Il datore corrisponde il t.f.r. mediante una società del gruppo: non opera il Fondo di garanzia

La condizione necessaria perché sorga il diritto nei confronti del Fondo di garanzia presso l’INPS è che l’obbligo di pagare il t.f.r. non sia stato adempiuto ed intervenga una situazione di insolvenza del datore di lavoro.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione – Sezione Lavoro, con la sentenza numero 9068, depositata il 15 aprile 2013. La società che paga il t.f.r. ai dipendenti licenziati da un’altra società del gruppo non può rivalersi nei confronti del Fondo di garanzia. La pronuncia in commento trae origine da una vicenda nella quale la società datrice aveva stipulato, con le organizzazione sindacali, un accordo per il licenziamento collettivo di un elevato numero di dipendenti detto accordo prevedeva il pagamento rateale delle ultime mensilità di retribuzione e del trattamento di fine rapporto. Sennonché, mentre le mensilità sono state successivamente corrisposte dalla datrice, il t.f.r., invece, è stato corrisposto da un’altra società, appartenente al medesimo gruppo della datrice. A 5 anni di distanza, a seguito della dichiarazione di fallimento di quest’ultima, la società che si era fatta carico del pagamento del t.f.r., pur essendo ammessa al passivo per il corrispondente credito vantato nei confronti della datrice, è rimasta insoddisfatta, a causa della totale incapienza della procedura fallimentare. Promosso un giudizio nei confronti del Fondo di garanzia, al fine di ottenere quanto corrisposto ai dipendenti licenziati, le domande della società che aveva pagato il t.f.r. sono state respinte nei primi due gradi di giudizio. Il credito del lavoratore verso il Fondo di garanzia è cedibile. La pronuncia in commento ha affermato che il credito del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia conserva la natura retributiva del credito originario verso il datore di lavoro. Pertanto, tale credito non ha natura assistenziale, ma genericamente solidaristica, con la conseguenza che esso non rientra tra i crediti «incedibili» del lavoratore Cass. numero 10208/2008, numero 11010/2008, e numero 25256/2008 . La pronuncia in commento, altresì, ha precisato che tale diritto, «spettante ai lavoratori o loro aventi diritto», ha un ambito soggettivo più ampio rispetto a quello previsto dall’articolo 2122 c.c., a norma del quale, in caso di morte del lavoratore, l’indennità di mancato preavviso ed il t.f.r. spettano al coniuge, ai figli e, se conviventi a carico del lavoratore defunto, ai parenti entro il terzo grado ed agli affini entro il secondo. L’intervento del Fondo di garanzia presuppone l’inadempimento del datore di lavoro. Nonostante queste precisazioni, la Suprema Corte ha negato che, nel caso in esame, la società che aveva pagato il t.f.r., in luogo della datrice, abbia diritto di richiedere quanto corrisposto al Fondo di garanzia. A sostegno di questa conclusione, la Cassazione ha affermato che il presupposto di legge perché il Fondo di garanzia possa intervenire è costituito dall’inadempimento del datore di lavoro, determinato da uno stato di insolvenza fallimento, liquidazione coatta amministrativa, ecc. . Pertanto, manca, nella fattispecie, il presupposto dell’inadempimento, atteso che la datrice, ben prima dello stato di insolvenza, ha regolarmente adempiuto, sebbene mediante l’intervento di un’altra società del gruppo. Il Fondo di garanzia opera esclusivamente per finalità solidaristiche. Nella fattispecie che ha dato luogo alla pronuncia in commento, un intervento del Fondo di garanzia non è possibile, atteso che la legge numero 297/1982 è molto netta nel sancire che le disponibilità del Fondo «non possono in alcun modo essere utilizzate al di fuori della finalità istituzionale del Fondo stesso» articolo 2, co. 8 . Ad avviso della Suprema Corte, dunque, non avrebbe senso e violerebbe la legge un’interpretazione che dilatasse l’intervento del Fondo sino a comprendere situazioni non bisognevoli di intervento solidaristico ed infatti, un simile intervento, nella fattispecie, non costituirebbe uno strumento di protezione dei lavoratori, ma finirebbe, invece, per garantire il pagamento del debito di una società nei confronti di un’altra.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 22 gennaio - 15 aprile 2013, numero 9068 Presidente De Cesare – Relatore Curzio Ragioni della decisione 1. Il 26 maggio 1998 venne stipulato tra ALT Pantolonificio italiano srl e le OOSS un accordo per il licenziamento collettivo di 59 dipendenti. L'accordo prevedeva il pagamento rateale delle ultime mensilità di retribuzione e del TFR. 2. Il pantalonificio corrispose le mensilità. Il TFR fu corrisposto da una società del medesimo gruppo, appartenente alla famiglia Allevi, la ECOFIN srl. 3. Cinque anni dopo, il 13 febbraio 2003, il Pantalonificio ALT venne dichiarato fallito dal Tribunale di Milano e il credito della ECOFIN, nelle more divenuta Gente e Moda srl , venne ammesso allo stato passivo al primo grado di privilegio. La totale incapienza della procedura fallimentare comportò la mancata estinzione, anche solo parziale, del credito della società Gente e moda srl, che alla chiusura del fallimento richiese il pagamento del credito al Fondo di garanzia presso l'INPS, ai sensi della legge 29 maggio 1982, numero 297, con esito negativo. 4. Con ricorso al Tribunale di Bergamo la società convenne in giudizio il Fondo di garanzia presso l'INPS, chiedendone la condanna al pagamento di 370.213,82 Euro, pari al TFR corrisposto ai 59 dipendenti del pantalonificio ALT. 5. Il Tribunale di Bergamo ha respinto il ricorso e la decisione è stata confermata dalla Corte d'appello di Brescia, con sentenza pubblicata il 14 dicembre 2007. 6. La Corte ha rigettato l'appello per più ragioni. 1. Perché l'obbligazione del Fondo ha per oggetto una prestazione previdenziale e deve considerarsi indipendente dall'obbligazione retributiva del datore di lavoro. 2. Perché il credito dei lavoratori relativo al TFR non è cedibile. 3. Perché nel caso specifico l'obbligazione del Fondo non è mai sorta per essere stato versato l'intero TFR in epoca molto antecedente al fallimento. 7. La società ricorrente articola tre motivi di ricorso. L'INPS si difende con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato una memoria ed i relativi difensori hanno discusso in udienza. 8. Con il primo motivo si denunzia erronea qualificazione della natura del credito vantato dai lavoratori nei confronti del Fondo e quindi violazione della legge 297 del 1982, chiedendo l'affermazione del seguente principio Il credito del lav. per il TFR non muta la propria natura retributiva quando, in forza della legge 297/82 e del d. lgs 80/92, sia fatto valere nei confronti del Fondo per l'insolvenza o l'inadempimento del datore di lavoro . 9. Con il secondo motivo si denunzia omessa o insufficiente motivazione relativamente alla pretesa incedibilità di un credito previdenziale, nonché violazione dell'articolo 2 l. 297/82, e degli articolo 447 e 1260 c.c., contestando l'affermazione della riconducibilità del concetto di aventi diritto alla liquidazione ai soli soggetti indicati nell'articolo 2122 c.c., con esclusione quindi dei cessionari del credito. 10. Con il terzo motivo si denunzia violazione dell'articolo 2 l. 297/82 e dell'articolo 1263 c.c. con riferimento alla pretesa necessità della dichiarazione di fallimento per il sorgere dell'obbligo del Fondo di garanzia, sostenendo che il concetto indicato dall'inciso in caso di insolvenza non è coincidente con l'assoggettamento al fallimento, come si desume dal comma 5 dell'articolo 2. 11. Il ricorso non è fondato, anche se la motivazione della sentenza impugnata deve essere parzialmente corretta, aggiornandola in base a decisioni della Corte di cassazione, di cui la Corte di Brescia non poteva tener conto, considerata l'epoca della decisione. 12. In tali decisioni di legittimità Cass. 10208/08 11010/08 25256/08 si è affermato che il credito del lavoratore verso il Fondo di garanzia conserva la natura retributiva del credito originario nei confronti del datore di lavoro e non ha natura assistenziale, ma genericamente solidaristica, con la conseguenza che esso non rientra tra i crediti incedibili e ne è possibile la cessione. Si è inoltre precisato che la disposizione per la quale il Fondo ha lo scopo di sostituirsi al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del TFR di cui all'articolo 2120 c.c. spettante ai lavoratori o loro aventi diritto , va intesa in senso estensivo, non identificando gli aventi diritto con i soggetti indicati dall'articolo 2122, primo comma, c.c. come titolari del diritto alle indennità indicate dagli articolo 2118 e 2120 c.c. in caso di morte del prestatore di lavoro. 13. Tuttavia, pur in presenza di questi principi, il ricorso non può essere accolto, per l'ultima delle autonome ragioni poste dalla Corte di Brescia a fondamento della sua decisione. Ragione autonoma della decisione che invero non è stata oggetto di specifico motivo di ricorso. 14. Come afferma la Corte di Brescia nell'ultima parte della motivazione, la condizione necessaria perché sorga il diritto nei confronti del Fondo è che l'obbligo di pagare il TFR non sia stato adempiuto ed intervenga una situazione di insolvenza del datore di lavoro. 15. La situazione accertata la sentenza sul punto non è oggetto di censure nel caso in esame non rientra nelle ipotesi considerate dalla legge, perché manca il presupposto costituito dall'inadempimento della impresa datrice di lavoro determinato da uno stato di insolvenza non un mero inadempimento, ma un mancato pagamento determinato dallo stato di insolvenza, e cioè dal fallimento, dalla liquidazione coatta amministrativa, o per le imprese non soggette al r.d. 16 marzo 1942, numero 267, dall'esito negativo della esecuzione forzata, secondo l'articolazione di situazioni delineata dai commi 2-5 dell'articolo 2 della legge 297 del 1982 . 16. I lavoratori hanno percepito il TFR ben cinque anni prima del fallimento l'accordo sindacale relativo è del 26 maggio 1998 , quando l'azienda in questione era quindi lontana dallo stato di insolvenza il fallimento venne dichiarato il 13 febbraio 2003 , ad opera di un'altra società del medesimo gruppo di imprese. Manca pertanto l'inadempimento, perché il datore di lavoro ha adempiuto, sebbene mediante l'intervento di un'altra impresa del suo gruppo. È incontroverso tra le parti che entrambe le società fossero parte di un medesimo gruppo societario appartenente ad un'unica famiglia. 17. Se quindi il TFR fu regolarmente pagato da altra impresa del medesimo gruppo societario e tutto ciò avvenne molti anni prima della situazione di insolvenza, si è al di fuori dell'area di intervento del Fondo di garanzia. 18. La legge 297 del 1982 è molto netta nel sancire che le disponibilità del Fondo di garanzia non possono in alcun modo essere utilizzate al di fuori della finalità istituzionale del Fondo stesso comma ottavo dell'articolo 2 . 19.Finalità istituzionale che la legge espressamente ed univocamente indica nel sostituirsi del Fondo al datore di lavoro in caso di mancato pagamento da parte di quest'ultimo del TFR a causa del suo stato di insolvenza. 20.Non avrebbe senso e violerebbe la legge un'interpretazione che dilatasse l'intervento del Fondo sino a comprendere situazioni non bisognevoli di intervento solidaristico, come quella in esame, in cui, molti anni prima del fallimento dell'impresa datrice di lavoro, altra impresa del medesimo gruppo societario corrispose ai dipendenti il TFR dovuto dalla società co-partecipe del gruppo. 21. Il ricorso pertanto deve essere rigettato e le decisioni convergenti dei giudici di merito devono essere confermate. 22.Le spese, per legge, liquidate considerando il valore della controversia domanda di pagamento di 370.213,82 Euro oltre accessori , devono essere poste a carico della parte che perde il giudizio. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore dell'INPS, liquidandole in 50,00 Euro, per esborsi, nonché 12.150,00 dodicimilacentocinquanta Euro per compensi professionali, oltre accessori di legge.