In Cassazione può eccepirsi esclusivamente un vizio di inadeguata motivazione o errata applicazione di regole ermeneutiche.
Nell'interpretare una clausola negoziale, il giudice, in primis, deve eseguire l'interpretazione letterale dell'atto negoziale, delle singole clausole, nonché, delle stesse clausole connesse tra loro. Ove, il magistrato, dimostri e motivi l'impossibilità di attuare l'interpretazione letterale delle clausole, potrà ricorrere ai criteri sussidiari quali la valutazione del comportamento fattuale delle parti ed il principio di conservazione. Ad affermarlo è la Corte di Cassazione, nella sentenza numero 9524 del 30 aprile 2014. Il caso. Due coniugi, per quanto è dato capire, avevano ceduto un immobile in favore di una avvocato a fronte di una rendita vitalizia. I coniugi chiarivano anche che il medesimo professionista aveva svolto in loro favore altra attività professionale. La coppia conveniva in giudizio il legale affinché fosse accertato il saldo derivante dalla gestione rendita non pagata dal professionista con conseguente condanna al versamento del saldo in favore della parte attrice. Il professionista, si difendeva sostenendo di non dover nulla in favore dei coniugi. Il tribunale accoglieva integralmente la domanda formula da parte attrice, individuava un saldo positivo di gestione e condannava il professionista al pagamento. La corte d'appello, in sostanza, confermava la sentenza del giudice di merito. Interpretazione di un contratto. Nell'interpretare una clausola negoziale, il giudice, in primis, deve eseguire l'interpretazione letterale dell'atto negoziale, delle singole clausole, nonché, delle stesse clausole connesse tra loro. Ove, il magistrato, dimostri e motivi l'impossibilità di attuare l'interpretazione letterale delle clausole, potrà ricorrere ai criteri sussidiari quali la valutazione del comportamento fattuale delle parti ed il principio di conservazione. Nel caso di specie, ha osservato la cassazione, il giudice di merito ha correttamente ricostruito la volontà delle parti interpretando in modo letterale le clausole negoziali ed ha escluso la validità dell'interpretazione formulata da parte convenuta tacciandola come soggettiva e non corrispondente alla formulazione letterale delle clausole. Detta statuizione, oltre ad essere legittima risulta essere anche correttamente motivata. L'opposizione formulata da parte convenuta, si limita a fornire una diversa interpretazione dell'atto negoziale e, come tale, non è ammissibile, infatti, in cassazione può essere eccepito solo un vizio legittimità, ovvero, di inadeguata motivazione o errata applicazione di regole ermeneutiche. Con queste argomentazioni, la S.C. ha respinto il ricorso condannando il professionista anche alla refusione delle spese scaturenti dai tre gradi di giudizio.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 12 marzo - 30 aprile 2014, numero 9524 Presidente Oddo – Relatore Migliucci Svolgimento del processo 1.- B.J. , premesso di aver ricevuto prestazioni professionali da parte dell'Avv. M.R. e di avere, unitamente al coniuge, stipulato un contratto di rendita vitalizia, con il quale il M. si era impegnato a corrispondere la rendita annua di L. 1.100.000, previa rivalutazione annua, conveniva in giudizio innanzi al tribunale di Milano il predetto M. , affinché fosse condannato a rendere il conto della gestione degli affari trattati nell'interesse della attrice e del coniuge C.P. e a corrispondere la somma risultante dalla differenza fra quanto effettivamente dovuto per effetto della rivalutazione della rendita nella misura pattuita e quanto versato, con gli interessi legali dalle singole scadenze al saldo, con vittoria delle spese di causa. Si costituiva in giudizio M.R. contestando le avverse pretese e deducendo come egli, nel novembre 1997, aveva corrisposto delle somme ulteriori rispetto alla rendita rivalutata, quale anticipo sul riscatto che esso M. avrebbe operato. Con sentenza numero 10684/04 il tribunale riteneva che il contratto dovesse essere interpretato nel senso che le parti avevano pattuito di rivalutare, anno per anno, la rendita concordata facendo riferimento agli indici Istat nella misura del 90 % e operando così una franchigia pari al 10%, dichiarava il M. tenuto a rendere conto della gestione e a pagare all'attrice la somma di Euro 36.836,96 e di Euro 14.223,12, oltre al pagamento delle spese di lite. Con sentenza dep. il 20 giugno 2008 la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della decisione impugnata dal convenuto, rigettava la domanda di rendiconto, confermando la interpretazione della clausola che prevedeva la rivalutazione ISTAT con la franchigia del 10%, disattendendo la tesi del convenuto secondo cui il diritto alla rivalutazione sarebbe spettato solo nel caso in cui la svalutazione fosse stata superiore alla misura del 10%. 2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il M. sulla base di un unico motivo. Resiste con controricorso l'intimata. Motivi della decisione 1.1. - Il primo motivo, lamentando violazione o falsa applicazione di norme di diritto, censura l'erronea interpretazione che della clausola C del contratto di rendita vitalizia aveva data la sentenza impugnata, che era in contrasto con quella che per 25 anni avevano dato le parti, laddove era stato inteso che la franchigia doveva applicarsi alla variazione dell'indice ISTAT del costo del vita come del resto era stato confermato dalla determinazione della rendita compiuta in un primo momento dal ctu secondo le condizioni contrattuali mentre la successiva determinazione era stata effettuata in base alla riformulazione del quesito compiuta dal giudice senza alcun riferimento alle clausole contrattuali. La Corte di appello si era limitata a confermare sic et simpliciter la decisione di primo grado che aveva richiamato l'articolo 1362 cod. civ. con riferimento al contenuto del contratto, quando sarebbe stato necessario valutare — in base a una interpretazione secondo buona fede della effettiva intenzione delle parti - il comportamento complessivo delle parti anche posteriore alla conclusione del contratto, atteso che le stesse intesero procedere alla rivalutazione monetaria soltanto se superiore al 10% in un momento caratterizzato da notevole e galoppante inflazione ripartendo fra le parti il relativo rischio. 1.2.- Il motivo è infondato. Il ricorrente censura l'interpretazione che i Giudici di appello, confermando quella data dalla decisione di primo grado, avevano formulato della clausola di adeguamento monetario alle variazioni del costo della vita secondo gli indici ISTAT del contratto di rendita vitalizia intercorso fra le parti. Occorre chiarire che l'interpretazione del contratto, consistendo in un'operazione di accertamento della volontà dei contraenti, si risolve in un'indagine di fatto riservata al giudice di merito, il cui accertamento è censurabile in cassazione soltanto per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle regole ermeneutiche, che deve essere specificamente indicata in modo da dimostrare - in relazione al contenuto del testo contrattuale - l'erroneo risultato interpretativo cui per effetto della predetta violazione è giunta la decisione, che altrimenti sarebbe stata con certezza diversa la decisione. Ne consegue che non può trovare ingresso in sede di legittimità la critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca esclusivamente nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto già dallo stesso esaminati occorre ricordare che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l'interpretazione data dal giudice di merito ad un contratto non deve essere l'unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili, e plausibili, interpretazioni sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l'interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l'altra. Cass.7500/2007 24539/2009 . Nel procedere all'interpretazione il giudice di merito, ai sensi degli articolo 1362 e 1363 cod. civ., per individuare quale sia stata la comune intenzione delle parti, deve preliminarmente procedere all'interpretazione letterale dell'atto negoziale e, cioè, delle singole clausole nonché delle une per mezzo delle altre, dando contezza in motivazione del risultato di tale indagine. Solo qualora dimostri, con argomentazioni convincenti, l'impossibilità e non la mera difficoltà di conoscere la comune intenzione delle parti attraverso l'interpretazione letterale, potrà utilizzare i criteri sussidiari di interpretazione, in particolare il comportamento delle parti successivo alla conclusione del contratto ed il principio di conservazione. Ciò premesso, la sentenza, nel procedere alla interpretazione della clausola relativa alla rivalutazione monetaria della rendita vitalizia, ha esaminato e tenuto conto proprio delle espressioni letterali usate dai contraenti laddove era stato previsto l'adeguamento della rendita alle variazioni dell'indice del costo della vita, con la franchigia annua del 10%. I Giudici hanno ritenuto che, in base al chiaro e non equivoco significato - coerente con il senso logico desumibile dalle parole usate - il termine franchigia andava riferito alla mancata copertura del 10% della intervenuta svalutazione ovvero che dovesse essere corrisposto il 90% della rivalutazione. Ed invero, la tesi sostenuta dal ricorrente, secondo cui il diritto all'adeguamento ISTAT sarebbe spettato soltanto se fosse stato superato il coefficiente di svalutazione del 10% appare il frutto di una soggettiva ricostruzione della volontà contrattuale compiuta dal ricorrente e non è suffragato da alcun elemento obiettivo in base al quale possa affermarsi l'errore dell'operazione ermeneutica compiuta dai Giudici in violazione dei canoni ermeneutici. E, non essendo stato fornito alcun elemento circa l'incertezza obiettiva in merito alla interpretazione del testo contrattuale, non si rendeva necessaria la valutazione del comportamento successivo alla conclusione. Il ricorso va rigettato. Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 3.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.000,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge.