Sanzioni dure per l’uomo beccato prima in possesso della sostanza stupefacente, e poi ritenuto colpevole di averne ceduto una dose a un minore oltre cinque anni e mezzo di reclusione. Ma la pena va ridefinita plausibile, difatti, comunque, l’applicazione dell’attenuante del fatto di lieve entità.
Piccola ‘scorta’ di droga quasi 5 grammi di marijuana. Ma la sostanza stupefacente, in possesso di un uomo, è destinata allo spaccio testimonianza ne è la cessione di una dose a un minorenne. Ciò nonostante, resta applicabile l’attenuante del fatto di lieve entità. Soprattutto tenendo presente il quantum della droga, da un lato, e il nascondiglio utilizzato dall’uomo, dall’altro. Cassazione, sentenza numero 24848, sez. III Penale, depositata oggi Spaccio. Contestazione grave nei confronti di un uomo, beccato non solo in possesso di marijuana, ma anche ritenuto colpevole di «aver ceduto la sostanza ad un minore». Ecco spiegata la dura condanna emessa dal Giudice per le indagini preliminari «sei anni di reclusione» e «30mila euro di multa». Pena lievemente attenuata, poi, in Corte d’Appello, laddove i giudici condannano l’uomo a «cinque anni e sei mesi di reclusione» e a «24mila euro di multa». Confermato, però, il ‘niet’ alla richiesta dell’uomo di vedersi riconosciuta l’attenuante dei fatti di lieve entità. Su questo punto, secondo i giudici, è fondamentale valutare il «quantitativo di sostanza stupefacente, pari a duecentodieci dosi di marijuana» e l’«accorgimento» posto in essere dall’uomo, ossia «celare lo stupefacente in un nascondiglio poco distante» dalla propria abitazione, accorgimento che «denotava un modus operandi significativo di una detenzione non occasionale». Fatto lieve. Ma le valutazioni compiute dai giudici di merito sono ora messe in discussione. Vengono accolte, difatti, in Cassazione, le obiezioni mosse dall’uomo sotto accusa, il quale evidenzia, dal proprio punto di vista, che «il dato ponderale non osta affatto al riconoscimento del fatto lieve, specie in riferimento alla tipologia della sostanza e con le modalità rudimentali del commercio», aggiungendo poi che «la modalità di custodia» non dimostra affatto un «modus operandi collaudato». Per i giudici del ‘Palazzaccio’, difatti, «il dato ponderale», in questo caso, «non appare, di per sé, preclusivo al riconoscimento dell’attenuante» dei fatti di lieve entità, soprattutto tenendo presenti la «tipologia di stupefacente detenuto e ceduto» e le «modalità di organizzazione dello spaccio». A completare il quadro, in modo favorevole all’uomo, poi, anche l’evidente illogicità dell’affermazione dei giudici d’Appello, secondo cui «il fatto di avere detenuto lo stupefacente in un nascondiglio poco distante dalla propria abitazione indicherebbe un modus operandi collaudato» e sintomatico di una «ripetitiva condotta illecita». Perché mai, domandano i giudici del ‘Palazzaccio’, «siffatto accorgimento non avrebbe potuto essere adottato anche da uno spacciatore occasionale»? Anche a tale quesito dovranno dare risposta i giudici della Corte d’Appello, affrontando nuovamente la vicenda.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 8 aprile – 12 giugno 2014, numero 24848 Presidente Squassoni – Relatore Franco Svolgimento del processo Con sentenza dell'8.11.2012, il Gip del tribunale di Napoli dichiarò T.M. colpevole del reato di cui agli articolo 73, comma 1 e 1 bis, 80, comma 1, d.p.R. 309 del 1990 per avere venduto sostanza stupefacente tipo marijuana per 0,34 grammi di principio attivo e per aver detenuto al fine di cederla marijuana con principio attivo pari a 4,90 grammi equivalenti a 196,3 dosi medie singole, con l'aggravante di aver ceduto la sostanza ad un minore, e, con la diminuente per il rito prescelto, lo condannò alla pena di anni 6 di reclusione ed € 30.000 di multa. La corte d'appello di Napoli, con la sentenza in epigrafe, ritenne eccessivo l'aumento per l'aggravante di cui all'articolo 80 e rideterminò la pena in anni cinque e mesi sei di reclusione ed € 24.000 di multa p.b. anni 6 ed € 27.000, aumentata ex articolo 80 ad anni 8 ed € 36.000, quindi diminuita per il rito . La corte d'appello, in particolare, ritenne che non sussisteva l'attenuante di cui all'articolo 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990 a per il quantitativo di sostanza stupefacente pari a 210 dosi di marijuana b per l'accorgimento posto in essere di celare lo stupefacente in un nascondiglio poco distante, che denotava un modus operandi significativo di una detenzione non occasionale. L'imputato, a mezzo dell'avv. D.D., propone ricorso per cassazione deducendo vizio di motivazione in relazione all'articolo 73, quinto comma, d.p.R. 309 del 1990. Osserva che il dato ponderale non osta affatto al riconoscimento del fatto lieve, specie in riferimento alla tipologia della sostanza stupefacente e con le modalità rudimentali del commercio illecito. In modo manifestamente illogico la sentenza impugnata ritiene che la modalità di custodia dimostrerebbero in modus operandi ben collaudato. Motivi della decisione Il ricorso è fondato. Innanzitutto, invero, la motivazione della sentenza impugnata appare apodittica e manifestamente illogica laddove attribuisce valore decisivo, per escludere la possibilità di riconoscere l'attenuante del fatto di lieve entità, al dato ponderale ed alle modalità condotta. Ed infatti, il dato ponderale nella specie non appare di per sé preclusivo al riconoscimento della attenuante ed avrebbe comunque dovuto essere valutato con l'insieme delle circostanze del caso concreto, ed in particolare con la tipologia di stupefacente detenuto e ceduto e con le modalità di organizzazione dello spaccio illecito. E' poi manifestamente illogica l'affermazione che il fatto di avere detenuto lo stupefacente in un nascondiglio poco distante dalla propria abitazione indicherebbe un modus operandi collaudato significativo di una ripetitiva condotta illecita, dal momento che non è spiegato per quale motivo un siffatto accorgimento non avrebbe potuto essere adottato anche da uno spacciatore occasionale. Va inoltre osservato che la pena base di anni sei di reclusione è stata irrogata applicando nel minimo edittale la pena prevista da una disposizione dichiarata incostituzionale - con effetto retroattivo - dalla sentenza della Corte costituzionale numero 32 del 2014, mentre la precedente disposizione illegittimamente modificata che nella specie deve essere applicata prevede la reclusione da due a sei anni. L'annullamento con rinvio, pertanto, potrà permettere al giudice del merito di determinare la pena sulla base delle norme legittimamente applicabili al caso in esame, evitando che continui a darsi applicazione a disposizioni dichiarate incostituzionali, in violazione degli articolo 136 Cost. e 30 della legge numero 87 del 1953. P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte d'appello di Napoli.