di Carmen Ceschel
di Carmen CeschelSe un genitore permette al figlio ed alla nuora di vivere in casa propria e tale convivenza si protrae per diversi anni, si tratta di comodato a vita questo è quanto deciso dalla Corte di Cassazione con sentenza numero 6729, del 24 marzo.La questione. Nel caso specifico, un uomo concedeva al figlio ed alla nuora di vivere nel suo appartamento, di cui questi ultimi sostenevano le ingenti spese di ristrutturazione.Successivamente, veniva stipulato un contratto di vendita al figlio della nuda proprietà dell'appartamento, con usufrutto riservato al padre.Dopo alcuni anni, questi chiedeva in giudizio che figlio e nuora rilasciassero l'appartamento, in quanto solo per mera tolleranza aveva consentito la convivenza tra loro tre.Riconosciuto che tra padre e figlio era stato stipulato un contratto di comodato, in primo grado il tribunale accoglieva la domanda del padre. In grado di appello, al contrario, veniva data ragione al figlio.La decisione. La Cassazione ritiene corretta la decisione del giudice d'appello il padre non può chiedere a figlio e nuora di andarsene.Accertato già in primo grado che tra i tre era intercorso un contratto di comodato, il problema è costituito dalla determinazione della durata del contratto, ossia se si tratti, o meno, di comodato a vita.Nonostante il padre avesse dichiarato di aver concesso al figlio di vivere con lui solo finché questi non avesse trovato una diversa sistemazione, tale convivenza si era protratta per oltre vent'anni, senza alcuna rimostranza da parte del proprietario, poi divenuto usufruttuario.Figlio e nuora avevano ristrutturato l'appartamento. Inoltre, presumibilmente con la convinzione di poter abitare l'immobile a vita, i due coniugi avevano effettuato lavori di ristrutturazione sostenendo ingenti spese.La successiva vendita della nuda proprietà con riserva di usufrutto, infine, trovava una logica e coerente spiegazione nell'esigenza di evitare l'incidenza di futuri oneri fiscali derivanti dalla successione ereditaria.Il padre sostiene che, ai sensi degli articolo 1803 e 1810 c.c., nel contratto di comodato la cosa viene consegnata per un tempo o un uso determinato, con obbligo di restituzione se tale termine non è stato convenuto, né questo risulta dall'uso cui la cosa doveva essere destinata, il comodatario deve restituire la cosa non appena il comodante la richiede.L'uso a cui è destinata la cosa determina la durata del rapporto. La Suprema Corte, invece, ricorda la costante giurisprudenza in materia C. Cass. SSUU sentenza numero 13603/2004 , per cui, in caso di concessione in comodato di un immobile destinato ad abitazione familiare, è proprio l'uso cui la cosa è destinata che determina il termine implicito della durata del rapporto, la cui scadenza non è determinata, ma è strettamente correlata alla destinazione impressa ed alle finalità cui essa tende.Le funzioni della casa familiare non possono essere soggette a provvisorietà e incertezza. In tali situazioni, viene in rilievo la nozione di casa familiare quale luogo degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime la vita familiare e si svolge la continuità delle relazioni domestiche, centro di aggregazione e di unificazione dei componenti del nucleo, complesso di beni funzionalmente organizzati per assicurare l'esistenza della comunità familiare proprio in forza dei caratteri di stabilità e continuità che ne costituiscono l'essenza, questo tipo di comodato si profila concettualmente incompatibile con un godimento segnato da provvisorietà ed incertezza.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 novembre 2010 - 24 marzo 2011, numero 6729Presidente Trifone - Relatore TravaglinoIn fattoNel luglio del 1996 P M. cedette alla nuora, S.M.T., la nuda proprietà di alcuni beni, riservandone a sé l'usufrutto, ma, nel giugno del 2001, convenuti in giudizio dinanzi al tribunale di Cagliari la nuora stessa ed il figlio M.V., chiese la condanna di entrambi al. rilascio dei beni, dei quali egli, per mera tolleranza, aveva loro consentito l'uso abitativo, ovvero in subordine - qualora nella fattispecie fossero stati ravvisati gli estremi del comodato - una pronuncia di accertamento dell'avvenuta cessazione del rapporto obbligatorio, oltre al risarcimento dei danni.I convenuti, eccepito in limine l'esistenza di un contratto di comodato gratuito a vita fin dal momento della celebrazione del matrimonio, proposero, in via riconvenzionale, domanda di rimborso delle spese sostenute per la ristrutturazione dell'appartamento.Il giudice di primo grado, previo mutamento del rito ed accertata l'esistenza di un contratto di comodato, con sentenza non definitiva accolse la domanda principale, condannando i convenuti al rilascio dei beni, rigettandone la riconvenzionale e disponendo, in prosieguo, CTU per la determinazione dei danni subiti dall'attore.La sentenza fu impugnata da V. e M. T. M. dinanzi alla corte di appello di Cagliari, la quale, nell'accoglierne il gravame e nel rigettare conseguentemente tutte le domande di P M., osservò, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimità 1 che il giudice di primo grado aveva ritenuto dimostrata l'esistenza, tra le parti, di un contratto di comodato, rigettando, peraltro, la prospettazione degli odierni appellanti a mente della quale l'accordo negoziale risultava commisurato alla vita dei comodatari 2 i profili giuridici della vicenda processuale in punto di esistenza di un contratto stipulato inter partes e di conseguente qualificazione del medesimo in termini comodato dovevano ormai ritenersi intangibili, non avendo nessuna delle parti impugnato la decisione in parte qua 3 la tesi degli appellanti volta al riconoscimento, nella vicenda negoziale in parola, di un comodato a vita, doveva ritenersi fondata, contrariamente a quanto opinato dal giudice di primo grado 4 la fondatezza dell'assunto dei comodatari poteva, in particolare, dedursi a dal contenuto dell'interrogatorio formale reso dall'appellato che ebbe inizialmente ad affermare che i beni oggetto della controversia erano stati da lui concessi gratuitamente al figlio ed alla nuora sino a che la coppia non avesse trovato una sistemazione, per poi viceversa precisare che l'accordo venne concluso nei primi anni '80 e che i convenuti occupavano i beni da tale epoca , intriso, sul piano logico, da una profonda contraddizione scaturente dalla inverosimiglianza che una concessione destinata a soddisfare esigenze abitative del tutto contingenti si fosse protratta per oltre 20 anni senza alcuna rimostranza da parte del proprietario poi usufruttuario dei beni b dalla presunzione semplice secondo cui, giusta una consuetudine ancora assai diffusa nella comunità nazionale, doveva predicarsi la verosimiglianza della messa a disposizione, in favore del figlio, da parte del padre, di un immobile destinato ad abitazione coniugale c dall'avere gli appellanti provveduto personalmente alla ristrutturazione dell'appartamento sostenendo integralmente le non indifferenti spese, onde la logica inferenza probatoria della ragionevole convinzione di poter abitare l'immobile a vita 5 che la successiva vendita con riserva di usufrutto, stipulata nel 1997, trovava coerente e logica spiegazione nell'esigenza di evitare l'incidenza di futuri oneri fiscali derivanti dalla successione ereditaria, onde soltanto successivi attriti insorti tra le parti avevano indotto l'appellato a rinnegare l'accordo sì come a suo tempo concluso.P M. ha impugnato la sentenza di appello con ricorso per cassazione sorretto 6 da motivi.Resistono con controricorso V. e M. T. M In dirittoIl ricorso è infondato.Con il primo, secondo, quarto e quinto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli articolo 2729, 2722 c.c.I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati attesane la intrinseca connessione e che, al di là di un mero richiamo a norme di legge, non chiariscono in alcun modo quali siano i principi di diritto violati o erroneamente applicati , sono in parte inammissibili, in parte infondati.Inammissibili, nella parte in cui mirano e rimettere in discussione la qualificazione giuridica dell'accordo intervenuto tra il ricorrente e i coniugi M., avendo correttamente la corte d'appello rilevato, sul punto, la formazione del giudicato, onde la natura di contratto di comodato del detto accordo non è né può costituire più oggetto di controversia anche in questa sede.Infondati, nella misura in cui contestano, della convenzione negoziale così identificata dal giudice di merito, la natura di comodato a vita, contrapponendo alla valutazione in punto di fatto compiuta dalla corte territoriale una propria, diversa ricostruzione fattuale di segno contrario, così esorbitando, all'evidenza, dai limiti del giudizio di legittimità, ove è consentito soltanto criticare sul piano logico-giuridico l'iter motivazionale seguito dal giudice di merito che, viceversa, con argomentazioni del tutto scevre da tali vizi, ha correttamente e condivisibilmente identificato nella fattispecie negoziale oggetto del contendere una ipotesi di comodato a vita.Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell'articolo 115 comma II c.p.c Il motivo è patentemente inammissibile, per assoluta incongruità del quesito di diritto con il quale esso si conclude dica la corte se sia conforme alla retta interpretazione e applicazione dell'articolo 115 comma II c.p.c. che possa assurgere a fatto notorio un comportamento umano ritenuto generalizzato nella comunità nazionale che dipenda dalla soggettiva capacità economica dei soggetti che si ritiene vi si conformino , formulato in patente e irredimibile difformità dai canoni espositivi e contenutistici più volte predicati da questa corte regolatrice per tutte, Cass. SSUU 3519/08 24883/08 .Con il sesto motivo, si denuncia, infine, violazione e falsa applicazione degli articolo 1803 e 1810 c.c La doglianza - che lamenta un presunto malgoverno, da parte della corte cagliaritana, dei principi posti a presidio dell'istituto del comodato senza determinazione di durata - è destituita di giuridico fondamento, avendo il giudice di merito, di converso, correttamente applicato le norme in parola, in conformità con una pressoché unanime giurisprudenza di questa corte, espressasi, in subiecta materia, anche a sezioni unite Cass. 21.7.2004, numero 13603 .Il ricorso è pertanto rigettato.La disciplina delle spese che possono per motivi di equità essere in questa sede compensate segue come da dispositivo.P.Q.M.La corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.