Ai fini del riconoscimento dell’esimente di cui all’articolo 599, comma 2, c.p. non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa.
Con la sentenza numero 7244 depositata il 24 febbraio 2016, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione ribadisce la propria interpretazione, ormai pacifica, della nozione di «immediatezza» nella configurazione dell’esimente di cui al secondo comma dell’articolo 599 c.p Offesa e reazione. In particolare, ai fini del suo riconoscimento, secondo gli Ermellini non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l’offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d’ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l’offesa. In buona sostanza, per i Giudici del Palazzaccio, l’immediatezza della reazione deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell’esimente in questione e di frustrarne la ratio . A maggior ragione – aggiungono i Giudici della Cassazione – deve considerarsi il tempo necessario alla reazione quando questa assuma la forma della diffamazione. L’accecamento dello stato d’ira. Per l’integrazione della provocazione, pertanto, è sufficiente che l’azione reattiva sia condotta a termine persistendo l’accecamento dello stato d’ira provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l’insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea. Nel caso di specie la Corte d’Appello territoriale, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava di non doversi procedere nei confronti dell’imputato per il reato di diffamazione, perché estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili della sentenza appellata. Inoltre, al ricorrente era stato contestato di aver rilasciato alla stampa alcune dichiarazioni riportate dai quotidiani con le quali rivolgeva ad un conduttore televisivo alcuni epiteti – «demente», «quaraquà», «frocio», «servo di» - . Quindi, il ricorrente non solo aveva rivolto direttamente tali epiteti ingiuriosi al conduttore televisivo, ma il giorno dopo aveva rilasciato alla stampa dichiarazioni del medesimo contenuto. Automatismo arbitrario ed illogico. Da qui il ricorso per cassazione presentato per la contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Infatti, secondo le doglianze della difesa, pur essendo stato assolto l’imputato dal reato di ingiuria, per aver tenuto il comportamento contestato, agendo in stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui, tuttavia si vedeva applicare una valutazione diversa , facendo riferimento ad un automatismo del tutto arbitrario e illogico, dell’immediatezza della reazione, analizzando sotto il mero profilo temporale. Come si è visto poco sopra, la Corte di Cassazione riconosce, nel caso di specie, la pacifica interpretazione dell’immediatezza come esimente prevista dal secondo comma dell’articolo 599 c.p Il dato temporale, infatti, deve essere interpretato con elasticità. L’immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto – si legge nella sentenza in commento – rende più evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente quale l’odio o il rancore a lungo provato. Diverso atteggiamento psicologico. Di questi principi, secondo i Giudici di legittimità, hanno fatto corretta applicazione i giudici di merito, ritenendo che solo con riguardo alle ingiurie proferite dall’imputato nei confronti della persona offesa in occasione dell’incontro si configurasse la scriminante in questione, mentre nella successiva condotta illecita dell’imputato dell’aver rilasciato dichiarazioni ai media , contenenti espressioni ingiuriose nei confronti del conduttore, fosse ravvisabile un diverso atteggiamento psicologico, non più improntato ad un dolo d’impeto per l’offesa subita, ma a rancore non riconducibile alla previsione di cui all’articolo 599, comma 2. In conclusione, ciò che ravvisano gli Ermellini è che dalle modalità con le quali si sono svolti i fatti si coglie chiaramente che l’imputato, il giorno successivo all’incontro con il conduttore, decise di rilasciare ai media delle dichiarazioni diffamatorie nei confronti dello stesso, in quanto non appagato dello sfogo personale. In tale condotta, pertanto, non è dato cogliere il nesso causale tra fatto ingiusto e reazione avendo l’imputato, una volta esaurita la spinta emotiva determinante l’aggressione verbale, dato spazio al diverso sentimento della ritorsione vendicativa, in soluzione di continuità con la precedente condotta. Ciò non solo per il diverso contesto temporale, ma per la presenza nella condotta successiva di una pianificazione nel rappresentare la vicenda agli organi di stampa, incompatibile con la spontaneità e l’emotività che deve caratterizzare la scriminante di cui all’articolo 599 c.p Da qui il rigetto del ricorso e la condanna al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 6 luglio 2015 – 24 febbraio 2016, numero 7244 Presidente Fumo – Relatore Pezzullo Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5.12.2013 la Corte d' Appello di Roma, in riforma della sentenza emessa dal locale Tribunale in data 23.12.2010, dichiarava non doversi procedere nei confronti di P.L. per il residuo reato di diffamazione cui al capo b , perché estinto per intervenuta prescrizione, confermando le statuizioni civili della sentenza appellata. 1.1. Al P. era stato contestato, con la suddetta imputazione, di aver rilasciato alla stampa le dichiarazioni riportate da alcuni quotidiani dal omissis e da omissis dell' omissis , nonché dall'Ansa il 10.11.2005 , con le quali rivolgeva a G.M. , conduttore televisivo, tra l'altro, gli epiteti demente , quaraquà , frocio , servo di B. e M. . In particolare, l'imputato, il 9.10.2005, aveva verbalmente aggredito a piazza omissis , la parte offesa - per avere quest'ultima, durante la conduzione della trasmissione omissis , andata in onda quello stesso giorno, criticato le trasmissioni condotte dal B. e dalla Pe. , dei quali il P. era agente - ingiuriandolo tra l'altro con le espressioni indicate, specificate nel capo di imputazione sub A capo dal quale è stato, poi, assolto in quanto non punibile per aver agito in stato d'ira il giorno successivo, l'imputato aveva rilasciato alla stampa dichiarazioni del medesimo contenuto oggetto della contestazione di cui capo b . 2. Avverso tale sentenza l'imputato, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione, lamentando la nullità della sentenza, ai sensi dell'articolo 606, primo comma, lett. b ed e c.p.p., per mancanza contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, non considerando che nella fattispecie in esame vi sarebbero tutti gli estremi per ravvisare le ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui all'articolo 129 c.p.p. in particolare, l'imputato è stato assolto dal reato di ingiuria ex articolo 594 c.p. in danno di G.M. , per aver tenuto il comportamento contestato al capo A in occasione dell'incontro a omissis , a omissis , agendo nello stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui, ai sensi dell'articolo 599/2 c.p., individuato nella condotta tenuta dalla p.o. nel corso della trasmissione omissis , per aver rivolto critiche e rilievi faziosi nei confronti di personaggi dello spettacolo, tra cui B.P. , Pe.Pa. , V.M. , dei quali il P. era procuratore, mentre analoga valutazione non è stata effettuata per il delitto di diffamazione del omissis , per le espressioni in contestazione pronunciate il giorno successivo tale valutazione non è corretta, facendo riferimento ad un automatismo del tutto arbitrario e illogico, dell'immediatezza della reazione, analizzandolo sotto il mero profilo temporale, laddove il concetto di immediatezza, espresso dall'articolo 599/2 c.p., con la locuzione avverbiale subito dopo , in presenza di un nesso eziologico tra fatto ingiusto e stato d'ira, deve essere interpretato in relazione a ciascuna fattispecie, tenendo necessariamente conto di una serie di fattori emotivi e non dunque, non appare logica e conforme alla ratio dell'articolo 599 c.p. la motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui, valorizzando il dato temporale, attribuisce alle dichiarazioni rese dal P. , il giorno successivo all'episodio oggetto di giudizio, la veste e di una mera ritorsione vendicativa , escludendo per tale ragione l'applicabilità dell'esimente del secondo comma dell'articolo 599 c.p. l'esimente de qua è applicabile anche nel caso in cui la reazione dell'agente sia diretta nei confronti del provocatore in un tempo anche successivo al fatto ingiusto e non immediatamente contestuale, di guisa che la reazione dell'imputato, verificatasi il giorno successivo, rientra in pieno nel concetto di immediatezza , così come interpretato all'unanimità dalla giurisprudenza inoltre, la sentenza impugnata incorre in un evidente travisamento del fatto e in un omesso esame di una prova rilevante nella parte in cui fa riferimento a delle dichiarazioni virgolettate e ricondotte dalla giornalista direttamente alla paternità del P. , senza considerare che la testimone Vo.Ma. , autrice di uno degli articoli incriminati, non è stata assolutamente in grado di riportare con sicurezza se quanto pronunciato dal P. fosse stato a lei riferito direttamente da quest'ultimo, o se invece avesse tratto il contenuto delle affermazioni del P. dal lancio dell'agenzia ANSA, né è stata in grado di riferire con assoluta sicurezza ciò che il P. avrebbe detto in buona sostanza la motivazione della sentenza impugnata, travisando il fatto, non ha dato atto che non è stata mai raggiunta una prova sicura circa le frasi e le parole che sono state pronunciate dal P. e le circostanze nell'ambito delle quali esse sono state proferite, giungendo a conclusioni di certezza, pur in presenza di dati di fatto e di diritto del tutto contrari alla conclusione proposta dalla sentenza impugnata, con la conseguenza che l'imputato andava assolto ex articolo 129/2 c.p.p Considerato in diritto Il ricorso va respinto. 1. Non merita censura la valutazione della Corte territoriale che ha dichiarato la prescrizione del reato di diffamazione ascritto all'imputato al capo b non ravvisando nella fattispecie in esame cause di non punibilità a norma dell'articolo 129/2 comma c.p.p. Sez. Unumero , numero 23428 del 22/03/2005 Sez. IV, numero 31344 dell'11/06/2013 . Ed invero, se l'obbligo della immediata declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, sancito dal primo comma dell'articolo 129 c.p.p., comporta nel contempo la valutazione della sussistenza in modo evidente di una ragione di proscioglimento dell'imputato, alla luce della regola di giudizio posta dal secondo comma del medesimo articolo 129 c.p.p., tuttavia, tale ragione è ravvisabile soltanto nel caso in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di constatazione , ossia di percezione ictu oculi , che a quello di apprezzamento e sia, quindi, incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento Sez. III, numero 10221 del 24/01/2013 . 2. Nel caso di specie i giudici d'appello, avendo ritenuto sussistenti tutti gli elementi del delitto di diffamazione e la non configurabilità della scriminante di cui all'articolo 599/2 c.p., hanno ritenuto non applicabile l'articolo 129/2 c.p.p., confermando le statuizioni civili scaturenti dal reato e tale valutazione non appare in alcun modo viziata per quanto si dirà. 3. Va premesso che la Corte territoriale ha ritenuto di confermare le valutazioni del primo giudice, circa l'operatività della scriminate dello stato d'ira dell'imputato, esclusivamente con riguardo al reato di ingiurie di cui al capo a , commesso subito dopo l'andata in onda della trasmissione omissis condotta dal G. , in occasione dell'incontro tra i due a Piazza Euclide, evidenziando che, invece, non fosse configurabile tale scriminante per le dichiarazioni rilasciate dal P. agli organi di stampa il giorno successivo per l'elemento temporale che l'articolo 599 c,p. richiede, riconducendo la condotta tipica non punibile alla sostanziale immediatezza del fatto ingiusto che ha provocato la reazione. I giudici d'appello hanno evidenziato altresì che le dichiarazioni rilasciate dal P. il giorno successivo, una volta persa la natura di sfogo immediato per l’ingiustizia subita hanno assunto la veste di una mera ritorsione vendicativa, stante l’evidente soluzione di continuità nello stato emozionale del soggetto, il quale non può certo essere ritenuto preda dell'incontenibile ira che aveva giustificato la reazione immediata addirittura il giorno successivo ed in un contesto del tutto diverso dal diretto contatto con l’autore stesso del fatto ingiusto. Tale ultima valutazione si presenta corretta con le seguenti precisazioni. 4. Il ricorrente ha posto in risalto la contraddittorietà della valutazione dei giudici d'appello che hanno escluso l'operatività dell'articolo 599/2 c.p. per il delitto di diffamazione in dipendenza dell'elemento temporale, ossia per la sostanziale non immediatezza della reazione, pur essendosi essa verificata ad un giorno di distanza. Tale doglianza, tuttavia, non pare tener conto dell'intero iter argomentativo della Corte territoriale di condivisione della sentenza del primo giudice, più diffusa sul punto, che ha correttamente considerato l’ immediatezza della reazione non come un dato esclusivamente temporale, ma quale espressione del legame di interdipendenza tra la reazione irata ed il fatto ingiusto subito, legame questo non ravvisabile nell'episodio di cui al capo b , non potendosi più parlare di ira , ma di rancore, non scriminato dalla previsione di cui all'articolo 599/2 c.p 5. Sul punto, occorre rilevare che questa Corte, ai fini del riconoscimento dell'esimente della provocazione nei delitti contro l'onore, ha più volte affermato i principi, secondo cui non è necessario che la reazione venga attuata nello stesso momento in cui sia ricevuta l'offesa, essendo sufficiente che essa abbia luogo finché duri lo stato d'ira suscitato dal fatto provocatorio, a nulla rilevando che sia trascorso del tempo, ove il ritardo nella reazione sia dipeso unicamente dalla natura e dalle esigenze proprie degli strumenti adoperati per ritorcere l'offesa l'immediatezza della reazione, infatti, deve essere intesa in senso relativo, avuto riguardo alla situazione concreta e alle stesse modalità di reazione in modo da non esigere una contemporaneità che finirebbe per limitare la sfera di applicazione dell'esimente in questione e di frustarne la ratio e tanto più deve considerarsi il tempo necessario alla reazione quando questa assuma la forma della diffamazione per l'integrazione della provocazione è, dunque, sufficiente che l'azione reattiva sia condotta a termine persistendo l'accecamento dello stato d'ira provocato dal fatto ingiusto altrui e che tra l'insorgere della reazione e tale fatto sussista una reale contiguità temporale, senza che occorra che la reazione si esaurisca in una reazione istantanea Sez. 5,/7. 8097 del 11/01/2007 Rv. 236541 Sez. F, numero 32323 del 31/07/2007 . Il dato temporale della reazione, dunque, deve essere interpretato con elasticità l'immediatezza della reazione rispetto al fatto ingiusto altrui rende più evidente la sussistenza dei presupposti di tale circostanza attenuante, mentre il passaggio di un lasso di tempo considerevole può assumere rilevanza al fine di escludere il rapporto causale e di riferire la reazione ad un sentimento differente, quale l'odio o il rancore a lungo provato Sez. 1, numero 16790 del 08/04/2008, Rv. 240283 . 6. Di tali principi hanno fatto corretta applicazione i giudici di merito, ritenendo che solo con riguardo alle ingiurie proferite dall'imputato nei confronti del G. in occasione dell'incontro a omissis , subito dopo la messa in onda della trasmissione omissis , si configurasse la scriminante in questione, laddove nella successiva condotta illecita dell'imputato dell'aver rilasciato dichiarazioni ai media, contenenti espressioni ingiuriose nei confronti della p.o., fosse ravvisabile un diverso atteggiamento psicologico, non più improntato ad un dolo d'impeto per l'offesa subita, ma a rancore non riconducibile alla previsione di cui all'articolo 599/2 c.p 7. Invero, dalle modalità con le quali si sono svolti i fatti si coglie chiaramente che l'imputato il giorno successivo all'incontro con il G. , decise di rilasciare ai media di dichiarazioni diffamatorie nei confronti dello stesso, in quanto non appagato dello sfogo personale avuto in occasione di quell'incontro, ritenendo, pertanto, di portare all'attenzione pure degli organi di stampa e dei lettori dei quotidiani la vicenda in questione. Non è dato cogliere in tale condotta, dunque, il nesso causale tra fatto ingiusto e reazione, avendo l'imputato, una volta esaurita la spinta emotiva determinante l'aggressione verbale, dato spazio, come correttamente rilevato dai giudici di merito, al diverso sentimento della ritorsione vendicativa, in soluzione di continuità con la precedente condotta. Ciò, non solo per il diverso contesto temporale in cui è stata posta in essere, ma per la presenza in tale successiva condotta di una pianificazione nel rappresentare agli organi di stampa la vicenda, incompatibile con quella spontaneità ed emotività che normalmente deve caratterizzare la scriminante di cui all'articolo 599 c.p., che non lascia spazio ad una reazione per così dire frazionata . 8. Peraltro, questa Corte ha già avuto modo di evidenziare che lo stato d'ira, rilevante ai fini della configurazione della provocazione, è escluso dalla sedimentazione nell'agente di un sentimento vendicativo e dalla perpetrazione di un'aggressione lucida e fredda arg. ex ez. 1, numero 29480 del 25/10/2012 . 9. Manifestamente infondata si presenta, poi, l'ulteriore doglianza sviluppata nel ricorso, secondo cui non sarebbe configurabile nella fattispecie il delitto di diffamazione in quanto la testimone Vo.Ma. , autrice di uno degli articoli incriminati, non sarebbe stata in grado di riportare con sicurezza se quanto pronunciato dal P. fosse stato a lei riferito direttamente da quest'ultimo, o se invece avesse tratto il contenuto delle affermazioni dell'imputato dal lancio dell'agenzia ANSA. Tale doglianza omette, invero, di confrontarsi compiutamente con la circostanza di fatto, in sostanza messa in risalto, senza illogicità, dai giudici di merito e ritenuta dirimente - non specificamente censurata in questa sede - secondo cui il omissis non ha riportato dei commenti, ma dichiarazioni virgolettate, che normalmente, per tale modalità della pubblicazione, sono da ricondurre direttamente al dichiarante, nella specie il P. , sicché si presenta non rilevante che esse siano state apprese dal comunicato Ansa, ovvero dalla viva voce dell'imputato. 10. Il ricorso va, dunque, rigettato ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che si ritiene di liquidare in complessivi Euro 1200,00, oltre accessori come per legge. P.Q.M. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al rimborso delle spese sostenute nel grado dalla parte civile che liquida in complessivi Euro 1200,00 oltre accessori come per legge.