Molestie su una bimba, colpevoli gli occhi chiusi della madre: condanna per violenza sessuale

Confermate in pieno le pene non solo per l’uomo, autore degli spregevoli abusi, ma anche per la donna, madre della bambina e colpevole non solo di non aver impedito le molestie ma addirittura di avere accompagnato la figlia a casa del ‘mostro’.

Molestie su una bambina di appena 14 anni. Quadro assolutamente degradante, reso ancora peggiore dalla passiva collaborazione della madre. Che, alla pari dello spregevole autore delle molestie, deve rispondere del reato di violenza sessuale Cassazione, sentenza numero 4127, Terza sezione Penale, depositata oggi . Abominio. Difficili anche da raccontare, non solo da immaginare, gli abusi subiti da una bambina. Colpevole, però, non solo lo spregevole autore delle molestie, un uomo di mezza età, ma anche la madre della bambina. Consequenziali, quindi, le condanne comminate dal Giudice per le indagini preliminari e confermate in Corte d’Appello, e fondate sull’addebito del reato di violenza sessuale. Unica modifica, decisa dai giudici di secondo grado, la riduzione della pena inflitta alla donna, condannata a quattro anni e otto mesi di reclusione e sovrastata dalla contestazione di «non avere impedito il protrarsi delle condotte, essendo presente alle violenze ed avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento quale genitore convivente della minore». Omissione. E questa linea di pensiero viene condivisa, nonostante le rimostranze manifestate dall’uomo e dalla donna, anche dai giudici della Cassazione, che, difatti, confermano in toto le pene così come delineate in Appello. Soprattutto perché la ricostruzione della tristissima vicenda è assolutamente chiara, soprattutto alla luce dei racconti fatti dalla bambina acclarati gli abusi compiuti dall’uomo, e, soprattutto, evidenti le complici omissioni della donna. Quest’ultima, in particolare, ha tenuto, all’epoca dei fatti, un comportamento «che non si era dimostrato per nulla idoneo ed efficace rispetto allo scopo di impedire l’evento pregiudizievole in danno» della figlia, addirittura «continuando a condurla presso l’abitazione» dell’uomo «contro la volontà della minore».

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 11 dicembre 2012 - 28 gennaio 2013, numero 4127 Presidente Mannino – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza 10.1.2012 la Corte d’Appello di Reggio Calabria ha confermato la pronuncia di colpevolezza del Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Locri nei confronti di S.F. e F.R., ritenuti responsabili - il primo, dei reati di cui agli articolo 81 cpv, 609 bis comma 2, 61 numero 5, 56, 610 e 61 numero 2 c.p. per avere compiuto ripetutamente in danno della infraquattordicenne R.C. atti sessuali consistiti in baci su tutto il corpo, palpeggiamenti vari, toccamenti di genitali e atti di masturbazione con l’aggravante delle circostanze di tempo e di luogo tali da ostacolare la privata difesa e per avere tentato di costringerla con minacce a non riferire fatti al fine di conseguirne l’impunità - la seconda, del reato di cui agli articolo 40 cpv, 110, 609 bis comma 2 e 61 numero 5 c.p. per non avere impedito il protrarsi delle suddette condotte, essendo presente alle violenze ed avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento quale genitore convivente della minore. La Corte d’Appello ha invece parzialmente riformato la pronuncia di primo grado limitatamente al trattamento sanzionatorio inflitto alla F., riducendole la pena ad anni quattro e mesi otto di reclusione, con le attenuanti generiche ritenute equivalenti alla contestata aggravante. Nel confermare il giudizio di responsabilità degli imputati, la Corte calabrese ha considerato pienamente attendibili le dichiarazioni della minore R.C. anche sulla base di riscontri tra cui il rinvenimento di particolari oggetti per bambine presso l’abitazione dello S. e le spiegazioni implausibili fornite dallo stesso sul possesso di tali oggetti la relazione dell’Associazione Cattolica Internazionale al Servizio del Giovane, le perizie svolte ha poi considerato che la F. tutt’altro che inconsapevolmente si era astenuta dall’impedire gli abusi sulla figlia continuando invece a condurla presso l’abitazione di lui contro la volontà della minore e quindi ha confermato l’esclusione del vizio totale o parziale di mente della donna. 2. Gli imputati con separati ricorsi domandano l’annullamento della sentenza deducendo violazioni di legge e vizi motivazionali. Considerato in diritto 1. Ricorso F. 1.1. Col primo motivo la F. denunzia violazione di legge articolo 42 e 43 c.p. nonché il vizio di motivazione in ordine all’elemento psicologico del reato rilevando che dagli atti emergevano elementi significativi di una volontà antagonista alla realizzazione dell’evento e quindi incompatibili con la responsabilità dolosa richiesta per la configurabilità della fattispecie di cui agli articolo 40 cpv. e 609 bis c.p. Col secondo motivo denunzia il vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione dell’attenuante del fatto di lieve entità di cui all’articolo 609 bis ultimo comma c.p. ritenendo che ai fini dell’esclusione dell’attenuante, non è rilevante la giovane età della parte offesa, occorrendo invece elementi di disvalore aggiuntivo sulla base dei criteri di cui all’articolo 133 c.p Rileva poi che non vi è, collegamento tra il deficit cognitivo attribuito alla minore e i fatti di causa, e che è impossibile fissare un momento iniziale della condotta attribuita all’imputata. Col terzo motivo la F. deduce il vizio di motivazione sul diniego della prevalenza delle attenuanti generiche rispetto alla contestata aggravante. Col quarto motivo si deduce infine la violazione degli articolo 132 e 133 c.p. nonché il vizio di motivazione sull’entità della pena inflitte, non potendosi considerare sufficiente il solo richiamo alla sentenza di primo grado, anche perché quanto più il giudice intenda discostarsi dal minimo edittale, tanto più ha il dovere di dare ragione del corretto esercizio del proprio potere discrezionale, dovendosi escludere il ricorso a mere clausole di stile. 1.2. Le censure sono tutte manifestamente infondate. E’ opportuno premettere che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, cfr. cass. sez. terza 19.3.2009 numero 12110 cass. 6.6.06 numero 23528 . L’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento cass. Sez. 3, Sentenza numero 35397 del 20/06/2007 Ud. dep. 24/09/2007 Cassazione Sezioni Unite numero 24/1999, 24.11.1999, Spina, RV. 214794 . Ebbene, nel caso di specie, la Corte d’Appello, in ordine all’elemento psicologico dell’imputata, ha spiegato che il suo comportamento non si era dimostrato per nulla idoneo ed efficace rispetto allo scopo di impedire l’evento pregiudizievole in danno di Caterina, pur avendo la F. l’oggettiva e concreta possibilità di evitare che la figlia venisse ulteriormente indotta a subire atti sessuali da parte dello S. per un rilevante lasso temporale cfr. sentenza pagg. 42 e ss. in cui viene dato conto di tale convincimento in maniera assai analitica richiamando anche ampi brani delle dichiarazioni della minore . Ha poi dato conto del diniego della attenuante del fatto di lieve entità osservando che, al contrario, si era trattato difatti di una certa gravità, consistenti in più episodi di palpeggiamenti posti in essere quando Caterina aveva da poco compiuto i quattordici anni ed era quindi poco più che una bambina ha poi dato peso all’episodio della masturbazione ed ha comunque riportato le argomentazioni del primo giudice condividendone il contenuto cfr. pag. 32 e 33 . Parimenti, ha considerato il disturbo ansioso depressivo da cui era affetta la F. ai fini della concessione della attenuanti generiche e, nell’esercizio del suo potere discrezionale, ha operato un giudizio equivalenza rispetto alla contestata aggravante cfr. pagg. 50 e 51 . La decisione non merita nessuna censura ai fini del giudizio di comparazione fra circostanze aggravanti e circostanze attenuanti, infatti, anche la sola enunciazione dell’eseguita valutazione delle circostanze concorrenti esaurisce l’obbligo della motivazione in quanto, rientrando tale giudizio nella discrezionalità del giudice, esso non postula un’analitica esposizione dei criteri di valutazione cass. Sez. 2, Sentenza numero 36265 del 08/07/2010 Ud. dep. 11/10/2010 Rv. 248535 Sez. 1, Sentenza numero 2668 del 09/12/2010 Ud. dep. 26/01/2011 Rv. 249549 Sez. 4, Sentenza numero 10379 del 26/03/1990 Ud. dep. 17/07/1990 Rv. 184914 . Nel caso in esame la complessiva motivazione della sentenza non fa emergere una qualsivoglia sua incoerenza interna collegata al giudizio di equivalenza fra le circostanze, con la conseguenza che sul punto la decisione, esclusivamente di merito, non è censurabile in questa sede. Ancora, sull’entità della pena base, la Corte calabrese ha ritenuto cfr. pag. 50 corretta quella di anni sette di reclusione fissata dal primo giudice in misura media e anzi più prossima al minimo, posto che la pena stabilita dal legislatore va da 5 a 10 anni di reclusione . E il Tribunale, a sua volta a pag. 172 della sentenza, aveva considerato le modalità e le particolare gravità della condotta descritta e le circostanze facendo riferimento all’articolo 133 c.p., mentre in appello la F. aveva dedotto l’incongruità della pena in relazione alla condotta e al ruolo cfr. fol. 407 . Del resto, secondo un generale principio al quale va senz’altro data continuità, le sentenze di primo e di secondo grado si saldano tra loro e formano un unico complesso motivazionale, qualora i giudici di appello abbiano esaminato le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli usati dal primo giudice e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai fondamentali passaggi logico-giuridici della decisione e, a maggior ragione, quando i motivi di gravame non abbiano riguardato elementi nuovi, ma si siano limitati a prospettare circostanze già esaminate ed ampiamente chiarite nella decisione impugnata cfr. cass. Sez. 3, Sentenza numero 13926 del 01/12/2011 Ud. dep. 12/04/2012 Rv. 252615 . Si è dunque in presenza di un percorso argomentativo assolutamente privo di incongruenze o salti logici, che come tale si sottrae al sindacato di legittimità. 2. Ricorso S. 2.1. Col primo motivo lo S. deduce la violazione dell’articolo 192 c.p.p. in relazione all’articolo 606 lett. b c.p.p. nonché il vizio di motivazione articolo 606 lett. e c.p.p. con riferimento alla ritenuta responsabilità penale dolendosi in particolare della ritenuta attendibilità dalle dichiarazioni della minore affetta da grave ritardo mentale oltre che da tendenza alla confabulazione , e del valore attribuito alle incerte perizie psicologiche. E passa ad analizzare le emergenze processuali. Col secondo motivo lo S. deduce anch’egli il vizio di motivazione in relazione alla omessa applicazione della attenuante di cui all’articolo 609 bis c.p.p. ultimo comma rileva in sostanza che si è trattato di un singolo episodio di induzione alla masturbazione dell’organo genitale del soggetto agente in mancanza di denudamento della persona offesa, di rapporti carnali e di atti di violenza. Col terzo motivo l’imputato S. deduce la violazione di legge e il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta aggravante di cui all’articolo 61 numero 5 c.p. Rileva in particolare che perché la casa dell’imputato non era un luogo isolato per cui non può sostenersi che la condotta sia stata favorita dai luoghi. Col quarto motivo si deduce infine il vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche rilevandosi che i fatti erano stati ridimensionati in dibattimento previo il riconoscimento del tentativo in ordine al reato di cui al capo b violenza privata in danno della minore ed esclusa l’ipotesi di cui all’articolo 609 ter in origine contestata all’imputato. 2.2. Anche queste censure sono manifestamente infondate. Innanzitutto, quanto alla dedotta violazione dell’articolo 192 c.p.p. in relazione all’articolo 606 lett. b c.p.p. di cui al primo motivo , va rilevato che questo caso di ricorso riguarda l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale o di altre norme giuridiche di cui si deve tener contro nella applicazione della legge penale, cioè un vizio che attiene a disposizioni di diritto sostanziale e non processuale cfr. cass. 3.7.1997 numero 8962 , come tale non invocabile nel caso di specie perché la norma che si ritiene in concreto violata è invece una disposizione di diritto processuale cioè l’articolo 192 c.p.p., riguardante appunto la valutazione della prova. Di qui l’inammissibilità della censura sotto tale profilo. Ma se anche si volesse ritenere che per una mera omissione del redattore sia sfuggita nella rubrica del ricorso l’aggiunta del richiamo alla lett. c dell’articolo 606, per avere la parte inteso far riferimento anche alla violazione di norme processuali, la censura non avrebbe miglior sorte. Secondo la giurisprudenza di legittimità, infatti, poiché la mancata osservanza di una norma processuale in tanto ha rilevanza in quanto sia stabilita a pena di nullità, inutilizzabilità, inammissibilità o decadenza, come espressamente disposto dall’articolo 606, comma primo, lett. c c.p.p., non è ammissibile il motivo di ricorso in cui si deduca la violazione dell’articolo 192 c.p.p., la cui inosservanza non è in tal modo sanzionata cass. 8.1.2004 numero 7336 cass. 21.5.1993 numero 9392 . Resta pertanto la valutazione del rispetto della norma sotto il profilo del vizio di motivazione, di cui si dirà appresso. Venendo al nucleo della critica cioè all’efficacia probatoria delle dichiarazioni rese dalla parte offesa , va osservato che le regole dettate dall’articolo 192 comma terzo cod. proc. penumero non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sede a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso ristretto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone cfr. da ultima, Sez. U, Sentenza numero 41461 del 19/07/2012 Ud. dep. 24/10/2012 . Nel caso in esame, i giudici di merito cfr. pagg. 15 e ss. sentenza hanno ritenuto credibile la versione della minore rilevandone la capacità a testimoniare e per evidenti ragioni di sintesi espositiva si rinvia all’ampia motivazione del provvedimento ove viene approfondita la capacità psico-attitudinale della ragazza e la valutazione della prova dichiarativa con indicazione degli ulteriori elementi di prova specificamente indicati, che confermano il giudizio di attendibilità. I rilievi difensivi si appuntano in definitiva sulla mera valutazione del fatto e tendono a proporre una diversa interpretazione del materiale probatorio acquisito agli atti essi pertanto sono privi di rilievo in questa sede, perché il ragionamento della Corte d’Appello non presenta profili di illogicità. Quanto al dedotto vizio motivazionale in ordine all’esclusione dell’attenuante di cui all’articolo 609 bis c.p.p. ultimo comma, è sufficiente rilevare che anche in tal caso trattasi di una mera censura di merito, insindacabile in sede di legittimità perché la Corte d’Appello ha congruamente motivato anche su questo punto, come già esposto trattando l’analogo motivo mossa dall’altra imputata cfr. sopra pagg. 3 e 4 . Ancora, la Corte calabrese ha risposto adeguatamente alla censura riguardante la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 61 numero 5 c.p. ritenendo con accertamento di merito congruamente motivato e sulla base della giurisprudenza di questa Corte espressamente richiamata che i fatti hanno comportato una minore possibilità di difesa sia perché posti in essere in luogo isolato interno di una abitazione sia perché compiuti ai danni di una persona di giovane età. Nessun sindacato è perciò consentito. Stesse considerazioni valgono in ordine al dedotto vizio di motivazione sul diniego delle generiche, considerato che la Corte di merito ha dato esauriente risposta alla relativa censura laddove ha condiviso il giudizio del Tribunale sulla gravità delle condotte, sulla assenza di resipiscenza dell’imputato e sul fatto che l’assenza di precedenti penali non può da sola essere posta a fondamento di tali circostanze cfr. pag. 49 . 3. In conclusione, l’intero percorso argomentativo dell’impugnata sentenza non solo appare aderente ai richiamati principi di diritto sulla valutazione della prova e sul trattamento sanzionatorio degli imputati, ma ha una sua logica e coerenza interna sicché oggi nessuna rivisitazione è consentita a questa Corte, se non a rischio di operare una rilettura degli elementi del processo sulla base di nuovi parametri di valutazione. Invece, le censure rivolte dai due ricorrenti tendono in definitiva ad ottenere esattamente ciò che non è qui richiedibile e cioè una nuova valutazione degli accertamenti riservati al giudice del merito. 4. Non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sentenza 13.6.2000 numero 186 , alla condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria ai sensi dell’articolo 616 c.p.p. nella misura indicata in dispositivo. 5. Avendone la parte civile fatto richiesta, occorre procedere alla liquidazione delle spese da questa sostenute nel giudizio di legittimità, disponendone il pagamento in favore dell’Erario, per effetto dell’ammissione al Patrocinio a Spese dello Stato. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle Ammende nonché al rimborso in solido delle spese del grado in favore della parte civile che liquida in complessivi € 2.500,00 euro duemilacinquecento/00 oltre IVA e accessori di legge disponendone il pagamento in favore dell’Erario.