Il protagonista dell’incidente sostiene che la presenza di due arcate, di epoca antica, sulla strada a doppia corsia di marcia, senza segnalazione sul senso di percorrenza, abbia provocato la sua scelta di imboccare erroneamente l’arcata di sinistra. Ma tale tesi non può reggere troppo semplicistica. Sarebbe stato necessario portare elementi concreti per dimostrare che lo stato dei luoghi lo aveva spinto a sinistra, prima di addebitare la responsabilità al Comune.
Historia magistra vitae, ma, di certo, non ‘giustificazione’ per la ‘follia’ dell’automobilista. Che non può certo pensare di sostenere che la presenza di «due arcate, di epoca antica», lungo una strada a due corsie di marcia, possa aver ingenerato in lui dubbi tali da spingerlo a imboccare il ‘tunnel’ di sinistra contromano, portandolo a un clamoroso ‘frontale con «un’automobile proveniente dalla direzione opposta». Tesi, questa, che non può reggere, in assoluto. E, difatti, l’addebito per la responsabilità dell’incidente è a carico dell’automobilista, non del Comune Cassazione, sentenza numero 6306, Terza sezione Civile, depositata oggi . Arcate fatali. Già in prima battuta – ossia in Tribunale e in Corte d’Appello – la posizione assunta dall’automobilista è considerata erronea. Così come è considerata senza alcun fondamento la sua richiesta – avanzata nei confronti del Comune, di Roma per la precisione – per l’incidente di cui si è reso ‘protagonista’ alla guida di una Porsche. Respinta la ricostruzione proposta dall’uomo, che, ricordando il fattaccio, sostiene che «la strada passa sotto due arcate, risalenti ad epoca antica, che dividono in due la carreggiata» e che egli «ha imboccato l’arcata di sinistra rispetto alla sua direzione di marcia», quella cioè «riservata al traffico proveniente dall’opposta direzione», perché «non vi era segnalazione che la strada non era a senso unico». Così si spiega, secondo l’automobilista, il ‘frontale’ Ma, ad avviso dei giudici, lo scontro è solo «responsabilità esclusiva» dell’uomo, anche perché «vi è obbligo di segnalare il senso unico, non la normale direzione di marcia su due corsie». Danno potenziale. Questione chiusa, quindi? Non è di questo avviso l’automobilista, il quale – come da ricorso ad hoc in Cassazione – contesta l’ottica adottata dai giudici di secondo grado, richiamando «la responsabilità del Comune per i danni provocati da una strada posta sotto la sua custodia» e sostenendo che «lo stato dei luoghi presentava un’insidia a cui il Comune avrebbe dovuto rimediare con apposita segnaletica», che, invece, «era del tutto mancante». Ma tale tesi viene considerata assolutamente semplicistica dai giudici della Cassazione, i quali affermano come non siano evidenziati gli elementi per cui «la strada, su cui si è verificato il sinistro, sarebbe di per sé idonea a costituire causa efficiente del danno» né tantomeno le ragioni per cui «la situazione dei luoghi sarebbe stata tale da» indurre l’uomo «ad invadere l’opposta corsia di marcia». E si tratta di lacune decisive, perché, quando ci si trovi di fronte a «cosa di per sé inerte, la cui dannosità può esplicarsi solo congiuntamente all’azione altrui, in occasione dell’uso o del contatto con il comportamento umano», quale, per l’appunto, una strada, è necessario dimostrare che «lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente dannosa la normale utilizzazione». Ebbene, ciò è mancato, non essendo stato portato all’attenzione dei giudici alcun elemento tale da spiegare «perché un automobilista dovesse essere indotto a spostarsi sulla corsia di sinistra, anziché restare sulla sua destra, andando ad occupare la corsia opposta». Ecco, chiariscono i giudici, l’automobilista «avrebbe dovuto dimostrare» che «la situazione dei luoghi era tale da rendere necessitato, o, quantomeno da giustificare, lo spostamento a sinistra della sua autovettura». Solo così sarebbe stato possibile «presumere una responsabilità del Comune quale custode»
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 6 febbraio – 13 marzo 2013, numero 6306 Presidente Trifone – Relatore Lanzillo Svolgimento del processo Con sentenza numero 18, 2009, depositata il 5 gennaio 2009, la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza con cui il Tribunale della stessa città ha respinto la domanda di risarcimento dei danni proposta da A.B. contro il Comune di Roma, a seguito di uno scontro frontale verificatosi in Roma. Assumeva l’attore che, lungo il percorso da Piazza S. Croce in Gerusalemme a via Nola la strada passa sotto due arcate risalenti ad epoca antica, che dividono in due la carreggiata. Egli, alla guida della sua automobile Porsche, ha imboccato l’arcata di sinistra rispetto alla sua direzione di marcia, riservata al traffico proveniente dall’opposta direzione, poiché non vi era segnalazione che la strada non era a senso unico, e si è scontrato con un’automobile proveniente dalla direzione opposta. La Corre di appello ha ritenuto che lo scontro fosse da attribuire alla responsabilità esclusiva dell’attore, che ha invaso l’altrui corsia di marcia, e che vi è obbligo di segnalare il senso unico, non la normale direzione di marcia su due corsie. Il B. propone due motivi di ricorso per cassazione. Resiste l’intimato con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria. Il Collegio raccomanda la motivazione semplificata. Motivi della decisione 1. – Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’articolo 2051 cod. civ. e vizi di motivazione, oltre che errore nella valutazione dei fatti e delle prove, per avere la Corte di appello escluso la responsabilità del Comune per i danni provocati da una strada posta sotto la sua custodia. Denuncia altresì in subordine violazione dell’articolo 2043 cod. civ., poiché lo stato dei luoghi presentava un’insidia a cui il Comune avrebbe dovuto rimediare con apposita segnaletica, che nella specie era del tutto mancante. Il motivo si conclude con il seguente quesito “Dica la Suprema Corte se è vero che, al fine di escludere la responsabilità ex articolo 2031 cod. civ. che prevede la responsabilità del custode, a tenore del quale il danneggiato è onerato solo della prova dell’evento dannoso e del nesso causale, dovendosi presumere la responsabilità del custode P.A. che ha la possibilità di liberarsi dalla responsabilità mediante la prova liberatoria del fortuito c.d. responsabilità aggravata , non raggiunta nel caso in esame”. Con il secondo motivo denunci violazione dell’articolo 2043 cod. civ., perché la Corte di appello avrebbe negato la sussistenza dell’insidia, senza fornire idonea motivazione. Il quesito è così formulato “Dica la Suprema Corte se è vero che, al fine di negare la sussistenza dell’insidia occorra tenere in segnata considerazione nelle circostanze provate e documentate in atto, senza potersi limitare ad escludere la responsabilità della P.A. sul mero presupposto che la responsabilità del sinistro sarebbe da ascrivere ad esclusiva colpa dell’automobilista”. 2. – I due motivi, che possono essere congiuntamente esaminati perché connessi, sono inammissibili sotto più di un profilo, oltre che manifestatamente infondati. 2.1. – Sono inammissibili per l’inidoneità della formulazione dei quesiti di cui all’articolo 366 bis cod. proc. civ. I quesiti di diritto relativo alle violazioni di legge sono generici e astratti, non enunciano la fattispecie da decidere il principio che si assume erroneamente applicato dalla Corte di appello, né quello diverso che si vorrebbe venisse formulato in sua vece, si da consentire alla Corte di formulare con la decisione in principio di diritto chiaro, specifico e applicabile anche ai casi simili a quello di specie, come prescritto dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. civ. s.u. 5 gennaio 2007 numero 36 e 11 marzo 2008 numero 6420 Cass. civ. Sez. III, 30 settembre 2008 numero 24339 e 9 maggio 2008 numero 1153 . Quanto alle doglianze di vizi di motivazione, manca un momento di sentisi delle censure analogo a quello di diritto, da cui risulti la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione sarebbe da ritenere omessa, insufficiente e contraddittoria e le ragioni per cui essa è inidonea a giustificare la soluzione adottata, come prescritto dall’articolo 36 bis ult. Parte Cass. civ. Sez. Unumero 1° ottobre 2007 numero 20603 e 18 giugno 2008 numero 16258 Cass. civ. Sez. 3, 4 febbraio 2008 numero 2652 Cass. civ. Sez. III, 7 aprile 2008 numero 8897, numero 4646/2008 e numero 4719/2008, fra le tante . Tale requisito non si può ritenere rispettato quando solo al completa lettura dell’illustrazione del motivo - all’esito di un’interpretazione svolta dal lettore, anziché su indicazione della parte ricorrente - consenta di comprenderne il contenuto ed il significato Cass. civ., Sez. III, ord. 16 luglio 2007 numero 16002, numero 430/2008 e numero 4311/2008 . Non è consentito, infine, formulare un unico quesito per violazione di legge e vizi di motivazione, dovendo le diverse censure essere sintetizzate ognuna in uno specifico quesito cfr. fra le tante, Cass. civ. S.U. 9 marzo 2009 numero 5624 . 2.2. – I motivi sono inammissibili anche per difetto di specificità e di chiarezza, in quanto omettono ogni indicazione circa i presupposti di diritto e di fatto per l’applicabilità al caso di specie delle norme di cui si assume la violazione. E ciò ne manifesta anche l’infondatezza. Il ricorrente invoca l’articolo 2051 cod. civ. senza specificare per quali ragioni la strada su cui si è verificato il sinistro sarebbe di per sé idonea a costituire causa efficiente del danno, e per quali ragioni la situazione dei luoghi sarebbe stata tale da indurlo ad invadere l’opposta corsia di marcia. La responsabilità per il danno da cose in custodia è oggettivamente configurabile qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un’energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno scoppio di una caldaia, esalazioni venetiche da un manufatto, ecc. . Qualora per contro si tratta di cosa di per sé inerte, la cui dannosità può esplicarsi solo congiuntamente all’azione altrui, in occasione dell’uso o del contatto con il comportamento umano, quale una strada, la responsabilità di cui all’articolo 2051 cod. civ. richiede la dimostrazione di qualche cosa di più. Richiede cioè che lo stato dei luoghi presenti peculiarità tali da renderne potenzialmente danno la normale utilizzazione buche, ostacoli imprevisti, mancanza di guard-rail, incroci non visibili e non segnalati, ecc. . Nella specie manca ogni specifica indicazione di tali elementi ulteriori, sì da spiegare perché un automobilista - giunto al punto in cui la strada a due corsie di marcia da lui percorsa passa sotto due archi uno per ogni corsia - dovesse essere indotto a spostarsi sulla corsia di sinistra anziché restare sulla sua destra, andando ad occupare la corsia opposta, come la Corte di appello ha accertato essere avvenuto nel caso di specie. Il ricorrente dà per dimostrato ciò che avrebbe dovuto dimostrare cioè che la situazione dei luoghi era tale da rendere necessitato, o quanto meno da giustificare, lo spostamento a sinistra della sua autovettura presupposto imprescindibile perché si possa presumere una responsabilità del Comune quale custode, addossando allo stesso l’onere della prova contraria. 3. - Il terzo motivo, con cui il ricorrente lamenta la condanna alle spese, è manifestamente infondato, essendo egli risultato interamente soccombente. 4. - Il ricorso deve essere rigettato. 5. - Le spese del presente giudizio, liquidate nel dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate complessivamente in € 3.200,00, di cui € 200,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi oltre agli accessori previdenziali e fiscali di legge.