascrizioni pregiudizievoli, con conseguenti plurime, inammissibili preaesumptio de praesumpto. A.2- Ulteriori violazioni di regole di diritto concernenti la prova per presunzioni e sull'esistenza di fatti pacifici agli atti del giudizio per non aver i giudici di merito considerato che tutti i beni acquistati rientravano in un complesso aziendale affittato ad un terzo, fatto non contestato. B. Carenza di motivazione e contraddittorietà su punto decisivo della controversia articolo 360 numero 5 c.p.c. per aver contraddittoriamente la Corte di merito riconosciuto che la trascrizione della Cariplo sull'acquisto del 10 febbraio 1992 è successiva a quella dei M. , e tuttavia tratto da tale circostanza la presunzione di malafede di costoro, e che sull'acquisto del 14 febbraio 1992 non vi era trascrizione perché la Cariplo non era creditrice di C.P. e M. e del resto, se le trascrizioni vi fossero state, non vi sarebbe stato bisogno della revocatoria da parte della Cariplo, né i M. avrebbero acquistato i beni. I motivi, congiunti, sono infondati. Infatti la Corte di merito si è conformata ai principi secondo il quale in tema di azione revocatoria ordinaria, nel caso in cui il debitore disponga del suo patrimonio mediante vendita contestuale di una pluralità di beni, devono ritenersi in re ipsa l'esistenza e la consapevolezza sua e dei terzi acquirenti del pregiudizio patrimoniale che tali atti arrecano alle ragioni del creditore, ai fini dell'esercizio da parte di quest'ultimo dell'azione pauliana, mentre, per i subacquirenti la prova della scientia fraudis può esser desunta come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo i un criterio di normalità, da una molteplicità di fatti noti connessi tra loro, come nel caso in cui il primo acquirente, legato da vincolo familiare al primo venditore - debitore, a breve distanza rivenda tutti i beni acquistati. Questo è il caso di specie in cui il C. ha venduto tutto il complesso immobiliare a sua nuora, moglie di uno dei suoi garanti costei, ventottenne, dopo sei mesi li ha rivenduti gli acquirenti hanno stipulato due atti a qualche giorno di distanza l’uno dall'altro, e al momento del secondo acquisto vi era già la trascrizione della domanda di revocatoria della Cariplo. Nessun vizio logico - giuridico è dunque ravvisabile nell'aver ritenuto provata la scientia fraudis dei subacquirenti - per i quali è sufficiente la conoscenza che l'atto di cui si chiede la revoca determini per i creditori l’eventus damni - che per il secondo acquisto è per tabulas, stante l'anteriore trascrizione della revocatoria, che esclude qualsiasi affidamento incolpevole. Concludendo il ricorso va respinto. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti a pagare alla Sanpaolo Imi s.p.a. le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in Euro 6.300, di cui Euro 200 per spese, oltre accessori di legge.