Telefonate mute: troppo poco per costituire stalking, ma sono comunque moleste

Un numero esiguo di telefonate mute, effettuate nell'arco temporale di venti mesi, sebbene non bastino ad integrare gli estremi del delitto di atti persecutori, possono tuttavia assumere rilevanza penale in termini di molestia.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza numero 45547/16 depositata il 28 ottobre. Uno stalker un poco svogliato. La breve sentenza che oggi commentiamo ha ad oggetto una vicenda tutt'altro che insolita. E' il caso, potremmo definirlo così, del “persecutore muto” ossia quel soggetto che, allo scopo di manifestare il proprio interesse – sgradito, evidentemente – nei riguardi di altro individuo, effettua ripetute telefonate all'indirizzo di quest'ultimo senza mai profferire sillaba. Una condotta odiosa, insopportabile che spesso è resa ancor più tale dal suo manifestarsi in orari notturni. Il fenomeno della telefonata muta è inoltre un potente generatore d'angoscia l'apparecchio squilla, si risponde e all'altro capo non si ode alcun suono. O magari si percepisce soltanto l'inquietante soffio del respiro di chi ha fatto la telefonata. Nel processo che si è temporaneamente definito con la sentenza oggi in commento l'iniziale ipotesi di reato era quella dello stalking. Niente da fare qualche telefonata muta diluita in un arco temporale di quasi due anni è troppo poco per rinviare a giudizio l'imputato. L'azione penale, appena esercitata, viene stoppata in udienza preliminare con una sentenza di non luogo a procedere. Nel più sta il meno la riqualificazione. La parte civile – preso atto della decisione liberatoria – non rimane a guardare, e interpone ricorso per cassazione sostenendo in prima battuta l'erroneità della negazione dei presupposti per l'integrazione del delitto di atti persecutori rilevando che non importa il numero delle telefonate subite dalla vittima. In seconda battuta viene prospettata l'ulteriore erroneità della decisione impugnata sotto il profilo della mancata riqualificazione dei fatti nella contravvenzione di molestia. Il primo passo delle doglianze sollevate dalla parte ricorrente non incontra il favore dei Supremi Giudici a parte il fatto che per confutare adeguatamente il verdetto di non luogo a procedere occorrerebbe entrare a fondo nel merito dei fatti oggetto d'imputazione – cosa che evidentemente è preclusa dalla stessa natura del giudizio di legittimità – vi è da osservare che qualche telefonata muta in quasi due anni è un po' poco per sostenere validamente un'accusa di stalking in giudizio. Coglie nel segno la doglianza subordinata, e cioè la critica alla mancata attivazione dei poteri riqualificativi del giudice. Quest'ultimo, secondo la tesi accolta anche dagli Ermellini, ben avrebbe potuto rileggere l'imputazione e derubricarla in quella meno grave di molestia, disponendo con ordinanza la trasmissione degli atti al p.m. per procedere con citazione diretta a giudizio. Nella sentenza impugnata, lo comprendiamo dal decisum della Cassazione, il gup non si è posto nemmeno il problema appena descritto. E questo spiega, appunto, il perchè dell'annullamento con rinvio della decisione di non luogo a procedere. Una decisione “benevola”? Il delitto di atti persecutori, introdotto nel 2009, offre uno spazio di tutela molto efficace alle vittime degli stalkers sono molto spesso le donne a fare le spese degli ex-mariti, ex-fidanzati, ex-compagni non rassegnati alla fine di un legame sentimentale. A volte la persecuzione si innesca ad opera di corteggiatori respinti, o di semplici squilibrati mentali. La struttura dell'illecito si impernia sulla reiterazione delle condotte minacciose o moleste, e sull'efficacia ansiogena che da queste deriva. Ora anche la persecuzione a mezzo telefono può costituire uno dei mezzi che lo stalker pone in essere per aggredire la vittima magari prima di passare ad altre forme ancora più invasive di “controllo” pedinamenti, appostamenti, eccetera. La sentenza in esame – lo diciamo a scanso di ogni equivoco – non contiene un principio di diritto del tipo «qualche telefonata non è sufficiente per integrare il reato». Contiene soltanto la decisione di un caso concreto, per giunta rimasto impigliato nel filtro dell'udienza preliminare. Anzi, è apprezzabile il tentativo degli Ermellini di consentire un “recupero penale” dei fatti concreti oggetto di giudizio. E' il segno che, di fronte alle condotte anche embrionalmente persecutorie, la soglia d'attenzione è sempre alta.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 4 luglio – 28 ottobre 2016, numero 45547 Presidente Vessichelli – Relatore Gorjan Ritenuto in fatto Il Tribunale di Modena con la sentenza impugnata, resa a sensi dell’articolo 425 cod. proc. penumero il 9.3.2016, ha dichiarato non doversi procedere nei riguardi del C. in ordine al delitto ex articolo 612 bis cod. penumero per insussistenza del fatto. Il Giudice modenese ha ritenuto che il numero di telefonate di disturbo addebitate all’imputato fosse esiguo in relazione all’arco temporale, in cui furono effettate, per ritenere configurato il delitto contestato. Avverso la sentenza resa dal Tribunale ha proposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario della parte civile, rilevando come concorreva violazione di legge in relazione all’ipotesi delittuosa contestata od almeno alla contravvenzione ex articolo 660 cod. penumero , poiché l’argomento utilizzato dal Giudice di Modena errato. Difatti come insegnava questa Suprema Corte non assumeva dirimente rilevanza l’aspetto quantitativo delle azioni violente o moleste in ordine al delitto, ex articolo 612 bis cod. penumero . Inoltre non era stato valutato che, comunque, le telefonate, benché in numero non significativo se ragguardato l’intero periodo di imputazione, tuttavia risultavano intensificate in alcuni brevi periodi temporali sì da recar di certo molestia. All’odierna udienza camerale nessuno compariva per l’imputato e la parte civile, mentre il P.G. concludeva per l’annullamento con rinvio. Ritenuto in diritto Il ricorso de quo s’appalesa fondato e va accolto con conseguente annullamento della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale di Modena per nuovo esame. In effetto il ragionamento esposto dal G.U.P. presso il Tribunale appare adeguato a sostenere la soluzione adottata in relazione all’ipotesi accusatoria contestata, ossia il delitto ex articolo 612 bis cod. penumero nella prospettiva dei cui all’articolo 425 cod. proc. penumero . Difatti la condotta lesiva risulta compenetrata da sole comunicazioni telefoniche e nulla altro inoltre non viene contestata l’osservazione del primo Giudice che il dibattimento non avrebbe consentito acquisizione di ulteriori elementi probatori di valutazione. È unico dato, quindi, valutabile ai fini della penale responsabilità il numero di telefonate,da ritenersi moleste poiché generalmente mute, nel periodo di imputazione - circa 20 mesi - di certo riferibili all’utenza utilizzata dall’imputato. E sulla scorta di tale numero il Giudice modenese ha rettamente, anche ad opinione di questa Corte, ricavato la conclusine che, stante il numero esiguo rapportato all’ampio arco temporale, non potesse ritenersi posta in essere la condotta di logoramento psichico ed intimidazione atta a suscitar turbamento apprezzabile nella psiche ed abitudini di vita della parte lesa,siccome previsto dalla norma incriminatrice. In effetto dette telefonate, proprio perché in gran parte mute, lumeggiano scopo di molestia,ma sotto tale profilo, pur risultando condotta ricompresa nella più ampia ipotesi criminosa contestata, il G.U.P. non ha valutata la questione. Ed un tanto pur potendo rilevare dalle indicazioni specifiche al riguardo in capo d’imputazione come in effetto molte telefonate risultano fatte in ora notturna e con maggior frequenza in solo alcuni dei periodi collocati nell’arco temporale di imputazione. Riguardo a detti rilevanti dati di fatto, configuranti l’ipotesi autonoma della contravvenzione ex articolo 660 cod. penumero , in effetto il Giudice di Modena non ha illustrato argomentazione alcuna per escludere la ben possibile riqualificazione giuridica della medesima condotta contestata. Di conseguenza la sentenza impugnata va annullata ed il procedimento va rimesso al Tribunale di Modena per nuovo esame avuta presente anche la possibilità di riqualificare il fatto contestato nella contravvenzione ex articolo 660 cod. penumero . Per la tipologia dei reati di causa ed i rapporti interpersonali consegue l’oscuramento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Modena per nuovo esame. In caso di diffusone del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’articolo 52 d.lgs. 196/03 in quanto disposto d’ufficio.