Il p.m. modifica imputazione nel corso del giudizio, da tale data decorrono i 3 mesi per la punibilità

Atto idoneo a surrogare l’accertamento di cui all’articolo 2, comma 1 – bis, del d.l. numero 463/1983, ai fini della decorrenza del termine di 3 mesi necessario per la punibilità del reato di omesso versamento delle contribuzioni previdenziali, è qualsiasi atto processuale indirizzato all’imputato. Pertanto, se nel corso di una delle udienze dibattimentali il pm precisa, riducendole, le mensilità per le quali era risultata sussistente l’omissione contributiva addebitata, è da tale data che va calcolato il termine trimestrale entro il quale è possibile, eseguendo il versamento dei contributi, escludere la punibilità della pregressa omissione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione nella sentenza numero 6170, depositata l’11 febbraio 2015. Il fatto. La legale rappresentante di una ditta propone ricorso per cassazione contro la sentenza della Corte d’appello di Catanzaro confermativa della decisione con la quale il Tribunale di Cosenza la aveva ritenuta responsabile del reato di cui all’articolo 2, comma 1 – bis della l. numero 638/1983 per avere omesso di versare all’INPS le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni pagate ai dipendenti della ditta. La ricorrente osserva che, essendo stata modificata l’originaria imputazione nel corso dell’udienza del 22 giugno 2011, avendo il pm ridotto le mensilità per le quali vi era stata l’omissione del versamento dei contributi previdenziali, ed avendo lei provveduto in data 21 luglio 2011 a versare le somme dovute, doveva ritenersi non punibile la sua condotta. Il Collegio ritiene il motivo fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento. Punibilità e avviso di accertamento. Innanzitutto, il Collegio ricorda che, secondo i termini di cui all’articolo 2, comma 1 – bis, del d.l. numero 463/1983, la punibilità per l’omesso versamento delle contribuzioni previdenziali è subordinata all’inutile decorso del termine dei 3 mesi dal momento in cui il datore di lavoro riceve l’avviso dell’accertamento della violazione. Dunque, ai fini della decorrenza del predetto termine, si precisa, è necessario che l’avviso di ricevimento in questione sia corretto nel suo contenuto, faccia cioè riferimento ad una precisa e reale inadempienza contributiva. Nel caso di specie ciò non si è verificato, posto che l’avviso di accertamento della inadempienza comunicato all’attuale ricorrente aveva ad oggetto più mensilità, successivamente espunte dalla contestazione. Decorrenza del termine di 3 mesi Detto ciò, il Collegio riporta un principio giurisprudenziale in base al quale «atto idoneo a surrogare l’accertamento di cui all’articolo 2, comma 1 – bis, del d.l. numero 463/1983, ai fini della decorrenza del termine di 3 mesi necessario per la punibilità del reato in questione, è il decreto di citazione a giudizio laddove esso contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall’indicazione del periodo di omesso versamento dell’importo, la indicazione delle spese dell’ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di 3 mesi concesso dalla legge e l’avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità». Le Sezioni Unite, hanno altresì precisato che tale rapporto di equivalenza, ricorrendo le predette condizioni di contenuto, riguarda «qualsiasi altro atto processuale indirizzato all’imputato», quindi anche l’atto con cui il pm, correggendo un precedente errore contenuto nel decreto di citazione a giudizio, abbia ristretto l’ambito temporale della originaria imputazione. dall’atto con cui il p.m. corregge l’imputazione. Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, nel quale, nel corso di una delle udienze dibattimentali il pm precisò, riducendole, le mensilità per le quali era risultata sussistente l’omissione contributiva addebitata alla legale rappresentate. Pertanto, sostiene il Collegio, è da tale data che va calcolato il termine trimestrale entro il quale è possibile, eseguendo il versamento dei contributi, escludere la punibilità della pregressa omissione. Nel caso che ha interessato la Corte, dunque, la emenda della originaria imputazione è avvenuta in data 22 giugno 2011, e la legale rappresentante ha provveduto al versamento dei residui contributi previdenziali in data 21 luglio 2011, quindi ben prima della scadenza del termine trimestrale. Per tali ragioni, la S.C. ha annullato la sentenza impugnata senza rinvio perché l’imputata non è punibile.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 30 settembre 2014 – 11 febbraio 2015, numero 6170 Presidente Squassoni – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 24 settembre 2013, ha confermato la decisione con la quale il Tribunale di Cosenza aveva condannato A.F., nella qualità di legale rappresentante della ditta L'Impero ricevimenti , avendola ritenuta responsabile del reato di cui all'articolo 2, comma 1-bis, della legge numero 638 del 1983 per avere omesso, nel periodo fra il gennaio ed il settembre 2007, di versare all'INPS le ritenute previdenziali operate sulle retribuzioni pagate ai dipendenti della predetta ditta, alla pena di mesi uno di reclusione e euro 400,00 di multa, convertita la pena detentiva in pena pecuniaria, in misura pari ad euro 1140,00 di multa. La Corte territoriale ha preliminarmente dato atto della avvenuta modificazione ad opera del Pm della originaria imputazione, relativa ad un più consistente inadempimento previdenziale relativo anche al periodo gennaio - giugno e settembre 2006, comunicata alla imputata con atto notificato in data successiva al 22 giugno 2011 quindi, esaminando i motivi di appello proposti dalla A. ha rilevato che la stessa aveva ricevuto, nella qualità di legale rappresentante della ricordata ditta, in data 10 ottobre 2008 la comunicazione inviatale dall'INPS dell'accertamento dell'omesso versamento e che la prova del versamento delle retribuzioni ai dipendenti della ditta medesima era stata desunta, conformemente alla giurisprudenza di legittimità, dall'avvenuto inoltro all'ente previdenziale dei modelli DM 10, riportanti i dati relativi alle retribuzioni mensili versate ai dipendenti. La Corte di appello dava altresì atto della circostanza che in data 21 luglio 2011 la A. aveva provveduto al versamento, definito tardivo, delle somme dovute relativamente al periodo gennaio-settembre 2007 in contestazione ma siffatto pagamento, proprio perché tardivo, è stato ritenuto non idoneo a rendere operativa la causa di non punibilità prevista dal comma 1-bis dell'articolo 2 del decreto legge numero 463 del 1983. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la A., tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo il vizio di motivazione e la violazione di legge. Quanto al primo aspetto la ricorrente ha osservato che la motivazione della sentenza non chiariva le ragioni per le quali la A. era stata ritenuta ricoprire la qualità di legale rappresentante della ditta L'Impero Ricevimenti non essendo stato svolto alcun accertamento in proposito, mentre, riguardo al secondo, osservava che, essendo stata modificata la originaria imputazione nel corso della udienza del 22 giugno 2011 ed avendo la A. provveduto in data 21 luglio 2011 a versare le somme dovute, doveva ritenersi non punibile la sua condotta essendo stata la stessa rimessa in termini per il pagamento dei versamenti omessi per effetto della modifica della imputazione. Considerato in diritto Il ricorso risultato fondato nei termini che saranno di seguito precisati, deve, pertanto, essere accolto. Rileva la Corte, procedendo all'esame dei motivi di impugnazione formulati dalla ricorrente a partire dal primo di essi, che lo stesso è inammissibile. Infatti con lo stesso la ricorrente intende in sostanza rimettere in discussione, peraltro in termini del tutto generici, un accertamento di fatto già compiuto dai giudici del merito, e pertanto non oggetto di rivalutazione in questa sede se motivato in modo non manifestamente illogico. Vizio quest'ultimo all'evidenza non riscontrabile nel ragionamento svolto sul punto dalla Corte territoriale che, in maniera del tutto plausibile, ha fatto discendere la qualifica di legale rappresentante della ricordata impresa L'Impero Ricevimenti in capo alla odierna imputata dalla incontestata circostanza che questa abbia ricevuto, nella predetta qualità, in data 10 ottobre 2008, la notificazione dell'originario avviso di pagamento inviatole dall'INPS. Fondato è, viceversa, il motivo di impugnazione avente ad oggetto la violazione dell'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge numero 463 del 1983, convertito con modificazioni con legge 638 del 1983. E' necessario, onde chiarire i termini della decisione, formulare alcune puntualizzazioni in fatto, come d'altra parte, risultanti dallo stesso testo della impugnata sentenza. La A. ebbe a ricevere, nella ricordata sua qualità, in data 10 ottobre 2008, l'avviso, inviatole dall'INPS, dell'avvenuto accertamento dell'inadempimento previdenziale col contestuale diffida a versare quanto dovuto siffatto avviso, per come emerge chiaramente dalla sentenza della Corte calabrese, era riferito a tutti i periodi originariamente in contestazione esso, pertanto, concerneva sia le mensilità riferite al periodo gennaio-settembre 2007 che ai mesi di gennaio, febbraio, maggio, giugno e settembre 2006, così come, d'altra parte, oggetto della primitiva contestazione giudiziale formulata nei confronti della ricorrente. Come si dà atto nella sentenza ora in scrutinio, nel corso della udienza del 22 giugno 2011 il Pm ebbe a modificare la rubrica elevata in danno della A., riducendo le mensilità per le quali vi era stata la omissione del versamento dei contributi previdenziali solamente a quelle intercorrenti fra il gennaio ed il settembre 2007. Sempre la sentenza de qua informa che in data 21 luglio 2011 la A. provvide al pagamento, definito tardivo, di quanto da lei dovuto all'Ente previdenziale. Premessi questi dati di fatto, ricorda la Corte che, secondo i termini di cui all'articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge numero 463 del 1983, la punibilità per l'omesso versamento delle contribuzioni previdenziali è subordinato all'inutile decorso del termine di tre mesi dal momento in cui il datore di lavoro, tenuto al versamento de quo, abbia ricevuto l'avviso dell'accertamento della violazione. A tale proposito, però, deve chiarirsi che, ai fini della decorrenza del predetto termine, è necessario che l'avviso di accertamento in questione sia corretto nel suo contenuto, faccia cioè riferimento ad una precisa e reale inadempienza contributiva esso, in altre parole, non è idoneo a spiegare i suoi effetti, non costituendo perciò la sua comunicazione valido dies a quo del termine trimestrale di cui al ricordato articolo 2, comma 1-bis, del decreto legge numero 463 del 1983, laddove riporti dati non veridici in ordine all'ammontare della esposizione debitoria del datore di lavoro nei confronti dell'Ente previdenziale. Ed è questo il caso che si è verificato nell'occasione, posto che, come sopra riferito, l'avviso di accertamento della inadempienza comunicato alla A. in data 10 ottobre 2008 aveva ad oggetto anche le mensilità relative all'anno 2006, successivamente espunte dalla contestazione in quanto, evidentemente, per esse non sussisteva l'omesso versamento contributivo. Va, a questo punto, ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, atto idoneo a surrogare l'accertamento di cui al ricordato comma 1-bis dell'articolo 2 del decreto legge numero 463 del 1983 ai fini della decorrenza del termine di tre mesi necessario per la punibilità del reato in questione è il decreto di citazione a giudizio laddove esso contenga gli elementi essenziali del predetto avviso, costituiti dall'indicazione del periodo di omesso versamento e dell'importo, la indicazione della sede dell'ente presso cui effettuare il versamento entro il termine di tre mesi concesso dalla legge e l'avviso che il pagamento consente di fruire della causa di non punibilità Corte di cassazione, SS UU penali, 18 gennaio 2012, numero 1855 . Nell'affermare il predetto principio peraltro le Sezioni unite di questa Corte ebbero anche a precisare che tale rapporto di equivalenza, ricorrendo le predette condizioni di contenuto, riguarderebbe qualsiasi altro atto processuale indirizzato all'imputato , quindi fra questi non va escluso l'atto con il quale il Pm, correggendo un precedente errore contenuto nel decreto di citazione a giudizio, abbia ristretto l'ambito temporale della originaria imputazione. Ed è questo il caso occorso nella fattispecie in esame, nella quale nel corso di una delle udienze dibattimentali, il Pm precisò, riducendole, le mensilità per le quali era risultata la sussistenza dell'omissione contributiva addebitata alla A E' pertanto da tale data che va calcolato il più volte richiamato termine trimestrale entro il quale è possibile, eseguendo il versamento dei contributi, escludere la punibilità della pregressa omissione. Poiché nel caso che interessa la emenda della originaria imputazione è avvenuta in data 22 giugno 2011 ora poco importando per evidenti ragioni il momento, comunque necessariamente successivo, in cui essa, stante la contumacia della imputata, sia stata portata a conoscenza di questa , mentre il versamento dei residui contributi previdenziali da parte della A. è avvenuto in data 21 luglio 2011, quindi ben prima della scadenza del già ampiamente ricordato termine trimestrale, la Corte territoriale catanzarese nell'affermare, sulla scorta della pretesa tardività di tale adempimento, la penale responsabilità della imputata, ha malamente applicato il comma 1-bis dell'articolo 2 del decreto legge numero 463 del 1983 che, invece, esclude la punibilità della pregressa omissione contributiva laddove essa sia sanata nei tre mesi successivi alla comunicazione del suo accertamento. In applicazione del principio sopraesposto la sentenza impugnata deve, in definitiva, essere annullata, senza che ci sia necessità di rinvio, in quanto per il fatto a lei addebitato la ricorrente non è punibile. P.Q.M. Annulla senza rinvio la impugnata sentenza perché l’imputata non è punibile.