Solo i singoli condòmini che hanno agito per il riconoscimento del diritto d'uso sui parcheggi pertinenziali possono godere dei benefici della sentenza a loro favorevole così come rimane a loro carico l'onere di provvedere al pagamento dell'indennità prevista per l'esercizio di tale diritto. Chi non ha agito in giudizio, invece, resta escluso da òneri ed onòri. La legge di riforma numero 246/2005, che ha “liberalizzato” le aree a parcheggio, avendo portata innovativa, non ha effetto retroattivo.
Questo, in estrema sintesi, il contenuto della sentenza della seconda Sezione Civile della Cassazione numero 4301/16, depositata il 4 marzo. Il fatto. Ancora una volta nel condomìnio la lite scoppia a causa della cronica mancanza delle aree a parcheggio e, tanto per cambiare, a finire alla gogna ed a essere chiamata in causa è l'impresa realizzatrice. A finire sotto la lente, le clausole contrattuali con cui il costruttore si è riservato la proprietà delle aree destinate a parcheggio. Nel caso in esame, però, la lite viene scatenata solo da una parte dei condòmini il che, per certi aspetti, complica le cose. Il Tribunale dichiara la nullità delle clausole con cui il costruttore si era riservato la proprietà delle aree a parcheggio e riconosce, nei confronti degli attori, il diritto di uso dell'intera area asservita a parcheggio, pari a circa 787 metri quadrati. Come corrispettivo per l'esercizio del diritto d'uso, il giudice di primo grado pone a carico di ciascun condomino-attore, ed a favore del costruttore, una indennità di euro 10.000. La Corte di appello corregge il tiro e sottolinea che il diritto d'uso non debba essere riconosciuto nei confronti dell'intero condomìnio, bensì, solo ed esclusivamente, nei confronti dei singoli condòmini che avevano agito in giudizio. E non finisce qui! Secondo la Corte territoriale, il diritto di uso corrispondente a ciascun condòmino-attore è limitato ad una superficie di un metro quadrato per ogni venti metri cubi di volume della rispettiva unità abitativa. Le aree destinate a parcheggio, di conseguenza, venivano ridotte a “soli” 696 metri quadrati circa veniva confermata, invece, la misura del corrispettivo per l'esercizio del diritto d'uso, pari a 10.000 euro per ogni condòmino-attore. A questo punto la vicenda si sposta nelle aule di Piazza Cavour. Le aree a parcheggio sarebbero state ridotte dalla Corte d'appello. I condòmini-ricorrenti, in primo luogo, si lamentano perché il giudice di appello, avrebbe ridotto la superficie su cui esercitare il diritto d'uso dagli originari 787 mq circa stabiliti in primo grado, a “soli” 696 mq circa riconosciuti dalla Corte territoriale. In proposito la Cassazione sottolinea come l'area vincolata a parcheggio, su cui il condomìnio può far valere il diritto d'uso, è determinata sulla base del volume edificato in particolare, la norma prevede che, per ogni 20 metri cubi di costruzione poi ridotti a 10 metri cubi , venga prevista la realizzazione di 1 metro quadrato di superficie a parcheggio. Il Tribunale, evidentemente, aveva quantificato le aree vincolate a parcheggio, su cui gli attori avrebbero potuto esercitare il diritto d'uso, in base al volume totale dell'intero edificio. Più correttamente, la Corte d'appello aveva quantificato le superfici a parcheggio in relazione alle volumetrie di pertinenza dei condòmini che avevano agito in giudizio. Il diritto d'uso delle aree a parcheggio, infatti, poteva essere fatto valere solo dai condomini-attori e non da chi era rimasto inerte così come, parallelamente, solo chi aveva agito in giudizio era tenuto al pagamento dell'indennità per l'utilizzo delle aree a parcheggio. Gli Ermellini, quindi, ritengono sostanzialmente corretto il ragionamento logico-giuridico della Corte territoriale. Il costo a metro quadrato sarebbe aumentato. Altro punto a finire sotto la lente dei ricorrenti è l'aumento del costo posto a carico dei condòmini-attori per l'esercizio del diritto d'uso sulle aree vincolate a parcheggio. Il ragionamento dei ricorrenti è semplice la Corte d'appello, da un lato, avrebbe parametrato la superficie su cui esercitare il diritto di uso in funzione delle volumetrie espresse dalle singole unità immobiliari dei condòmini-attori, il che avrebbe portato ad un ridimensionamento delle superfici disponibili mentre dall'altro, parallelamente, l'indennità per l'esercizio di tale diritto sarebbe rimasta inalterata. Avremmo, quindi, due conseguenze la superficie su cui esercitare il diritto d'uso sarebbe stata ridotta mentre il corrispettivo sarebbe rimasto inalterato. A cascata, come logica conseguenza, il “costo a metro quadro” posto a carico di ciascun condòmino-attore sarebbe lievitato senza alcun giustificativo. Ci sarebbe, inoltre, un altro problema mentre l'area a parcheggio verrebbe determina in relazione alla volumetria delle singole unità immobiliare e, quindi, sarebbe variabile in funzione delle dimensioni delle singole unità immobiliari, il corrispettivo per l'esercizio del diritto d'uso sarebbe stato fissato in 10.000 euro per ogni unità immobiliare, a prescindere dalle dimensioni dell'appartamento. La Corte di Cassazione rigetta le lagnanze e chiarisce che l'area a parcheggio su cui esercitare il diritto d'uso è stata giustamente quantificata dalla Corte d'appello in base alla volumetria espressa dalle unità immobiliari dei ricorrenti il che, come detto in precedenza, avrebbe determinato una riduzione delle superfici su cui esercitare il diritto d'uso rispetto a quanto ipotizzato in primo grado. Il corrispettivo per l'esercizio di tale diritto d'uso, invece, non è stato quantificato in base alla superficie a parcheggio spettante al singolo condomino ma “a testa” con la conseguenza che ogni singolo condominio, a prescindere dall'estensione della propria unità immobiliare, è tenuto a versare il corrispettivo nella misura prevista dal giudice di merito. Concetto condivisibile ma che può causare delle disparità. A ben guardare, questo ragionamento, pur condivisibile in linea di principio, potrebbe portare a delle aberrazioni sul piano pratico in quanto, per ipotesi, il proprietario di un mini-appartamento di 35 metri quadrati sarebbe obbligato a versare un corrispettivo identico a quello posto a carico del proprietario di un maxi-appartamento di 200 metri quadrati. Un “correttivo” potrebbe essere trovato nella gestione dei “rapporti interni” tra condomini. Fermo restando che, nei confronti del costruttore, i condòmini-ricorrenti sono tenuti, in solido, al pagamento del corrispettivo per l'esercizio del diritto d'uso, ciò non toglie che i singoli condòmini rimangono liberi di disciplinare, tra loro, le concrete modalità con cui ripartire le spese per cui ben potrebbero pensare di dividersi il costo in base ai millesimi di proprietà. Le norme in gioco. I ricorrenti chiamano in gioco l'articolo 12, comma 9, della l. numero 266/2005 di cosa stiamo parlando? In primo luogo, occorre evidenziare che, probabilmente a causa di un refuso, si tratta della legge numero 246/2005 e non della legge 266/2005! Ciò premesso, occorre tener presente che la maggior parte dei parcheggi realizzati tra il 1984 e la fine del 2005 sono soggetti al regime vincolato previsto dall’articolo 41- sexies della l. numero 1150/1942, introdotto dall’articolo 18 della l. numero 765/1967 e successivamente modificato dall’articolo 2 della l. numero 122/1989. Più semplicemente, possiamo dire che le aree a parcheggio realizzate per adempiere alla Legge urbanistica numero 1140/1942 devono considerarsi “vincolate” nel senso che il costruttore deve assicurare ai proprietari delle unità immobiliari l'uso delle aree vincolate a parcheggio. In parole povere, i parcheggi realizzati fino all'anno 2005 possono essere considerati come un “servizio accessorio” dell'unità abitativa. La situazione, peraltro, è mutata con l'articolo 12, comma 9, della l. numero 246/2005 “Semplificazione e riassetto normativo per l’anno 2005” c.d. “Legge di semplificazione per il 2005” che, modificando nuovamente l'articolo 41- sexies della l. numero 1150/1942, ha finalmente interrotto, una volta e per tutte, ogni possibile legame di pertinenzialità tra l'unità immobiliare e le aree a parcheggio. In base alla “riforma del 2005”, quindi, gli spazi a parcheggio, comunque realizzati, sono stati “liberalizzati” per cui sono suscettibili di una regolamentazione autonoma rispetto alla costruzione principale di cui costituiscono una pertinenza sotto il profilo urbanistico. Per dirla in parole povere, dal 2005 il costruttore rimane obbligato dalla normativa urbanistica alla realizzazione delle aree a parcheggio mentre, sotto il profilo civilistico, è libero di vendere i posti auto a chi ritiene e come meglio ritiene. La Legge numero 246/2005 non ha efficacia retroattiva. I ricorrenti ritengono che la l. numero 246/2005 abbia effetto retroattivo per cui possa trovare applicazione anche nel loro caso. La Cassazione respinge anche questo punto del ricorso. Gli Ermellini, in più occasioni, hanno chiarito che la l. numero 246/2005 non ha natura interpretativa avendo portata innovativa con la conseguenza che le nuove disposizioni non hanno efficacia retroattiva. Sotto questo profilo Piazza Cavour ha sottolineato che costituisce «principio pacifico che le leggi le quali modificano il modo di acquisto dei diritti reali o il contenuto degli stessi non incidono sulle situazioni maturate prima della loro entrata in vigore [conseguentemente] la nuova disciplina è destinata ad operare solo per il futuro, e cioè per le costruzioni non ancora realizzate o per quelle realizzate, ma per le quali non siano iniziate le vendite delle singole unità immobiliari» Corte di Cassazione, Sez. II civile, 24 febbraio 2006, numero 4264 . Per eventuali approfondimenti si rinvia alla monografia “I parcheggi. Urbanistica, norme tecniche e contratti” edito dalla Giuffrè all'interno della collana Teoria e pratica del diritto.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 13 gennaio – 4 marzo 2016, numero 4301 Presidente Mazzacane – Relatore Migliucci Svolgimento del processo 1. D.C.G. ed altri condomini del fabbricato sito in omissis convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Nocera inferiore il costruttore dello stabile, C.G. per sentire dichiarare la nullità delle clausole contrattuali con le quali nei rispettivi atti di vendita il medesimo si era riservato la proprietà esclusiva dell’area destinata a parcheggio senza riconoscere il diritto reale di uso a favore degli acquirenti Si costituiva il convenuto, chiedendo il rigetto della domanda e, in via subordinata, la condanna degli attori al pagamento dell’integrazione del prezzo in relazione al diritto vantato. Con sentenza numero 1124 del 2004 il tribunale dichiarava la nullità delle clausole contenute negli atti di acquisto degli attori dichiarava il diritto di uso a favore degli acquirenti che avevano agito sulla intera area asservita di mq. 787,36, e li condannava al pagamento in favore degli eredi del C. , nelle more deceduto, al pagamento della somma di euro 10.000,00. Con sentenza dep. il 6 ottobre 2010 la Corte di appello di Salerno, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava che il diritto di uso sulle aree destinate a parcheggio era limitato per legge, in favore dei condomini che avevano agito, al rapporto di un metro quadrato per venti metri cubi di volume della rispettiva unità abitativa, ed era da riconoscere a favore degli attori nella misura predetta sull’area destinata a parcheggio che era individuata nella minore estensione di mq. 696,29 rispetto a quella indicata nella licenza edilizia era confermata la misura del prezzo dovuto a stregua della stima operata dal consulente. 2. Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione gli eredi C. sulla base di cinque motivi illustrati da memoria. Non hanno svolto attività difensiva gli intimati. Motivi della decisione 1.1. Il primo motivo denuncia la contraddittorietà della sentenza impugnata laddove, dopo avere riconosciuto il diritto di uso a favore degli acquirenti nella misura di un metro quadrato per venti metri cubi di volume della rispettiva unità abitativa, era poi pervenuta alla declaratoria del diritto sull’intera area di parcheggio della superficie di mq. estensione di mq. 696,29 con conseguente nullità delle clausole contrattuali inserite negli atti di acquisto. 1.1. Il motivo è infondato. Dal necessario collegamento fra dispositivo e motivazione, va affermato che la portata precettiva della statuizione ha a oggetto il riconoscimento del diritto di uso nella misura del rapporto di un metro quadrato per venti metri cubi di volume della rispettiva unità abitativa a favore dei condomini che avevano agito in giudizio e a carico dei quali era stata emessa condanna al pagamento di integrazione del corrispettivo laddove il riferimento all’area asservita e alla sua estensione costituivano la premessa necessaria per stabilire il diritto di uso spettante a coloro che avevano agito. 2.1. Il secondo motivo deduce che in ogni caso - essendo stato riconosciuto il diritto di uso nella misura di un metro quadrato per venti metri cubi di volume della rispettiva unità abitativa - era stata erronea la determinazione del corrispettivo stimato in euro 10.000,00 indipendentemente dalla consistenza della singola unità abitativa, senza avere compiuto alcuna verifica sulla proporzionalità dello stesso in rapporto alla effettiva dimensione dell’appartamento. 2.2. Il motivo è inammissibile e comunque infondato. a La questione in merito al calcolo della integrazione del prezzo in rapporto alla consistenza dell’appartamento non risulta trattata con motivi di appello, per cui - essendo da considerarsi nuova - è inammissibile nella presente sede di legittimità. b peraltro, come si è accennato, la doglianza è infondata posto che - seppure la misura del diritto reale di uso spettante ciascun condomino è limitato al rapporto di 1 mq per venti metri cubi di costruzione e in tale misura può essere riconosciuto - la destinazione obbligatoria dell’area destinata a parcheggio è stabilita in proporzione alla cubatura dell’intero edificio. 3.1. Il terzo motivo lamenta la violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, ove venisse riconosciuto il diritto reale di uso sull’area destinata a parcheggio a favore di coloro che non hanno agito e si vedrebbero costretti a pagare il corrispettivo. 3.2. Il motivo è infondato. Le considerazioni formulate in occasione dell’esame del primo motivo escludono la denunciata violazione. 4.1. Il quarto motivo censura la sentenza per avere confermato la stima compiuta dal consulente, laddove non aveva considerato che si trattava di un’area attualmente chiusa e che, per effetto del diverso accertamento compiuto in appello, l’area si era ridotta a di mq. 696 ed era stato escluso l’uso promiscuo. 4.2. Il motivo è infondato. Le critiche formulate dai ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere - l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’articolo 360 n 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato ovvero alla sua incoerenza logica , quale risulti dalle stesse argomentazioni del giudice, e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire in sostanza, ai sensi dell’articolo 360 numero 5 citato, la dedotta erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione. Peraltro, va osservato che la riduzione dell’area destinata a parcheggio è circostanza addirittura sfavorevole ai ricorrenti in relazione alla integrazione del prezzo . 5.1. Con il quinto motivo i ricorrenti, dopo avere proceduto alla ricostruzione normativa ed interpretativa della fattispecie prevista dall’articolo 41 sexies legge numero 1140 del 1942, deducono che tale norma era stata modificata con efficacia retroattiva dall’articolo 12 comma 9 della legge n 266 del 2005 che, a stregua anche della precedente normativa in particolare articolo 26 legge numero 47 del 1985 , aveva natura interpretativa e non innovativa. Evidenzia che era stata, infine, affermata la prescrittibilità del diritto reale di uso che in ogni caso era stato usucapito dai ricorrenti. Peraltro, ove non fosse accolta tale tesi, la norma sarebbe incostituzionale, con riferimento agli articolo 2, 3, 10, 11, 41, 42 e 117 Cost. richiama al riguardo le previsioni di cui all’articolo 1 Protocollo addizionale Convenzione salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e la giurisprudenza CEDU in tema di occupazione acquisitiva e sanante, laddove era stato affermato che il principio di legalità in tema di privazione del diritto di proprietà postula la esistenza di norme di diritto sufficientemente accessibili, precise e prevedibili. Nella specie, la norma si limita a stabilire il rapporto di 1 mq. per ogni venti metri cubi di costruzione da adibire a parcheggio senza prevedere il diritto di uso, il cui riconoscimento determina la privazione del diritto di proprietà. 5.2. Il motivo è infondato. In primo luogo, secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, l’articolo 12, nono comma, della legge 28 novembre 2005, numero 246, che ha modificato l’articolo 41 sexies della legge 17 agosto 1942, numero 1150, ed in base al quale gli spazi per parcheggio possono essere trasferiti in modo autonomo rispetto alle altre unità immobiliari, non ha effetto retroattivo, né natura imperativa ne consegue che la disciplina anteriore, di cui al citato articolo 41 sexies delle legge numero 1150 del 1942, con cui si attribuisce al soggetto che abita stabilmente l’unità immobiliare sita nell’edificio un diritto reale d’uso sullo spazio destinato a parcheggio interno, che non ecceda il limite ivi prescritto, trova applicazione nei casi in cui, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina, risultino già stipulati gli atti di vendita delle singole unità immobiliari Cass., 9090/2012 4264/2006 b la prescrizione e l’usucapione del diritto reale di uso sono questioni nuove e, come tali inammissibili, non risultando trattate dalla sentenza impugnata c la denunciata contrarietà al principio di legalità in tema di privazione del diritto di proprietà è insussistente, posto che la esistenza del diritto reale di uso a favore degli acquirenti di unità immobiliari si fonda sulla norma di cui all’articolo 41 sexies cit., secondo quella che è la consolidata interpretazione datane dal Giudice di legittimità e che costituisce il diritto vivente. Ed invero, il diritto di proprietà nasce conformato dalla limitazione legale derivante dalla inderogabile destinazione dell’area a parcheggio nei limiti di legge e del provvedimento amministrativo, con la conseguente nullità delle clausole contrarie intercorse fra il costruttore e gli acquirenti. Al riguardo, va ricordato che è stata ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 18 della legge 6 agosto 1967 numero 765 con riferimento agli articolo 3, 23, 41 e 42 della Costituzione, in quanto la norma limiterebbe la facoltà del proprietario di disporre della cosa e comporterebbe un sacrificio del diritto del privato, nel pubblico interesse, senza corrispettivo infatti detta norma, nel disporre che nelle nuove costruzioni ed anche nelle aree di pertinenza delle costruzioni stesse debbano essere riservati appositi parcheggi, pone un limite al diritto di proprietà per il perseguimento di un pubblico interesse, conformemente a quanto previsto dall’articolo 42 Cost. né il vincolo così creato comporta un parziale sacrificio del diritto di proprietà, atteso che il venditore, nello stabilire il prezzo delle costruzioni, normalmente tiene conto anche del valore dell’area destinata a parcheggio Cass. 11629/1992 6365/1987 . Il ricorso va rigettato. Non va adottata alcuna statuizione in ordine alla regolamentazione delle spese relative alla presente fase, non avendo gli intimati svolto attività difensiva. P.Q.M. Rigetta il ricorso.