Non si può contestare l’esame delle prove se l’impianto motivazionale è fondato

In tema di acquisto per usucapione di una servitù e più nello specifico di una servitù di passaggio, spetta al giudice investito della controversia valutare le prove fornite dalle parti ai fini della valutazione della nascita del diritto per l’uso incontestato e pacifico.

Ne discende che non è viziata la sentenza che valorizzi alcuni elementi probatori senza esaminarne altri, allorquando tali ultimi siano comunque ininfluenti rispetto alla validità delle altre prove acquisite. Questo in sintesi, il cuore della sentenza numero 7219/2013 della Seconda Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, depositata in cancelleria lo scorso 21 marzo. Galeotta fu la sostituzione della chiave di un portoncino. Per arrivare alla decisione appena sintetizzata ci sono voluti ben 18 anni non certo una novità e tre gradi di giudizio. Il tutto è partito dalla sostituzione della chiave di un portone da parte delle proprietari dei piani alti di un edificio. Le proprietarie del primo piano, nonostante avessero accesso alle loro abitazioni anche da due altri portoni, proponevano giudizio possessorio chiedendo la cessazione della turbativa all’esercizio del loro diritto di proprietà mediante la consegna delle chiavi o quanto meno la dichiarazione dell’intervenuta costituzione della servitù di passaggio per usucapione. In primo grado la domanda veniva accolta mentre nel giudizio di appello, in totale riforma della decisione impugnata, la Corte d’appello di Cagliari non solo riteneva insussistente un qualsivoglia diritto di proprietà o comproprietà del portoncino cui erano state sostituite le chiavi e quindi del collegato vano scale, ma considerava anche insussistente l’usucapione della servitù di passaggio per mancanza di prova da parte delle appellate originarie attrici che lo avevano invocato. Da qui il ricorso per Cassazione. L’onere probatorio riguardante gli acquisti per usucapione dei diritti reali. Come per ogni giudizio per il quale non è altrimenti stabilito, anche per quello per la valutazione dell’intervenuta usucapione vale l’ordinario regime probatorio. In poche parole chi vanta tale tipo di acquisto deve provarlo in giudizio articolo 2697 c.c. . A tal proposito la Cassazione ha avuto modo di specificare che «chi agisce in giudizio per essere dichiarato proprietario di un bene, affermando di averlo usucapito, deve dare la prova di tutti gli elementi costitutivi della dedotta fattispecie acquisitiva e, quindi, non solo del corpus , ma anche dell' animus quest'ultimo elemento, tuttavia, può eventualmente essere desunto in via presuntiva dal primo, se vi è stato svolgimento di attività corrispondenti all'esercizio del diritto di proprietà, sicché è allora il convenuto a dover dimostrare il contrario, provando che la disponibilità del bene è stata conseguita dall'attore mediante un titolo che gli conferiva un diritto di carattere soltanto personale» Cass. numero 14092/2010 . Quanto all' animus possidendi , necessario all'acquisto della proprietà per usucapione da parte di chi esercita il potere di fatto sulla cosa, sempre la Suprema Corte ha avuto modo di specificare che esso «non consiste nella convinzione di essere proprietario o titolare di altro diritto reale sulla cosa , bensì nell'intenzione di comportarsi come tale, esercitando corrispondenti facoltà, mentre la buona fede non è requisito del possesso utile ai fini dell'usucapione» Cass. numero 10230/2002 . Spetta al giudice valutare e selezionare il materiale probatorio presentato dalle parti. Nel caso risolto con la sentenza in commento, il giudice di secondo grado, rigettando la richiesta di acquisto per usucapione, ha inteso dare maggior peso alle prove fornite dalle originarie convenute poi appellanti , poiché le circostanze dai testi da esse dedotti non erano state contrastare da quelli di parte attrice. Proprio queste ultime, ricorrenti per cassazione, avevano contestato la sentenza di appello che, secondo loro, era viziata da insufficiente e contraddittoria motivazione derivante proprio da un omesso esame di risultanze probatorie. Gli Ermellini, però, sono stati di diverso avviso. Si legge nella sentenza in esame, che ha richiamato un consolidato orientamento di legittimità, che «il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione, integra un vizio di omesso esame di un punto decisivo solo se risultanze processuali di cui sarebbe stato omesso l’esame siano tali da invalidare l’efficacia delle altre prove acquisite sulle quali è stato fondato il convincimento del giudice, così da farne venir meno la “ ratio decidendi ”». Come dire la valutazione delle prove riportata in sentenza, anche se parziale ma pur sempre coerente con l’intero materiale probatorio, non può inficiare la validità di quella decisione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 19 febbraio – 21 marzo 2013, numero 7219 Presidente Triola – Relatore Nuzzo Svolgimento del processo Con atto di citazione 5.1.95 G. e C.M.M. convenivano in giudizio,innanzi al Tribunale di Oristano, M.A. , M.C. e M.M.A. esponendo di essere proprietarie, da oltre quarant'anni, di un appartamento in , corrispondente al primo piano di uno stabile censito al N.C.E.U. al fg. 37, mapp. 894/ sub 2 e 895 e che le convenute erano proprietarie degli appartamenti ubicati al secondo, terzo e quarto piano dello stabile stessi di essersi sempre avvalse, per accedere al loro immobile, di tre distinti ingressi, contraddistinti rispettivamente con i civici numero omissis le convenute, nel 1991, avevano provveduto a sostituire il portone d'ingresso del civico , omettendo di consegnare loro copia delle nuove chiavi di avere promosso, nel 1993, contro le stesse M. , giudizio possessorio, ex articolo 949 c.c., innanzi alla Pretura di Macomer, per turbative relative alla proprietà condominiale del portone d'ingresso al civico e del prospiciente androne attraverso cui si accedeva alle scale, anch'esse comuni e che conducevano sia agli appartamenti di proprietà M. e sia all'appartamento di proprietà C. . Chiedevano, quindi, la condanna delle convenute alla cessazione delle turbative oltre al risarcimento dei danni ed, in via subordinata, che fosse riconosciuto il loro diritto al passaggio attraverso il civico numero omissis . Si costituivano in giudizio le convenute rilevando che le attrici ed i loro genitori non avevano mai utilizzato il portone e le scale al civico e che, comunque, le scale stesse erano di proprietà esclusiva di esse M. . Il Tribunale di Oristano, con sentenza 3.2.2005, ritenuta provata la domanda sulla scorta delle deposizioni testimoniali e di una perizia giurata prodotta in giudizio dalle attrici, condannava le convenute a consegnare alle attrici copia delle chiavi del protone di accesso al loro immobile posto al civico numero . Avverso tale sentenza A. , C. e M.M.A. proponevano appello cui resistevano C.M. e G. . Con sentenza depositata il 9.10.2006 la Corte di Appello di Cagliari, in totale riforma della sentenza di primo grado, respingeva le domande proposte dalle germane C. sulla base delle dichiarazioni rese dai testi di parte convenuta i quali avevano escluso di aver mai visto le sorelle C. utilizzare detto ingresso, precisando che il portoncino in questione era tenuto chiuso nelle ore notturne e per lunghi periodi nei mesi estivi rilevava che le germane C. non avevano provato il possesso continuo e non interrotto per venti anni, potendosi ritenere che avessero utilizzato l'ingresso oggetto di causa per mera tolleranza delle M. peraltro, dalla copia dell'atto di acquisto , da parte di C.A. e M.M. , danti causa delle appellate,contrariamente a quanto affermato nella perizia prodotta nel corso del primo giudizio, non risultava che l'acquisto dell'appartamento C. avesse accesso dal civico numero . Per la cassazione di tale decisione propone ricorso C.G. , in proprio e quale erede universale di C.M.M. , formulando tre motivi con i relativi quesiti di diritto ex articolo 366 bis c.p.c Resistono con controricorso M.A.T. , M.C. e M.M.A. . La ricorrente ha depositato memoria in data 7.2.2013, con allegata dichiarazione di rinuncia al primo ed al secondo motivo di ricorso, confermando il terzo motivo. Motivi della decisione La ricorrente ha rinunciato ai primi due motivi con cui deduceva 1 nullità del procedimento e della sentenza in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.comma per omessa pronuncia e motivazione sulla domanda principale con cui le attrici, nel dedurre il carattere condominiale del portone d'ingresso al civico 67 e delle relative scale in quanto poste a servizio di tutte le unità immobiliari ubicate nello stesso stabile, avevano domandato che, ai sensi dell'articolo 949 c.c., il Tribunale adito ordinasse alle convenute M. la cessazione delle turbative in atto e l'adozione degli opportuni rimedi,ai sensi dell'articolo 949 c.comma quale domanda negatoria servitutis solo in via subordinata avevano proposto un'azione confessoria servitutis per l'accertamento del loro diritto di passaggio, attraverso l'ingrasso al numero civico , per aver usucapito la relativa servitù. La Corte d'appello aveva, peraltro, omesso di motivare sulla esistenza di detto diritto di comproprietà delle attrici ex articolo 1117 c.c. 2 violazione e falsa applicazione degli articolo 117 numero 1-1102 c.comma e 112 c.p.comma in relazione all'articolo 360 numero 3 c.p.c la Corte di merito aveva omesso di applicare la presunzione di condominialità prevista dall'articolo 1117 numero 1 c.comma per i portoni d'ingresso, i vestiboli e le scale non avendo le convenute M. fornito la prova dell'esistenza di un titolo contrario incorrendo in errore il giudice di appello aveva affermato pag. 4 della sent. impugnata che nessuno dei documenti prodotti contiene la previsione che le germane C. potessero utilizzare il civico per accedere al loro appartamento risultava invece da uno dei due atti di acquisto prodotti dalle attrici docomma 2 del fascicolo di primo grado , riguardanti l'acquisto dei vani tra loro comunicanti, costituenti nel loro insieme l'appartamento di loro proprietà e, precisamente dall'atto per notar Mura di Bosa del 6.6.53, l'accesso al piccolo appartamento di quattro vani sia dall'ingresso posto al civico numero omissis e sia da quello al civico numero omissis e che le scale che servono di accesso al predetto piano sono in comunione con i proprietari degli altri piani Con il terzo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla valutazione della prova della usucapione ventennale della servitù di passaggio contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, sussisteva la prova della sussistenza di detta servitù, avuto riguardo al tenore dell'atto pubblico in data 6.5.53, alla perizia prodotta nel giudizio di primo grado ed alle deposizioni rese dai testimoni indicati dalle attrici, attestanti che le germane C. avevano avuto il possesso ad usucapionem del portone al civico , anche tramite i loro danti causa, dal 1948 al 1985 con motivazione illogica la sentenza impugnata aveva desunto che le C. non avessero avuto alcun possesso di detto portone o che avessero utilizzato lo stesso per mera tolleranza delle M. , sol perché il portone stesso, secondo quanto riferito da alcuni testimoni, rimaneva chiuso nelle ore notturne o nei mesi estivi, non considerando che le C. , avendo le chiavi del portone di ingresso, erano comunque in grado di entrare quando il portone era chiuso. Premesso che la rinuncia della ricorrente ai primi due motivi di ricorso esime il Collegio dal loro esame, va rilevata l'infondatezza del residuo motivo sub 3 . Il giudice di appello ha affermato che le germane C. non avevano dato la prova rigorosa di aver usucapito detta servitù di passaggio, posto che dai documenti prodotti non risultava che potessero utilizzare il civico per accedere al loro appartamento ed avuto riguardo al tenore delle deposizioni rese dai testi di parte convenuta, non smentite da quelli di parte attrice sulle circostanze che il portoncino in questione fosse tenuto chiuso nelle ore notturne e per lunghi periodi estivi . Trattasi di motivazione esente da vizi logici e giuridici e, come tale, esulante dal sindacato di legittimità, risolvendosi le censure, sul punto, in una inammissibile valutazione alternativa delle prove. Al riguardo la giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, ribadito che il mancato esame di elementi probatori, contrastanti con quelli posti a fondamento della decisione, integra un vizio di o-messo esame di un punto decisivo solo se risultanze processuali di cui sarebbe stato omesso l'esame siano tali da invalidare l'efficacia delle altre prove acquisite sulle quale è stato fondato il convincimento del giudice,- così da farne venir meno la ratio decidendi Cass. numero 1875/2006 numero 11728/2002 numero 3183/1999 . Il ricorso va, pertanto, rigettato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano in Euro 2.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori di legge.