Non pagare l’affitto in famiglia è elusione

E’ dovuto il canone di affitto dal figlio alla società del proprio genitore in quanto il mancato pagamento comporta elusione fiscale.

La S.C., con la sent. 25 giugno 2013, n. 15968, ha ritenuto che nel caso di operazioni aventi come unico scopo quello di consentire la deduzione dei relativi costi, che in realtà non sono sostenuti e che costituiscono ricavi, c’è abuso del diritto. L’abuso del diritto costituisce un limite all’esercizio di un diritto soggettivo, altrimenti potenzialmente illimitato. In particolare, il soggetto titolare del diritto lo esercita in modo anomalo per finalità ed obiettivi che non sono compresi tra quelli presenti nell’ordinamento giuridico. La figura dell’abuso del diritto rappresenta un mezzo di contrasto all’elusione fiscale, assurgendo a strumento di accertamento semplificato per la pubblica amministrazione su cui incombe l’onere di provare l’abusivo impiego di una norma giuridica finalizzato a trarre vantaggi economici diverso dal risparmio di imposta Cass., n. 25374/2008 . I negozi” posti in essere dal contribuente, quindi, possono essere disconosciuti dall’ufficio finanziario, nel caso in cui tali operazioni siano prive di valide motivazioni economiche. La norma tributaria contenente disposizioni antielusive è l’art. 37- bis d.p.r. n. 600/73, prevedendo il disconoscimento dell’ufficio di vantaggi economici conseguiti attraverso atti a contenuto elusivo. Detta norma non contiene, quindi, una clausola generale che impedisca quei negozi essenzialmente volti ad ottenere un risparmio fiscale, in quanto limita le difese antielusive del sistema ad alcune determinate operazioni sotto l’aspetto fiscale. Il caso. La società, affittuaria di un’azienda di proprietà di un’altra società di persone i cui soci erano i fratelli stessi e il padre, ha impugnato alcuni avvisi di accertamento riguardanti diverse imposte. In primo e secondo grado i giudici tributari hanno ritenuto che le somme non pagate a titolo di canone per l’affitto di azienda al padre dei soci rappresentava una mera tolleranza del locatore e, quindi, i relativi crediti della società locatrice non erano proventi per l’affittuaria e i soci. La S.C. ha ritenuto che la proprietà dell’azienda apparteneva ad una Sas il cui socio accomandatario era il padre e che i figli erano anche gli altri due soci della società. Di fatto in questa situazione il mancato pagamento del canone di affitto costituisce elusione fiscale. L’interpretazione del contratto a fini fiscali, volta a stabilire se i negozi o i redditi siano soggetti all’esatta imposizione, deve avvenire con criteri diversi da quelli utilizzabili ai fini civilistici, in quanto deve attribuirsi rilievo preminente agli effetti dei negozi stessi e alla necessità di evitare frodi ed abusi. Infatti l’autonomia contrattuale e la rilevanza degli effetti giuridici dei singoli negozi e non anche di quelli economici restano necessariamente circoscritti alla regolamentazione formale degli interessi delle parti Cass. 23584/2012 . Uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione. In materia tributaria il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati IVA nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione di obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge stessa, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali Cass. n. 10981/2009 Cass., SSUU, 30055/2008 CTR Emilia Romagna n. 92/2010 . Per quanto precede la S.C., decidendo nel merito, ha accolto il ricorso dell’amministrazione condannando i ricorrenti alla spese di giudizio. In tema di abuso del diritto si evidenzia la presentazione di un recente disegno di legge Atto Camera n. 2591 del 31 maggio 2013 che prevede, tra l’altro, la revisione delle vigenti norme antielusive. In particolare, nella proposta in tema di accertamento dell’abuso del diritto emerge la previsione di una formale e puntuale individuazione della condotta elusiva nonché un nuovo regime della prova per cui sarà l’amministrazione finanziaria a provare il disegno abusivo e le sue modalità di applicazione, mentre sul contribuente graverà l’onere di allegare l’esistenza di valide ragioni economiche extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti art. 3 .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 22 maggio – 25 giugno 2013, n. 15968 Presidente Cicala – Relatore Bognanni Svolgimento del processo 1. L'agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Toscana n. 10/16/10, depositata il 21 gennaio 2010, con la quale, rigettato l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, veniva accolta l'opposizione della società G. Arredamenti srl. e dei due soli soci, al 50% ciascuno, germani D. e L.G., relativamente agli avvisi di accertamento concernenti Irpeg, Irap ed Iva per la società stessa, nonché l'Irpef per i soci medesimi ciò riguardo al 2003. In particolare il giudice di secondo grado osservava che in ordine al ricarico l'agenzia non doveva adottare il criterio della media semplice, bensì di quella ponderale. Quanto alla deduzione dei costi, bene la società aveva fatto nel non seguire il criterio della competenza, atteso che di essi non si era avuta la determinazione numeraria se non nel 2003. Quanto poi alle sopravvenienze attive, la CTR osservava che, per le somme non pagate a titolo di canone per l'affitto di azienda al padre dei soci, e cioè L.G., ciò non costituiva una rinuncia ad esso da parte del locatore, ma al più una tolleranza, trattandosi dei figli, e quindi i relativi crediti della società locatrice, e cioè la G.L. & amp C. sas., non potevano essere considerati come proventi per l'affittuaria e soci. La G. Arredamenti e i due G. resistono con controricorso, ed hanno depositato memoria. Motivi della decisione 2. Con il motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione di norme di legge, in quanto la CTR non considerava che la ripresa a tassazione dei canoni di affitto non corrisposti per diversi anni scaturiva dalla evidente finalità dei contribuenti di ricavare solo dei vantaggi fiscali dall'affitto medesimo, tanto che nel relativo contratto del 1994 era espressamente previsto che il ritardo di un solo mese comportava il diritto alla risoluzione del negozio, salvo il risarcimento del danno. Inoltre i locali dell'azienda sono ufficialmente di proprietà della società G. sas. di G.L. & amp C, della quale sono soci soltanto il padre e i due figli, tanto che solo parte dei canoni del 2001 era stata pagata nel 2005, e quindi si trattava di operazioni aventi come unica finalità quella di consentire le deduzioni dei pretesi costi, che in realtà non venivano sopportati, e che, invece costituivano ricavi. Il motivo è fondato. E' dato pacifico tra le parti che la proprietà dell'azienda in argomento appartiene alla società G.L. & amp C. sas., di cui è accomandatario L., e che i figli di questi, attuali controricorrenti, ne sono pure gli unici soci assieme a lui. Di fatto quindi sono essi che dispongono dell'azienda gestita formalmente dalla G. Arredamenti srl., e tale situazione comporta la presunzione di un'ipotesi, quanto meno, di elusione fiscale. Va premesso al riguardo che l'interpretazione dei contratto a tali fini fiscali , volta a stabilire se i negozi o i redditi siano soggetti alla esatta imposizione, deve avvenire con criteri diversi da quelli utilizzabili ai fini civilistici, e deve attribuire rilievo preminente agli effetti dei negozi stessi ed alla necessità di prevenire frodi ed abusi Cfr. anche Cass. Sentenze n. 23584 del 20/12/2012, n. 12249 del 19/05/2010 . Del resto, com'è noto, in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, il quale preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un'agevolazione o un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici. Tale principio trova fondamento, in tema di tributi non armonizzati nella specie, imposta Iva , nei principi costituzionali di capacità contributiva e di progressività dell'imposizione, e non contrasta con il principio della riserva di legge, non traducendosi nell'imposizione dì obblighi patrimoniali non derivanti dalla legge, bensì nel disconoscimento degli effetti abusivi di negozi posti in essere al solo scopo di eludere l'applicazione di norme fiscali. Esso comporta l'inopponibilità del negozio all'Amministrazione finanziaria, per ogni profilo di indebito vantaggio tributario che il contribuente pretenda di far discendere dall'operazione elusiva, anche diverso da quelli tipici eventualmente presi in considerazione da specifiche norme antielusive entrate in vigore in epoca successiva al compimento dell'operazione V. pure Cass. Sez. U, Sentenza n. 30055 del 23/12/2008, Sent. n. 12237 del 2008 . Quindi sul punto la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto. 3. Ne deriva che il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della decisione impugnata, senza rinvio, posto che la causa può essere decisa nel merito, atteso che non occorrono ulteriori accertamenti di fatto, ex art. 384, comma 2 cpc, e rigetto di quello in opposizione dei contribuenti avverso l'avviso di liquidazione. 4. Quanto alle spese del doppio grado, sussistono giusti motivi per compensarle, mentre le altre di questo giudizio seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata, e, decidendo nel merito, rigetta quelli introduttivi compensa le spese del doppio grado, e condanna i controricorrenti in solido al rimborso di quelle di questo giudizio a favore della ricorrente, che liquida in euro 3.500,00 tremilacinquecento/00 per onorario, oltre a quelle prenotate a debito.