Lavora in Comune: è pubblico ufficiale

Ai sensi dell’articolo 357 c.p, è pubblico ufficiale non solo chi, con la sua attività, concorre a formare quella dello Stato o di altri enti pubblici, ma anche chi svolge attività di carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici. Anche in questo caso, infatti, si verifica, attraverso l’attività svolta, una partecipazione, anche minima, alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 22707, depositata il 30 maggio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Palermo condannava per il reato di cui all’articolo 318 c.p. corruzione per un atto d’ufficio un uomo che, in qualità di pubblico ufficiale con l’incarico di addetto alle istruttorie delle determine dirigenziali di un Comune, aveva ricevuto una retribuzione non dovuta da alcuni dipendenti di una ditta incaricata della raccolta dei rifiuti nel Comune, al fine di compiere l’istruttoria dei pagamenti dei servizi e delle prestazioni resi dalla società. L’uomo ricorreva in Cassazione, lamentando di non essere un pubblico ufficiale, essendo, al contrario, un semplice impiegato del Comune che aveva svolto funzioni preparatorie rispetto alla formazione della volontà dell’ente. Il suo incarico si limitava alla sola preparazione delle determine, non alla loro predisposizione, compito svolto invece dall’incaricato con funzioni dirigenziali. Nozione di pubblico ufficiale. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, ai sensi dell’articolo 357 c.p. nozione di pubblico ufficiale , è pubblico ufficiale non solo chi, con la sua attività, concorre a formare quella dello Stato o di altri enti pubblici, ma anche chi svolge attività di carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici. Anche in questo caso, infatti, si verifica, attraverso l’attività svolta, una partecipazione, anche minima, alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione. Perciò, per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non è indispensabile svolgere un’attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi, perché ogni atto preparatorio o propedeutico, che esaurisca nell’ambito del procedimento amministrativo i suoi effetti, anche solo interni alla pubblica amministrazione, comporta, in ogni caso, l’attuazione completa e connaturale dei fini dell’ente pubblico e non può essere isolato dall’intero contesto delle funzioni pubbliche. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 11 aprile – 30 maggio 2014, numero 22707 Presidente Ippolito – Relatore Rotundo Fatto e diritto 1. Il difensore di L.G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe, con la quale, in data 4-7-13, la Corte d'Appello di Palermo, sezione 4° penale, ha confermato la condanna pronunciata nei confronti del predetto in primo grado alla pena condizionalmente sospesa , previo riconoscimento delle attenuanti generiche, di mesi otto di reclusione per il reato di cui agli articolo 110 e 318 cod. penumero , per avere, in qualità di pubblico ufficiale in servizio presso il Comune di Carini con l'incarico di addetto alle istruttorie delle determine dirigenziali, ricevuto per sé e per il coniuge una retribuzione non dovuta consistente nel pagamento di un viaggio e di un soggiorno di tre giorni a Venezia in occasione del Carnevale da parte di G.M. e L.A., soggetti operanti per conto della ditta Progetto Ambiente, incaricata della raccolta dei rifiuti presso il Comune di Carini, al fine di compiere un atto del suo ufficio e precisamente l'istruttoria dei pagamenti dei servizi e delle prestazioni resi dalla predetta società fatto commesso in Carini nel febbraio 2006 . Il ricorrente denuncia in primo luogo la violazione dell'articolo 318 cod. penumero , sostenendo che il L. non era pubblico ufficiale, non era funzionario del Comune di Carini e non redigeva né formava le determine della Ripartizione Comunale preposta. A suo avviso, l'imputato, semplice impiegato del Comune di Carini, avrebbe esplicato soltanto funzioni preparatorie rispetto alla formazione della volontà dell'Ente, avendo un incarico limitato alla sola preparazione e non alla predisposizione delle determine, le quali poi venivano confezionate ed adottate dall'incaricato con funzioni dirigenziali, e cioè in questo caso dal Capo Ripartizione 5° Servizi a Rete del Comune di Carini. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla pena inflitta, ritenuta eccessiva. 2. Il primo motivo di ricorso è infondato. Questa Corte ha già chiarito, esaminando proprio la posizione di un impiegato comunale addetto ad istruire pratiche relative a gare di appalto, che ai sensi dell'articolo 357 cod. penumero , è pubblico ufficiale non solo colui il quale con la sua attività concorre a formare quella dello Stato o degli altri enti pubblici, ma anche chi è chiamato a svolgere attività avente carattere accessorio o sussidiario ai fini istituzionali degli enti pubblici, in quanto anche in questo caso si verifica, attraverso l'attività svolta, una partecipazione, sia pure in misura ridotta, alla formazione della volontà della pubblica amministrazione. Ne consegue che, per rivestire la qualifica di pubblico ufficiale, non è indispensabile svolgere un'attività che abbia efficacia diretta nei confronti dei terzi - nel senso cioè che caratteristica della pubblica funzione debba essere quella della rilevanza esterna dell'attività medesima - giacché ogni atto preparatorio, propedeutico ed accessorio, che esaurisca nell'ambito del procedimento amministrativo i suoi effetti certificativi, valutativi o autoritativi, seppure destinato a produrre effetti interni alla pubblica amministrazione, comporta, in ogni caso, l'attuazione completa e connaturale dei fini dell'ente pubblico e non può essere isolato dall'intero contesto delle funzioni pubbliche Sez. 6, Sentenza numero 5575 del 19/03/1998, Rv. 210611, Bellifemine . E' stato altresì precisato che rientra nella fattispecie della corruzione per un atto di ufficio articolo 318 c.p. il comportamento dell'incaricato di pubblico servizio che, svolgendo compiti preparatori nella procedura di definizione dei rapporti tra privati proponenti e l'ente di appartenenza, percepisca elevate somme di denaro per agevolare e velocizzare la conclusione di contratti di compravendita di immobili. In siffatta ipotesi le dazioni di denaro non sono correlate ad atti contrari ai doveri di ufficio, non essendo ravvisabile alcuna violazione delle regole interne poste a presidio dello svolgimento del servizio pubblico al contrario, è riscontrabile la violazione del principio di imparzialità che, connotandosi, soprattutto, come dovere esterno , è posto a garanzia da favoritismi o da deviazioni per tornaconto personale da parte dell'agente di detto principio di imparzialità l'accettazione della indebita retribuzione costituisce senz'altro un vulnus , ancorché quest'ultima sia riferita a un atto legittimo Sez. 6, Sentenza numero 12990 del 16/10/1998, Rv. 212315, Berlusconi . In applicazione di questi principi la Corte d'Appello di Palermo ha correttamente confermato la penale responsabilità del L. per il reato a lui ascritto, posto che lo stesso imputato, impiegato presso il Comune di Carini, aveva ammesso in sede di interrogatorio di avere ricevuto dal G. il pagamento di un viaggio a Venezia, ponendo in correlazione tale dazione con l'esigenza del G. di ottenere una più rapida liquidazione delle fatture della Società Progetto Ambiente per il servizio di raccolta dei rifiuti svolto per il Comune. D'altra parte dal tenore di una conversazione telefonica intercettata in data 2-2-06 intercorsa tra G. e L. era emerso che era stato proprio l'impiegato comunale L. a chiedere a L. il pagamento di un soggiorno di tre giorni a Venezia. 3. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto censura un punto della decisione, quale la commisurazione della pena, che è rimesso alla valutazione discrezionale del giudice di merito, come tale sottratta al sindacato di legittimità, ove - come appunto nel caso di specie - corredata di una motivazione riconducibile ai canoni di cui all'articolo 133 cod. penumero e idonea a far emergere la ragione della concreta scelta operata. 4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.