Restituzione dell’Iva: ecco i limiti

La restituzione dell'Iva indebitamente applicata e versata richiede che il destinatario della fattura non deve aver fatto la detrazione, ovvero non abbia recuperato l'imposta attraverso l'esercizio del diritto alla detrazione.

Il principio dell'autonomia dei tre rapporti che sorgono per effetto della rivalsa dell'Iva, quello cioè tra il fornitore e il cliente, quello tra il fornitore e l'erario e quello tra il cliente e l'erario, non può infatti superare il principio di neutralità dell'imposta, che richiede in ogni caso, ai fini della regolarizzazione e del conseguente rimborso dell'imposta indebitamente fatturata, che sia esclusa l'eventualità di una perdita di gettito da parte dell'erario. Tale assunto è stato precisato dal giudice di legittimità con la sentenza numero 4020 del 14 marzo 2012, in accoglimento del ricorso per cassazione del Fisco avverso la sentenza del giudice del gravame, che aveva dichiarato spettante il diritto al rimborso invocato dal contribuente ente non commerciale . Il caso. Un ente non commerciale, dopo avere assoggettato all'Iva le fatture emesse in relazione alle prestazioni di locazione a terzi degli immobili costituenti il proprio patrimonio, inoltrava al Fisco istanza di rimborso dell'imposta, assumendo la propria carenza di soggettività passiva in quanto le operazioni di locazione immobiliare in questione non integravano svolgimento di un'attività commerciale agli effetti dell'Iva. I giudici di merito, sconfessando la tesi erariale, ritenevano fondata la domanda di rimborso dell’ente. Il Fisco nel giudizio di legittimità argomentava che il diritto al rimborso era condizionato alla prova, da parte dell'ente, di avere eliminato qualsiasi rischio di pregiudizio derivante all'erario in conseguenza dell'emissione di fatture recanti l'addebito dell'Iva. Siffatta argomentazione, avallata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia europea in riferimento alle condizioni per la rettifica dell'imposta indebitamente fatturata, è stata accolta dal giudice di legittimità. Secondo gli Ermellini, nell’ipotesi in cui un'operazione sia stata erroneamente assoggettata all'Iva, il fornitore ha diritto di chiedere al Fisco il rimborso del tributo, il cliente ha il diritto di chiedere al fornitore la restituzione della somma pagata in via di rivalsa e il fisco, peraltro , ha il potere-dovere di escludere, in capo al cliente, l'eventuale detrazione operata. I citati rapporti sono autonomi e non ammettono interferenze di conseguenza, il fisco non può, ad esempio, opporre al fornitore che chieda il rimborso il fatto che l'imposta sia stata addebitata al cliente. Tuttavia, una rigida applicazione del principio di autonomia dei rapporti potrebbe risultare pregiudizievole al Fisco, in contrasto con il principio di neutralità, laddove conducesse a rimborsare al fornitore l'imposta che fosse stata detratta dal cliente. Da tale postulato sorge come legittimo corollario l'onere per il fornitore di dimostrare l'assenza di danno per l'erario. Il cedente del bene è legittimato a pretendere il rimborso dall'Amministrazione finanziaria In tema di IVA, una corretta lettura degli articolo 17 e 18 del d.p.r. numero 633/1972, consente di identificare nel cedente del bene o nel prestatore del servizio il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dall'Amministrazione finanziaria ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario o al committente la somma pagata a titolo di rivalsa. Infatti, i tre rapporti che discendono dal compimento dell'operazione imponibile tra l'Amministrazione finanziaria e il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa tra l'Amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa , pur essendo collegati, non interferiscono tra loro. ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario la somma pagata a titolo di rivalsa. Ne consegue che il cedente non può opporre al cessionario - il quale agisca in restituzione - l'avvenuto versamento dell'imposta, che il cessionario non può opporre all'Amministrazione - che escluda la detrazione - che l'imposta è stata assolta in via di rivalsa e versata all'Amministrazione medesima, e, infine, che solo il cedente ha titolo ad agire per il rimborso nei confronti dell'Amministrazione, la quale, pertanto, essendo estranea al rapporto tra cedente e cessionario, non può essere tenuta a rimborsare direttamente a quest'ultimo quanto dallo stesso versato in via di rivalsa Cass. civ., Sez. V, numero 6419/2003 . Occorre identificare nel cedente del bene o nel prestatore del servizio il soggetto legittimato a pretendere il rimborso dall'Amministrazione finanziaria ed eventualmente obbligato a restituire al cessionario o al committente la somma pagata a titolo di rivalsa inoltre, il diritto di detrazione, essendo limitato alle imposte effettivamente dovute, come si evince dagli articolo 17 e 19 del citato d.p.r. - da interpretare in coerenza con gli articolo 17 e 20 della sesta direttiva CE numero 77/388 del Consiglio, del 15 maggio 1977, e con la sentenza 13 dicembre 1989, in causa C-342/87 della Corte di giustizia CE - non si estende all'imposta addebitata erroneamente in rivalsa e che sia stata pagata per il semplice fatto di essere stata indicata in fattura.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 15 dicembre – 14 marzo 2012, numero 4020 Presidente D’Alonzo – Relatore Valitutti Premesso in fatto 1. Con sentenza numero 43/3/06, depositata l’'8.9.06, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio rigettava l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate - Ufficio di Roma 1 - avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dal Fondo Pensioni nei confronti del silenzio rifiuto serbato dall’amministrazione sull'istanza di rimborso dell'IVA, corrisposta per la locazione di immobili costituenti il patrimonio dell'ente. Il contribuente aveva dedotto, al riguardo, l’esenzione di tali operazioni da imposta, avendo il Fondo natura di ente non commerciale. 2. La CTR - nel confermare la decisione di prime cure -riteneva, invero, non applicabile al caso concreto la norma di cui all'articolo 21, co. 1 del d.P.R. numero 633/72, vertendosi, nella specie, in ipotesi di carenza assoluta del potere impositivo, e non di erronea fatturazione di operazioni, in astratto, imponibili. 3. Per la cassazione della sentenza numero 43/3/06 ha proposto ricorso l'Agenzia delle Entrate formulando un unico motivo, al quale l’intimato ha replicato con controricorso e con memoria ex articolo 378 c.p.c. Osserva in diritto 1. Con l'unico motivo di ricorso. L'Agenzia delle Entrate deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 21, co. 7 del d.P.R. numero 633/72, dell'articolo 2697 c.c. e della sentenza della C. Giust. CE numero 454/98 del 19.9.00. 1.1. Rileva, invero, l'amministrazione ricorrente che -in forza della normativa suindicata e della menzionata decisione della Corte di Giustizia, che sarebbero state, suo dire, disattese dalla CTR nell'impugnata sentenza -l'accoglimento dell'istanza di rimborso dell'IVA che si assume indebitamente assolta, nell'esercizio dell'impresa, dal cedente dei beni o dal prestatore di servizi, sebbene indicata in fattura, sarebbe subordinato alla prova, che incombe sul soggetto che ha emesso la fattura stessa, di avere eliminato qualsiasi pregiudizio per l'Erario. 1.2. Per il che, mancando agli atti - nel caso concreto -tale dimostrazione da parte del Fondo Pensioni , del tutto illegittimamente - a parere dell'Agenzia delle Entrate - l’istanza di rimborso dell' IVA, corrisposta dal contribuente per la locazione di immobili costituenti il patrimonio dell'ente, sarebbe stata ritenuta fondata nei due gradi del giudizio di merito. 2. Ciò posto, va premesso che il Fondo Pensioni , in data 3.3.1990, proponeva istanza di rimborso dell'IVA, a suo avviso indebitamente corrisposta dal 30 aprile al 30 novembre 1969, su fatture emesse in relazione ad operazioni di locazione a terzi di immobili appartenenti al patrimonio dell'ente. L'istante assumeva, invero, che, non avendo il Fondo mai svolto attività commerciale, tali concessioni dei beni in locazione dietro corrispettivo, non potevano essere considerate prestazioni di servizi svolte nell'esercizio di un'impresa, ai sensi degli articolo 1, 3 e 4 del d.P.R. numero 633/72. Nei confronti del silenzio rifiuto, serbato dall'amministrazione sull'istanza di rimborso, il Fondo Pensioni proponeva, quindi, ricorso alla CTP di Roma che lo accoglieva, con sentenza confermata, poi, anche dalla CTR del Lazio con la decisione numero 43/3/06. Avverso tale ultima pronuncia insorga, pertanto, l'amministrazione finanziaria, con ricorso per cassazione affidato all'unico motivo suesposto. 3. Premesso quanto precede, osserva la Corte che la censura è fondata e va, pertanto, accolta. 3.1. Nel nostro ordinamento finanziario il sistema impositivo dell'IVA si configura, invero, come un sistema connotato dal c.d. principio della neutralità dell'imposta, essendo fondato essenzialmente sui criteri della rivalsa e della detrazione, ossia dall'obbligo di riversarla per l’operatore che l'incassa, e dalla possibilità di recuperarla per l'operatore che la paga. Il cedente dei beni o il prestatore del servizio nell'esercizio di un'impresa - ha, invero, l'obbligo di versare all'Erario l’IVA nell'importo indicato nella fattura che si riferisce alla cessione di beni o alla prestazione di servizi o alle importazioni effettuate e deve, poi, addebitarla, a titolo di rivalsa, al cessionario committente quest'ultimo, a sua volta, ha la possibilità di detrarre - dall'imposta relativa alle operazioni effettuate - l'ammontare dell'imposta assolta o dovuta, o a lui addebitata a titolo di rivalsa, ai sensi dell'articolo 19 del d.P.R. numero 633/72. Per i soggetti IVA imprenditori e lavoratori autonomi , dunque, l'applicazione dell'imposta è, in via di principio, neutrale, posto che l'IVA sulle operazioni attive è da essi trasferita sui clienti, mentre quella sui loro acquisiti è recuperata compensandola con la prima, a guisa di credito verso l'Erario per il che il tributo viene a gravare, in via definitiva, sui cd. consumatori finali. 3.2. Da quanto suesposto consegue, pertanto, che il fatto stesso di avere emesso fatture con addebito dell'IVA, comporta di per sé l'obbligo del cedente o del prestatore di servizio di versare all'Erario l'IVA nell'importo indicato in fattura, anche se trattasi di operazione esente erroneamente assoggettata ad imposta, o di operazione assoggettata ad un'aliquota superiore a quella dovuta. La sola emissione della fattura viene, difatti, ad incidere direttamente sul soggetto che l'ha emessa, costituendolo debitore di imposta sulla base dell'applicazione del cd. principio di cartolarità Cass. 12547/01 . E tuttavia, l'IVA indebitamente corrisposta per la cessione di un bene o per la prestazione di un servizio, nonostante l'esistenza - come nei caso di specie - di una ragione di esenzione, legittima il prestatore del servizio o il cedente all'azione di ripetizione nei confronti dell'amministrazione, mentre il committente o il cessionario hanno il diritto di ottenere da detto prestatore o cedente la restituzione di quanto versato in sede di rivalsa cfr. Cass.S.U. 13446/91 . Pertanto, nel caso in cui un'operazione sia stata erroneamente assoggettata ad IVA e risultino, di conseguenza, privi di titolo sia il pagamento dell'imposta che la rivalsa nei confronti del cessionario e la detrazione da questi successivamente operata, il cedente ha diritto di chiedere all'amministrazione il rimborso del tributo corrisposto, ed il cessionario quello di domandare al cedente la restituzione della somma pagata in rivalsa. Per parte sua, l'amministrazione ha il potere-dovere di escludere la detrazione dell'imposta dalla dichiarazione presentata dal cessionario v. Cass. 12719/04 . 3.3. Orbene, i rilevi che precedono evidenziano inequivocabilmente che dal compimento di un'operazione assoggettata ad IVA discendono tre rapporti a tra l'amministrazione finanziaria ed il cedente, relativamente al pagamento dell'imposta b tra il cedente ed il cessionario, in ordine alla rivalsa c tra l'amministrazione ed il cessionario, per ciò che attiene alla detrazione dell'imposta assolta in via di rivalsa. Secondo l'insegnamento costante di questa Corte, peraltro, i tre rapporti, sebbene collegati, restano distinti ed indipendenti e non interferiscono tra loro. Ne consegue - per quel che rileva in questa sede - che l'amministrazione finanziaria non può opporre l'avvenuta rivalsa sul cessionario al cedente che agisca, come nel caso concreto, per il rimborso dell'imposta indebitamente versata Cass. 6415/03, 12719/04, 12116/09, 2826/10 . E tuttavia, va osservato che l'autonomia dei rapporti summenzionati ed, in particolare, l'inopponibilità al cedente della rivalsa operata sul cessionario, non sono, sufficienti a risolvere la questione - sollevata, nella specie, dall'amministrazione finanziaria - del pregiudizio per l'Erario che deriverebbe da una disciplina dell'IVA fondata esclusivamente sulla rigida applicazione delle regole dell’autonomia dei diritti e della non interferenza delle azioni relative ai tre rapporti succitati. È di chiara evidenza, invero, che il suddetto pregiudizio conseguirebbe, senza ombra di dubbio, ad una non reversibile utilizzazione, da parte del cessionario, del credito derivante dalla rivalsa. In tale ipotesi, infatti, la detrazione - dall'ammontare dell'imposta relativa alle operazioni effettuate, delle somme relative all'imposta addebitata al cessionario o al committente a titolo di rivalsa - determinerebbe, innegabilmente, la perdita di una entrata tributaria da parte dell'Erario. 3.4, Il menzionato principio della neutralità dell’IVA, con i principi della rivalsa e della detrazione che lo connotano, va, pertanto, correttamente interpretato alla luce dei principi desumibili dal diritto comunitario cogente, che - in quanto sovraordinato a quello nazionale -devono trovare applicazione anche d'ufficio da parte del giudice, pure nel giudizio di legittimità cfr., ex plurimis, Cass. 11642/10, 6231/10, 21637/10 . Ebbene, va rilevato al riguardo che - con riferimento alla VI direttiva 77/333, in tema di IVA - la Corte di Giustizia Europea ha stabilito che, sebbene il principio della neutralità dell'IVA richieda che l'imposta indebitamente fatturata possa essere regolarizzata - senza che tale regolarizzazione possa essere subordinata alla buona fede di colui che ha emesso la fattura, o dipendere dal potere discrezionale dell'amministrazione tributaria detta regolarizzazione può avvenire, tuttavia, soltanto quando venga eliminato completamente il rischio di perdite di entrate fiscali per l'Erario C. Giust. CE, numero 454/98 del 19.9.00 e tale rischio viene reso attuale - com'è del tutto evidente - dalla detrazione dell'imposta che il cessionario può agevolmente operare nella propria dichiarazione. Quest'ultima, se effettuata, viene invero a determinare -oggettivamente ed indipendentemente dall'originario intento dei contraenti - una corrispondente minore entrata tributaria per l'amministrazione finanziaria cfr. Cass. 12719/04, in motivazione . In conclusione, dunque, l'autonomia dei tre rapporti originati da un'operazione assoggettata ad IVA presuppone che rimanga salvo il principio della neutralità dell'IVA, nella disciplina risultante dall'applicazione della normativa comunitaria succitata, che postula in ogni caso -ai fini della regolarizzazione, e del conseguente rimborso di un'imposta indebitamente fatturata - che sia, in concreto, esclusa l'eventualità di una perdita di entrate fiscali da parte dell'Erario cfr. Cass. 2826/10, in motivazione . 3.5. Orbene, facendo applicazione di tali affermazioni di principio al case concreto, deve rilevarsi che, benché sia del tatto incontroverso che il Fondo Pensioni sia un ente non commerciale e, per tanto, non soggetto all'IVA, in quanto non svolgente attività di impresa, non risulta in alcun modo acquisita agli atti la dimostrazione, da parte dell'intimato, che i conduttori che avevano corrisposto il canone locativo per gli immobili concessi loro in locazione dall'ente non avessero portato in detrazione l'importo dell'IVA loro addebitata in rivalsa. Per il che la dimostrazione della mancanza di danno per l'Erario, che possa derivare dal rimborso dell'imposta indebitamente corrisposta, non risulta acquisita agli atti. 4. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso dell'Agenzia delle Entrate va accolto e, di conseguenza, l'impugnata sentenza va cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la Corte, nell'esercizio del potere di decisione nel merito di cui all'articolo 384, co. 1 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo proposto dal contribuente. 5. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico dell'intimato soccombente, nella misura di cui in dispositivo. Concorrono giusti motivi per dichiarare interamente compensate fra le parti le spese dei giudizi di merito. P.Q.M. Accoglie il ricorso cassa l'impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo del contribuente condanna l’intimato alle spese del presente giudizio, a favore dell'Agenzia delle Entrate, che liquida in €. 9.000,00, oltre alle spese prenotate a debito dichiara compensate tra le parti le spese dei gradi di merito.