Le contestazioni messe nero su bianco, e considerate in primo e secondo grado come ingiuria, sono invece legittimate dallo stato d’ira provocato dalla inerzia dell’amministratrice. Quest’ultima avrebbe dovuto prestare maggiore attenzione alle ripercussioni di determinate decisioni sulla vita della condomina.
Accusa più grave è quella di “scorrettezza”. A finire nel mirino è un’amministratrice di condominio, oggetto di una lettera al curaro scritta da una condomina e recapitata, urbi et orbi, non solo a lei ma anche a tutti gli altri condomini. Esistono le premesse per contestare alla ‘scrivana’ i reati di ingiuria e diffamazione? Potenzialmente sì, ma l’«inerzia» tenuta dall’amministratrice nella gestione del condominio può essere valutato come «fatto ingiusto», capace di legittimare la reazione, seppur sopra le righe, della condomina Cassazione, sentenza numero 8336/2013, Quinta Sezione Penale, depositata oggi . Azione Ma, originariamente, diversa è stata l’ottica adottata dal Giudice di pace, e confermata in Tribunale. Più precisamente, è stato valutato «penalmente rilevante» il termine “scorrettezza” utilizzato dalla condomina nella missiva «indirizzata» alla stessa amministratrice «ed a tutti gli altri condomini». Nessun dubbio, quindi, sulla colpa della donna. Che, però, contesta tale decisione – con ricorso ad hoc in Cassazione – rivendicando «il legittimo esercizio del diritto di critica», concretizzatosi in una «censura dell’attività» dell’amministratrice «sotto il profilo professionale», e sostenendo di aver preso carta e penna in preda ad «uno stato d’ira, determinato dal fatto ingiusto dell’amministratrice del condominio, consistente, da un lato, nel non aver comunicato» alla condomina «preventivamente l’inizio dei lavori di ristrutturazione della facciata dello stabile, dall’altro nell’essere responsabile, in qualità questa volta di proprietario, dello sfondamento del soffitto del locale bagno dell’appartamento» della condomina «dovuto ai lavori che si stavano svolgendo nell’appartamento superiore, di proprietà, per l’appunto» dell’amministratrice. Tutti eventi, questi, «che avevano inciso sullo stato emotivo e sull’equilibrio psicofisico» personale, sostiene la condomina, che, in quel periodo, per giunta, era «sottoposta ad una terapia medica antitumorale». e reazione. Ebbene, la tesi sostenuta dalla condomina viene condivisa, in toto, dai giudici di Cassazione, i quali le riconoscono lo «stato d’ira» provocato da una «serie di comportamenti riconducibili» all’amministratrice del condominio. Dall’elenco degli episodi richiamati dalla condomina, difatti, emerge, secondo i giudici, che la amministratrice «ha agito con superficialità», non tenendo presenti le potenziali «conseguenze sulla tranquillità e sulla serenità delle quotidiane condizioni di vita» della condomina «all’interno della sua abitazione», condizioni che «andavano particolarmente garantite» anche «in considerazione dello stato di convalescenza» della donna. Sia chiaro, non vi è stato «un comportamento illecito o illegittimo» ma, di sicuro, vi è stato «un atteggiamento contrario al minimo inderogabile di attenzione alle esigenze altrui, richiesto dal vivere in una comunità civile», e questa «ingiustificabile inerzia», sottolineano i giudici, va valutata come «fatto ingiusto» che rende comprensibile lo «stato d’ira» della condomina e ne giustifica la reazione ‘nero su bianco’.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 24 settembre 2012 – 20 febbraio 2013, numero 8336 Presidente Zecca – Relatore Guardiano Ritenuto in fatto Con sentenza pronunciata il 10.1.2011 il tribunale di Lecco, in composizione monocratica, confermava la sentenza con cui il giudice di pace di Lecco, in data 12.4.2010, aveva condannato T.S., imputata dei reati di cui agli articolo 594 e 595, c.p., commessi il 27.5.2007 in danno di G.S., alla pena di euro 300,00 di multa, oltre al risarcimento dei danni derivanti da reato in favore della costituita parte civile, da liquidarsi in separato giudizio. Avverso tale sentenza, di cui chiede l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso l’imputata, a mezzo del suo difensore, lamentando innanzitutto l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale, in quanto in relazione all’unica espressione “scorrettezza” ritenuta dal giudice di secondo grado penalmente rilevante tra quelle utilizzate dall’imputata nella missiva indirizzata all’amministratrice dei condominio ed a tutti gli altri condomini con cui la accusava di “leggerezza”, “scorrettezza”, “mancanza di rispetto” e di “egoismo”, configurabile il legittimo esercizio del diritto di critica, in quanto in essa non si ravvisa alcuna gratuita aggressione alla sfera morale della persona offesa, ma solo una censura della sua attività sotto il profilo professionale. Identico vizio, poi, eccepisce la ricorrente anche in relazione al mancato riconoscimento in suo favore dell’esimente di cui all’articolo 599, co. 2, c.p., in quanto la condotta della T. costituisce una reazione del tutto legittima posta in essere in uno stato d’ira determinato dal fatto ingiusto dell’amministratrice del condominio, consistente, da un lato nel non aver comunicato all’imputata preventivamente l’inizio dei lavori di ristrutturazione della facciata dello stabile, dall’altro nell’essere responsabile, in qualità questa volta di proprietario, dello sfondamento del soffitto del locale bagno dell’appartamento della ricorrente, dovuto ai lavori che si stavano svolgendo nell’appartamento superiore, di proprietà, per l’appunto della persona offesa, eventi che avevano inciso sullo stato emotivo e sull’equilibrio psicofisico della T., in quel periodo sottoposta ad una terapia medica antitumorale. Considerato in diritto Fondato appare il secondo motivo del ricorso presentato nell’interesse di T.S., che ha agito in presenza della causa di non punibilità della provocazione di cui all’articolo 599, co. 2, c.p., di cui, nel caso in esame, ricorrono tutti i presupposti. Si osserva, al riguardo, come si sia affermato da tempo nella giurisprudenza di legittimità un consolidato orientamento secondo cui la causa di non punibilità della provocazione, prevista nei delitti contro l’onore, dovuta allo stato d’ira determinato dal fatto ingiusto altrui, è ravvisabile ogniqualvolta il soggetto attivo ponga in essere la condotta astrattamente offensiva mosso da uno stato d’animo direttamente riconducibile ai fatto altrui che, sebbene non illecito o illegittimo, si delinei quale atteggiamento contrario al vivere civile ovvero lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza cfr., ex plurimis, Cass., sez. V, 23.9.2008, numero 39411, P. Cass., sez. V, 16.12.2011, numero 9907, C.C. Cass., sez. V, 11.3.2009 numero 21455, C., rv. 243506 . Orbene nel caso in esame non appare revocabile in dubbio che l’espressione oggettivamente offensiva utilizzata dalla ricorrente nella missiva indirizzata alla persona offesa e, per conoscenza, anche agli altri condomini dello stabile dove vivono la G. e la T., con cui quest’ultima ha stigmatizzato la condotta dell’amministratrice del condominio, accusandola di “scorrettezza”, debba ritenersi la diretta conseguenza dello stato d’ira in cui l’imputata versava in forza di una serie di comportamenti riconducibili alla suddetta G. Di ciò, peraltro, il giudice di secondo grado, pur escludendo la sussistenza della menzionata causa di non punibilità, dà puntualmente atto, evidenziando 1 che nel 2006, nel corso dei lavori di ristrutturazione dell’appartamento di proprietà della G., sovrastante quello dell’imputata, si era verificato lo sfondamento della soletta di un bagno, con copiosa perdita d’acqua nei locali sottostanti e conseguente indubitabile grave disagio per la T., affetta anche da gravi problemi di salute 2 che all’imputata è derivato un ulteriore disagio dalla circostanza di non essere stata avvisata della esecuzione dei lavori di ristrutturazione dello stabile, per eseguire i quali vennero montati dei ponteggi su di una delle facciate dell’immobile proprio in prossimità del suo appartamento, che assicuravano il transito di macerie e di materiale di demolizione provenienti dai piani superiori, in quanto la T., reduce, in quel periodo, da un delicato intervento chirurgico, ove fosse stata preventivamente avvisata della data di inizio di tali lavori e della durata dei medesimi, avrebbe potuto anche decidere di trasferirsi altrove durante l’esecuzione delle opere 3 che l’amministratrice, proprio perché i menzionati lavori, pur non riguardando le parti comuni dell’edificio, richiedevano il montaggio di un’impalcatura sulla facciata comune, era stata informata dell’esecuzione dei lavori medesimi, ma non della data di inizio e della relativa durata cfr. pp. 2-3 dell’impugnata sentenza . Appare evidente, dunque, che la G., nella sua qualità di amministratrice del condominio, ha agito con superficialità, sottovalutando colpevolmente le conseguenze che il trambusto inevitabilmente prodotto dal montaggio dell’impalcatura, dalla esecuzione dei lavori di demolizione e dal trasporto dei materiali di risulta dai piani superiori, avrebbe potuto determinare sulla tranquillità e, quindi, sulla serenità delle quotidiane condizioni di vita della T. all’interno della sua abitazione, che andavano, invece, particolarmente garantite in considerazione dello stato di convalescenza in cui la ricorrente si trovava, all’esito di un delicato intervento chirurgico cui si era sottoposta, connesso alla patologia tumorale da cui era affetta. Nel non essersi attivata, come era in suo potere, per apprendere la data di inizio e la durata dei lavori, della cui esecuzione era stata messa al corrente dagli altri condomini, al fine di comunicarle alla T., in modo che quest’ultima potesse fare fronte agli inevitabili disagi cui sarebbe andata incontro, non costituisce certo un comportamento illecito o illegittimo, ma sicuramente un atteggiamento contrario al minimo inderogabile di attenzione alle esigenze altrui richiesto dal vivere in una comunità civile, in questo caso colpevolmente inosservato dalla G., che, anzi, avrebbe dovuto prestare una maggiore attenzione alle conseguenze che si sarebbero prodotte nella vita quotidiana della ricorrente, sia perché quest’ultima era una condomina dello stabile in cui sarebbero stati effettuati i lavori, sia in ragione dei pregressi rapporti tra le due donne, contraddistinti dai disagi subiti dalla T. in conseguenza dei lavori di ristrutturazione eseguiti nella sovrastante abitazione della stessa G. In questa ingiustificabile inerzia, e non nella esecuzione dei lavori di ristrutturazione, come erroneamente ritenuto dal giudice di secondo grado, deve essere identificato il fatto ingiusto altrui. Del pari va ritenuta sussistente anche il requisito della contiguità temporale tra il “fatto ingiusto” e la reazione della T., che si è verificata dopo l’inizio dei lavori. Come è stato affermato, infatti, ai fini del riconoscimento dell’esimente della provocazione nei delitti contro l’onore, infatti, non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa, come, ad esempio, nel caso di ingiuria realizzata a mezzo di una missiva, spedita giorni dopo la commissione del presunta fatto ingiusto cfr. Cass., sez. fer., 31.7.2007, numero 32323, M.G. . Nella fattispecie in esame appare evidente che lo stato d’ira ha accompagnato stabilmente la T., sostenendone l’azione sino al momento in cui essa si è concretizzata nella stesura e nell’invio della missiva contenente l’espressione offensiva innanzi menzionata, per cui, anche sotto questo ulteriore profilo, va riconosciuta l’operatività della causa di non punibilità di cui all’articolo 599, co. 2, c.p. La fondatezza del secondo motivo di ricorso, rende del tutto superfluo l’esame del primo. Sulla base delle svolte considerazioni, dunque, il ricorso proposto nell’interesse di T.S. va accolto, con annullamento senza rinvio, ai sensi dell’articolo 620, c.p.p., della sentenza pronunciata nei confronti dell’imputata, trattandosi di soggetto non punibile ai sensi dell’articolo 599, co. 2, c.p. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata senza rinvio, per essere l’imputata non punibile ex articolo 5519, co. 2, c.p.