Strani movimenti sui conti correnti degli amministratori: un gioco che costa caro

Integra il reato di bancarotta fraudolenta la condotta di due amministratori che avevano versato del denaro sui propri conti per poi utilizzarlo in modo conforme agli interessi sociali. Né vi è stata restituzione in toto, né l’azione è giustificabile dal momento che rappresenta una sottrazione alla garanzia patrimoniale dei creditori.

Lo afferma la Cassazione Penale con sentenza numero 21485/12, depositata in Cancelleria il 4 giugno. Distrazione dei soldi societari? La Corte di Appello di Ancona, in riforma della sentenza di primo grado, assolveva dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale due amministratori di una s.r.l., dichiarata fallita molti anni prima. Veniva nella specie ritenuto insussistente l’elemento psicologico, giacché le somme di pertinenza della società erano sì transitate su conti personali dei due, tuttavia erano state poi utilizzate totalmente per saldare dei debiti verso i fornitori. Il Procuratore Generale ricorre per cassazione deducendo erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 216 l. fall. Sostiene che non vi era prova che l’operazione sopra spiegata fosse solo indirizzata a soddisfare le pretese del ceto creditorio e che, a prescindere, fossero palesi tanto la distrazione quanto il dolo generico. Errore marchiano. Il Tribunale Supremo ravvisa che la corte territoriale è incorsa in una svista macroscopica, addivenendo a conclusioni diverse dal compendio probatorio i ricavi della società fatti confluire sui conti personali degli imputati non sono stati usati in toto per appianare i debiti verso i fornitori. Sono invece stati oggetto di prelievo da parte degli amministratori fraudolenti mediante emissione di assegni. Tale condotta integra distrazione sia sotto il profilo materiale che psicologico, integrato dal dolo generico, non occorrendo la finalità specifica di recare pregiudizio ai creditori ma soltanto la consapevolezza di sottrarre risorse al patrimonio sociale. Movimenti sospetti. In ogni caso, trasferire somme su conti correnti non riconducibili direttamente alla società integra ipotesi distrattiva è un’azione idonea a sottrarre le somme alla garanzia patrimoniale dei creditori, idoneità non esclusa dal successivo utilizzo del danaro in maniera conforme agli interessi sociali. La decisione gravata viene conseguentemente annullata con rinvio a un’altra Corte di Appello.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 23 maggio – 4 giugno 2012, numero 21485 Presidente Grassi – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza del 30-11-2010, in riforma di quella del Tribunale di Ascoli Piceno in data 27-6-2005, assolveva V.A. e V.V. , con la formula perché il fatto non costituisce reato, dal reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, quali amministratori di fatto della DUE A s.r.l., dichiarata fallita il OMISSIS . La corte di Ancona riteneva insussistente l'elemento psicologico del reato in quanto le somme di pertinenza della società, dì cui era contestata la distrazione, erano transitate su conti personali degli imputati per poi essere, tuttavia, interamente impiegate per il pagamento dei fornitori della DUE A s.r.l 2. Ricorre il PG di Ancona deducendo erronea applicazione della legge penale in relazione all'articolo 216 legge fall., nonché illogicità della motivazione e travisamento della prova. Dalla sentenza di primo grado e dal testimoniale assunto in particolare il verbalizzante D.M.V. , la cui deposizione è stata allegata al ricorso risultava infatti che la società aveva un unico conto corrente, e contabilmente utilizzava solo il conto cassa, dal quale le somme di pertinenza della società transitavano su conti personali di soci e di loro parenti insieme con quelle pertinenti ad un'altra società della famiglia V. , fallita prima della DUE A , venendo utilizzate per il pagamento dei fornitori, con assegni emessi a favore di costoro, ma essendo anche oggetto di prelievo da parte degli imputati e di loro familiari, come indicato dalla presenza di assegni emessi a me medesimo. Il PG concludeva quindi nel senso che non solo non era provato che l'operazione di cui sopra avesse avuto come unico obiettivo quello di soddisfare le pretese del ceto creditorio della DUE A, ma che comunque, anche in tal caso, la distrazione sarebbe stata ugualmente sussistente, come pure il dolo generico del reato, essendo intervenuto il trasferimento di redditi aziendali ad un soggetto diverso, indipendentemente dal fatto che tali somme fossero state successivamente destinate a finalità utili alla società e a prescindere dalla eventuale intenzione in tal senso degli imputati. Considerato in diritto 1. Il ricorso del PG è fondato. Come evidenziato dal ricorrente, la corte territoriale è incorsa in un vistoso travisamento della prova avendo trascurato che, secondo quanto risulta dalla sentenza di primo grado, le cui conclusioni sono saldamente ancorate al compendio probatorio come è confermato dall'allegazione al gravame - che si dimostra quindi autosufficiente - della deposizione di D.M.V. , appartenente alla Guardia di Finanza , i ricavi della società fatti confluire sui conti personali degli imputati, la cui qualità di amministratori di fatto non è in discussione, non erano stati in toto utilizzati per il pagamento di debiti della Due A verso fornitori, essendo stati anche oggetto di prelievi da parte dei V. mediante emissione di assegni a me medesimo, per importi indicati per ciascun conto dal verbalizzante D.M. . Tale condotta è idonea ad integrare distrazione sia sotto il profilo materiale Cass. 37370/2011, che ha ravvisato il reato anche nel caso di trasferimento di risorse, senza contropartita, fra società appartenenti allo stesso gruppo Cass. 11800/2011, relativa al caso specifico di deposito di somme di pertinenza della società poi fallita, su conto dell'imprenditore individuale cointestato ad un terzo , che psicologico, integrato dal dolo generico, non occorrendo la finalità specifica di recare pregiudizio ai creditori Cass. 49635/2009 , ma soltanto la consapevolezza di sottrarre risorse al patrimonio sociale, con potenziale danno alle ragioni dei creditori. Va rilevato tra l'altro che, a ben vedere, dall'ipotesi distrattiva contestata sembrano addirittura esulare, come si ricava da pag. 3 della sentenza di primo grado dove si legge che gli imputati erano chiamati a rispondere della distrazione delle somme rinvenute nei conti personali del cui possesso non è stata data giustificazione , e contrariamente a quanto ritenuto nella sentenza impugnata, che di tale assunto ha fatto il perno del verdetto assolutorio, le somme già fuoriuscite dai conti personali per essere utilizzate a vantaggio del ceto creditorio della DUE A. Senza contare, comunque, che anche per tali somme è configurabile il reato, come pure correttamente osservato dai giudici di primo grado - per quanto, sembrerebbe, ad abundantiam -, essendosi la distrazione perfezionata con il trasferimento di esse su conti correnti non riconducibili alla società, idoneo a sottrarle alla garanzia patrimoniale dei creditori, idoneità non esclusa dalla solo successiva, e - va sottolineato - parziale il che è stato ignorato nella sentenza impugnata , destinazione a finalità conformi agli interessi sociali. Né il tribunale aveva mancato di stigmatizzare, a dimostrazione di una gestione assai disinvolta delle risorse delle società del gruppo V. , la prassi di trasferire, senza che ciò rispondesse ad esigenze organizzative delle società amministrate - e determinando la presenza di una provvista irrilevante sull'unico conto della DUE A -, somme di denaro su più conti correnti personali, accesi a nome degli amministratori e di loro congiunti, somme che, nel biennio 1994/1995, ivi comprese quelle provenienti dall'altra società del gruppo, anch'essa poi fallita, avevano raggiunto il complessivo ammontare di ben quattro miliardi e trecento milioni circa di lire, oggetto dell'imputazione nella misura di 680 milioni di lire circa per il 1994, di 210 milioni di lire circa per il 1995 come da modifica della contestazione operata dal PM all'udienza del 27-6-2005, della quale la sentenza impugnata non ha tenuto conto . La decisione gravata va conseguentemente annullata con rinvio alla Corte di Appello di Perugia affinché sottoponga la vicenda a rinnovato giudizio, rivalutando i fatti accertati alla luce dei sopraesposti principi ai fini della loro corretta inquadrabilità giuridica, con le conseguenze di legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Perugia per nuovo giudizio.